In un nuovo studio, un team dell’Università del Texas ha provato a codificare una frase presa da un libro su una piccola molecola di plastica, nella speranza di contribuire a dimostrare la fattibilità di un nuovo tipo di tecnologia per la memorizzazione dei dati. L’archiviazione infatti è sempre stata un problema ma con l’attuale incremento esponenziale della produzione dei dati – parliamo di 1.145 trilioni di megabyte di dati al giorno – i nastri magnetici normalmente utilizzati nei data center per l’archiviazione non sono all’altezza del compito. La mancanza di tecnologie di storage efficace stanno dunque creando un collo di bottiglia e il sistema attuale non è in grado di tenere il passo con la domanda.

La ricerca sta dunque tentando di identificare tecnologie alternative più piccole, stabili ed efficienti rispetto agli attuali dischi rigidi digitali. Recentemente l’interesse si è focalizzato sull’archiviazione dei dati nel DNA. La molecola del DNA ha infatti una lunga durata, fino a 500.000 anni se conservato correttamente, superando di gran lunga la durata potenziale di carta e inchiostro. Tuttavia tale soluzione richiede di mantenere i supporti nell’assoluta sterilità, richiedendo un’attenta gestione, aspetti che rendono costosa la memorizzazione delle informazioni.

Ma c’è un’altra classe di materiali noti per durare anche più a lungo del DNA: le plastiche. Questi prodotti sintetici scoperti un secolo fa offrono stabilità, facilità di produzione e potenziale di stoccaggio che superano di gran lunga quelli del DNA. Queste plastiche, o più specificamente i polimeri, sono molecole a catena lunga che possono essere descritte più facilmente come contenenti più unità di ripetizione, ciascuna nota come monomero.

Foto: Depositphotos

I ricercatori calcolano che le quattro coppie di basi – coppie di blocchi di costruzione del DNA – possono memorizzare 10¹⁹ bit di informazioni per metro cubo. Ma quando usiamo i polimeri, abbiamo più di quattro elementi costitutivi tra cui scegliere. In effetti, ci sono tutte le scelte di monomeri esistenti attualmente, quindi c’è il potenziale per aumentare esponenzialmente la densità delle informazioni.

Per la propria ricerca il team di ricercatori universitari ha usato sedici diversi amino-alcoli cuciti insieme per creare diciotto molecole più lunghe, chiamate oligomeri, ciascuna composta da singoli monomeri. All’interno delle molecole più lunghe, le combinazioni di monomeri corrispondevano a lettere specifiche, con monomeri più economici corrispondenti a lettere più comunemente usate. Alla prima verifica indipendente di convalidazione del metodo è stato possibile recuperare solo il 98,7% dei dati, ma grazie ad alcune modifiche del processo di lettura è stato possibile decifrare l’intera sequenza di 158 sequenze di monomeri senza errori.

L’uso futuro di tale soluzione dipenderà probabilmente dalla disponibilità commerciale di monomeri, ma il potenziale è vasto. Il team in Texas prevede di esaminare le strozzature riguardanti la scalabilità di questo metodo, controllando la velocità e l’efficienza dei processi di scrittura e lettura.

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