L'operazione, che prevede l'estradizione, ha riguardato dieci persone. Ex brigatisti rossi, ex di Lotta ed ex Nuclei armati contro il potere territoriale. Uno ancora in fuga, si tratta di Maurizio Di Marzio
A poco più di 24 ore dall’arresto di sette ex terroristi di estrema sinistra, condannati per reati di sangue commessi in Italia negli anni di Piombo, e la decisione di altri due di consegnarsi alle autorità francesi, il giudice che ha presieduto la prima udienza ha deciso che, mentre sarà analizzata la possibilità dell’estradizione, questi non attenderanno l’esito dell’esame in carcere, ma in regime di libertà vigilata. Secondo quanto appreso dall’Ansa, il giudice ha stabilito per loro diversi gradi di restrizioni, legati probabilmente anche alla diversa età e condizioni di salute. Tutto nel giorno in cui anche i due ex brigatisti, Luigi Bergamin e Raffaele Ventura, avevano deciso di consegnarsi alla giustizia francese, dopo 24 ore di latitanza seguite agli arresti dei loro compagni di movimento, Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, del fondatore di Lotta Continua,Giorgio Pietrostefani, e del membro dei Nuclei armati contro il potere territoriale, Narciso manenti. L’unico di cui si sono al momento perse le tracce è l’ex Br Maurizio Di Marzio.
L’operazione scattata ieri, che prevede l’estradizione, ha riguardato in tutto dieci persone condannate per terrorismo. Solo sette erano state arrestate dalla polizia, mentre altre due si sono costituite spontaneamente in mattinata. “È una buona notizia, si è costituito, vuol dire che ha capito, è un’ammissione. Adesso potrà scontare le proprie colpe”, commenta Adriano Sabbadin, il figlio del macellaio Lino Sabbadin, ucciso nel 1979 dai Pac, a proposito della decisione di Bergamin. Sull’operazione che ha visto la collaborazione tra Italia e Francia, Sabbadin ha aggiunto: “Io non ho mai avuto dubbi sulla giustizia italiana”.
L’iter si annuncia lungo, l’eventuale estradizione sarà possibile “non prima di 2 o 3 anni”, ha avvertito l’Eliseo. Dieci giorni fa, la telefonata di Draghi a Macron, nella quale è stata sancita in modo definitivo la disponibilità di Parigi a dare il via libera alla magistratura francese per esaminare le richieste italiane di estradizione. “Due fattori hanno concorso a questo esito – ha spiegato una fonte dell’Eliseo -, il fascicolo ormai giunto a maturazione e una relazione tra i due Paesi che si è fortemente consolidata. E in modo molto netto ora con Macron e Draghi. È un rapporto nel quale torna la piena fiducia, un momento storico delle nostre relazioni”.
Scontato che tutti i fermati, a domanda della procuratrice, abbiano risposto di non accettare l’estradizione. Spetterà quindi alla magistrata decidere. Se riterrà che vi siano i presupposti per estradarli, come appare probabile, la parola passerà poi ai processi veri e propri, che si svolgeranno nei prossimi mesi – caso per caso – nella Chambre de l’Instruction, con il rito tradizionale: avvocato, eccezioni di ogni tipo, rinvii per malattia, esame delle condizioni in cui si svolse il processo che li condanna in Italia e molto altro. Una volta che la Chambre avrà preso una decisione, l’imputato potrà fare ricorso in Cassazione quando la sentenza sarà divulgata. Questi giudici dovranno verificare se esistevano le condizioni corrette per concedere l’estradizione. Alla fine, toccherà al primo ministro firmare un decreto di estradizione, che però potrà essere a sua volta impugnato per un ricorso amministrativo davanti al Consiglio di stato. La strada, insomma, è ancora lunga.