In questo blog ho ripetuto fino alla noia che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non considerava due pilastri delle linee guida europee per la transizione ecologica: la biodiversità e il funzionamento degli ecosistemi. Ho firmato appelli, ho collaborato alla task force Natura e Lavoro, capitanata da Luciana Castellina. Ad ogni analisi delle varie versioni del PNRR ho constatato l’assenza di ecologia in un piano di transizione ecologica. Ho parlato e interagito con due ministri del governo Conte (quello dell’Ambiente e quello della Ricerca), avanzando proposte. Ma il governo è caduto e si è ricominciato da capo.
Nel frattempo ho iniziato a lavorare con la senatrice Virginia La Mura, della Commissione Ambiente del Senato. Virginia ha un dottorato in oceanografia ed è molto competente in materia ambientale. È stata lei a chiedermi di intervenire in due audizioni in Commissione. In una ho parlato come ricercatore di ecologia marina, nell’altra come vicepresidente dell’associazione ambientalista Marevivo, presieduta da Rosalba Giugni. Ho fatto presente l’assenza di una politica marina nel PNRR e la scarsa importanza data a biodiversità ed ecosistemi.
Quando ho letto la prima versione del PNRR di Draghi mi sono cascate le braccia. Tutto quello che avevamo proposto mancava. Telefono a Virginia: abbiamo fallito! le dico. Lei risponde che avrebbe provato a inserire iniziative sul mare e su biodiversità ed ecosistemi. Mi manda il testo finale, e molte cose che mancavano ora sono presenti! In un punto dell’investimento 3.2 si legge:
“Conservazione della natura – monitoraggio delle pressioni e minacce su specie e habitat e cambiamento climatico. Il progetto mira ad approfondire la conoscenza sulla coerenza, le caratteristiche e lo stato di conservazione degli habitat e delle specie. Attraverso tale intervento sarà inoltre possibile sviluppare un’azione di monitoraggio e valutazione permanente, riuscendo a promuovere la sostenibilità nell’uso delle risorse naturali e introdurre l’applicazione dell’approccio ecosistemico e del principio di precauzione nella loro gestione, oltre che attuare politiche volte a garantire il soddisfacente stato di conservazione degli habitat e delle specie autoctone, anche attraverso l’attuazione di azioni pilota di protezione e ripristino”.
E l’investimento 3.5: Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini, recita:
“Ad oggi, il 19,1% delle acque nazionali sono sottoposte a misure di conservazione, tuttavia questa percentuale deve aumentare significativamente per raggiungere l’obiettivi dell’Unione Europea di protezione della biodiversità al 2030. Questi obiettivi impongono una serie di azioni che richiedono una conoscenza approfondita della localizzazione, dell’estensione e dello stato degli habitat costieri, per la loro protezione e ripristino.
Il piano sviluppato prevede interventi su larga scala per il ripristino e la protezione dei fondali e degli habitat marini nelle acque italiane, finalizzati a invertire la tendenza al degrado degli ecosistemi mediterranei potenziandone la resilienza ai cambiamenti climatici e favorendo così il mantenimento e la sostenibilità di attività fondamentali non solo per le aree costiere, ma anche per le filiere produttive essenziali del Paese (pesca, turismo, alimentazione, crescita blu).
Un’adeguata mappatura degli habitat dei fondali marini e il monitoraggio ambientale sono un prerequisito per definire misure di protezione efficaci. A tal fine, si intende rafforzare il sistema nazionale di ricerca e osservazione degli ecosistemi marini e costieri, anche aumentando la disponibilità di navi da ricerca aggiornate (attualmente carenti). Obiettivo è avere il 90% dei sistemi marini e costieri mappati e monitorati, e il 20% restaurati”.
In un post ho sostenuto che per la transizione ecologica sarà necessario un esercito di specialisti.
L’esercito esiste, ma è in esilio: centinaia di giovani ricercatori marini italiani lavorano in Usa alla Francia, nel Regno Unito, in Germania, Portogallo, Spagna, Olanda, Danimarca. Sono emigrati per mancanza di opportunità di lavoro in Italia, con l’eccezione della Stazione Zoologica Anton Dohrn, che ne ha reclutati molti in questi ultimi anni. Se questo riconoscimento dell’importanza della biodiversità, degli ecosistemi, e del mare sarà tradotto in azioni concrete, il cambio di paradigma evocato da Draghi avrà davvero luogo.
Il Parlamento ha avuto un ruolo importante nel modellare il PNRR e, una volta tanto, ho avuto l’impressione di aver contato qualcosa, pur non avendo alle spalle alcuna lobby, se non quella della biodiversità e degli ecosistemi. Senza la determinazione e la competenza di Virginia La Mura, un granellino di sabbia nell’ingranaggio, credo che questi argomenti non sarebbero entrati nel PNRR. E io avrei scritto un ennesimo post su una transizione ecologica senza mare e senza ecologia. Ci sono ancora molte cose che mancano, nel PNRR, ma qualche spiraglio si è aperto. Il sistema democratico rappresentativo permette ancora di avanzare proposte che, a volte, sono persino accettate. Questa è una di quelle volte.
In un prossimo post parlerò di quello che ancora manca, nel PNRR.