Un miliardo per tutto lo sport. E 100 milioni per un solo stadio fortunato, quello di Firenze, caro a Matteo Renzi e al sindaco Dario Nardella, entrato nel cuore pure del ministro per i Beni Culturali, Dario Franceschini, visto che ha deciso di farsene carico lui, inserendolo in un piano che con lo sport c’entra poco e con gli stadi ancora meno. Il Recovery Fund non è stato molto generoso con il movimento sportivo, uno dei settori più colpiti dalla pandemia: chi si aspettava interventi massici a sostegno di lavoratori, associazioni e società è rimasto abbastanza deluso. Ai 700 milioni per gli impianti del progetto “Sport e periferie” già previsti dal governo Conte se ne sono aggiunti altri 300 voluti dal premier Draghi per le palestre scolastiche (che però basteranno solo per pochi istituti). Allo sport, complessivamente, andrà meno dello 0,5% dell’intero piano.
UNO STADIO FRA I BENI CULTURALI – Almeno il Franchi ce l’ha fatta. Sono mesi che si parla di una sua possibile ristrutturazione. Alla fine sarà rifatto, ma non con i soldi dei privati, con quelli dello Stato: ben 95 milioni di euro. Uno dei più importanti interventi del Recovery per lo sport, probabilmente quello più importante in assoluto in termini di spesa complessiva (difficile che ci siano interventi di importo superiore), non rientra però nello sport. È stato infatti inserito all’interno del “Piano strategico grandi attrattori culturali”, che fa capo al Mibac. Dentro, non a caso, ci sono grandi opere centrali per il futuro di intere città: si va dal potenziamento della Biennale di Venezia al Parco archeologico sull’Appia antica di Roma, dal porto vecchio di Trieste al Waterfront di Reggio Calabria. Un totale di circa un miliardo e mezzo per 14 progetti. Fra cui appunto il Franchi, unico stadio.
DALL’EMENDAMENTO DI RENZI ALLA LETTERA DI NARDELLA – Per capire come ci sia finito lì dentro bisogna ripercorrere le tappe sulla sua ristrutturazione. Il nuovo stadio è uno degli obiettivi di Rocco Commisso, il magnate americano che ha acquistato la Fiorentina anche per la possibilità di costruirsi un impianto di proprietà. Il piano di ristrutturazione si è però incagliato nell’iter burocratico e in particolare nei vincoli sulla vecchia struttura firmata da Pierluigi Nervi negli Anni Trenta. Matteo Renzi, che non ha dimenticato la sua città dove coltiva ancora tanti rapporti, aveva fatto approvare addirittura un emendamento ad hoc per provare a vincere le resistenze della Soprintendenza. Nemmeno quello è bastato: con un parere tombale, la Soprintendenza ha vincolato praticamente l’intero impianto, ponendo fine ad ogni ipotesi di ristrutturazione privata (sarebbe antieconomico conservare tutti gli elementi protetti).
A quel punto i sostenitori del rifacimento hanno rilanciato il dibattito: “Se il Franchi è un bene culturale così importante, che ci pensi lo Stato a riammodernarlo”. È più o meno il ragionamento fatto dal sindaco Nardella, in una lettera indirizzata al ministro (e collega di partito) Franceschini, che ha centrato l’obiettivo: con la disponibilità del Mibac, il Franchi è rientrato nel Recovery. Una buona notizia per la città di Firenze, che però pone due questioni. La prima è quella sul futuro utilizzo: un impianto rifatto con soldi pubblici non potrà essere dato semplicemente in concessione ai privati. D’altra parte, se la Fiorentina di Commisso insisterà nel farsi un suo stadio di proprietà altrove, cosa ne sarà del Franchi? Ma soprattutto, perché il Franchi sì e altri stadi no? In giro per l’Italia ce ne sono diversi di indiscutibile valore architettonico che versano in condizioni di degrado e abbandono. Come il Flaminio di Roma, per cui dopo l’interessamento sfumato di Cassa Depositi e Prestiti è stato recentemente depositato un progetto pubblico-privato, ma si era parlato pure di un possibile inserimento del Recovery. Per il momento non se n’è fatto nulla. La sindaca Virginia Raggi, che forse non aveva gli stessi contatti col ministero, potrebbe avere qualcosa da ridire.
IL RECOVERY PER LO SPORT: IMPIANTI E PALESTRE (MA POCHI SOLDI) – A confronto del Franchi, per cui lo sforzo sarà importante e decisivo, gli altri interventi sportivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza rischiano di essere meno efficaci. Si limiteranno a due filoni. Il primo, che vale 700 milioni, riguarda gli impianti per la pratica di base sul territorio. Anche se il nome è cambiato, si tratta essenzialmente della prosecuzione del piano “Sport e periferie”, che il governo Renzi aveva ideato e affidato al Coni di Giovanni Malagò e poi Giorgetti e Spadafora avevano trasferito a Palazzo Chigi. Fin qui, sono già stati spesi centinaia di milioni con risultati altalenanti: come rivelato da un’inchiesta del Fatto Quotidiano, nelle graduatorie era finito persino un finanziamento al ricco circolo di golf dell’Olgiata. I criteri dovranno essere rivisti, i tempi snelliti e gli interventi ricalibrati per avere un impatto. Poi ci saranno anche 300 milioni per le palestre sportive: il principale problema dello sport italiano è proprio la scarsa pratica a scuola, che parte anche dalle carenze nelle infrastrutture. L’idea del governo di intervenire qui è giusta. Secondo il dossier che accompagna il Pnrr, però, una nuova palestra in media costa oltre un milione, la riqualificazione e messa in sicurezza quasi mezzo ciascuno: così le risorse disponibili basteranno per circa 400 palestre, ma il 28% degli istituti italiani ha bisogno di una nuova palestra. E in Italia i plessi sono circa 40mila. Di questo passo, non basterà un Recovery fund per risolvere i problemi dello sport italiano.