È stato chiuso il cerchio sul troncone dell’inchiesta “Petrolmafie Spa” coordinato dalla Dda di Catanzaro. Stamattina 56 persone sono state arrestate dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza e dai carabinieri Ros che hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Valeria Isabella Valenzi su richiesta del procuratore Nicola Gratteri e dei sostituti della Dda Andrea Mancuso, Annamaria Frustaci e Antonio De Bernardo. Complessivamente sono 83 gli indagati dalla Direzione distrettuale antimafia che, nelle settimane scorse, aveva eseguito 15 provvedimenti di fermo collegati alle altre operazioni condotte dalle Procure di Reggio Calabria, Napoli e Roma.
Il blitz è scattato stamattina: in 28 sono finiti in carcere, 21 ai domiciliari, 4 all’obbligo di dimora e per tre indagati il gip ha disposto la misura interdittiva. A vario titolo, gli indagati sono accusati di associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata a commettere delitti di estorsioni, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche, intestazione fittizia di beni, evasione delle imposte e delle accise anche mediante emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, contraffazione ed utilizzazione di documenti di accompagnamento semplificati. Il tutto, secondo i pm, è stato commesso “al fine di agevolare le associazioni ‘ndranghetistiche attive sul territorio calabrese”.
Ai domiciliari è finita anche Anna Bettozzi, conosciuta come “Ana Betz”, la vedova del petroliere Sergio Di Cesare che già era stata arrestata nel filone romano dell’inchiesta sul traffico di prodotti petroliferi. Stesso provvedimento è stato disposto per la figlia, Virginia Di Cesare, rappresentante legale della “Made Petrol Italia Srl”. È stato confermato il carcere, invece, per gli imprenditori Antonio e Giuseppe D’Amico che la Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, indica vicini alla cosca Mancuso. Sono loro i principali indagati dell’inchiesta che ha dimostrato l’interesse del clan di Limbadi negli affari legati al petrolio. I due imprenditori d’Amico, secondo i pm, volevano scappare in Brasile. Prima del fermo, eseguito l’8 aprile scorso, sapevano di essere indagati e a un soggetto che lavora in Sudamerica hanno confidato la loro intenzione di fuggire: “Se piglia che capita qualche cosa, là ce ne veniamo e vediamo che cazzo ci trova… tu ci puoi fare…”. “Non ti preoccupare che la strada la trovo io” è stata la risposta data ad Antonio D’Amico. Suo fratello Giuseppe, invece, è stato intercettato con Silvana Mancuso, nipote del boss Luigi Mancuso (anche lui è indagato).
Proprio a Silvana Mancuso e a un broker milanese, Francesco Saverio Porretta (entrambi finiti in carcere), Giuseppe D’Amico ha descritto il progetto di un oleodotto davanti alla costa di Vibo Valentia. “Tu fai una boa a mare ad un km e mezzo e ti arriva una petroliera da 25mila metri ton quindi tu non guadagni solo sulla movimentazione di prodotti petroliferi ma guadagni pure sul gestionale”. D’Amico è entusiasta ma sa che c’è da brigare: “Per fare determinate cose ci vuole … il supporto suo, il supporto amministrativo… e ce lo da la politica. Il supporto economico ce l’ha il russo. E per chiudere il cerchio, ci vorrebbe la squadretta e il compasso”. Il riferimento è alla massoneria. Anche se non andrà in porto, il progetto è ambizioso: “Se lo Stato viene là… poi noi facciamo lo Stato”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, inoltre, c’è un capitolo dedicato alle “proiezioni dei Mancuso su Milano e la trattativa con i kazaki”. In sostanza, secondo i pm, la ‘ndrangheta è riuscita a sedersi allo stesso tavolo con i rappresentanti del gruppo petrolifero internazionale “Rompetrol”.
Lo ha fatto fisicamente attraverso il kazako Arman Magzumov, “rappresentante del gruppo KazMunayGas per l’Europa”, che è stato in Calabria assieme ad un altro broker “per constatare la fattibilità dell’operazione ideata dai Mancuso”. Hanno pranzato in un’osteria ed enoteca con il boss Luigi Mancuso detto lo “Zio”. A quel tavolo doveva esserci anche il presidente della Rompetrol, però “per impegni di lavoro, era stato trattenuto in Romania. A rappresentarlo, in quel pranzo c’era Magzunov che poi avrebbe informato i kazaki sulla fattibilità del progetto che prevedeva, in sostanza, il clan di Limbadi in società con il colosso internazionale attraverso gli imprenditori D’Amico. L’idea, infatti, consisteva “nell’apertura – scrive il gip – di un canale di approvvigionamento di carburante proveniente direttamente dal gruppo petrolifero internazionale Rompetrol, da distribuire in particolare nella provincia vibonese attraverso il supporto della cosca Mancuso”. “È indubbio – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – che le attività poste in essere dagli indagati, nel corso del tempo, abbiano rafforzato o comunque consentito il mantenimento dell’operatività della ndrangheta nel settore dei carburanti”.
L’operazione “Petrolmafie Spa” è collegata, almeno per quanto riguarda il filone coordinato dalla Dda di Catanzaro, alla maxi-inchiesta “Rinascita-Scott”. Per il gip Valenzi. “il quadro che ne fuoriesce ha certamente il pregio di restituire uno spaccato assolutamente allarmante della compenetrazione della ‘ndrangheta nel mondo dell’imprenditoria, perpetrata attraverso l’uso di metodologie, per certi versi, meno violente del tipico agire mafioso, ma comunque particolarmente insidiose, che vedono l’attivo coinvolgimento di numerosi imprenditori e professionisti, i quali, attraverso sofisticate pratiche fraudolente sono stati capaci di assicurare l’insinuazione del clan Mancuso in diversi settori dell’economia, riempendone le casse”. Dalle carte dell’indagine e, soprattutto dalle intercettazioni registrate dalla guardia di finanza e dal Ros, infatti, emergono “intere trattative, che hanno consentito di ricostruire, passo passo, come avviene l’inserimento della ‘ndrangheta nel tessuto economico, restituendo una formidabile dimostrazione degli accordi spartitori del mercato tra consorterie e dei metodi attraverso i quali la ‘ndrangheta si espande nel circuito economico”.