I magistrani hanno chiuso le indagini contestando l’accusa di omicidio colposo e ritenendo le emissioni della fabbrica la causa della malattia che il piccolo Lorenzo sviluppò nei primi mesi di vita. Il tribunale ionico ha fissato per il 22 luglio la prima udienza preliminare
La procura di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti dei 9 dirigenti dell’ex Ilva indagati per la morte del piccolo Lorenzo Zaratta, ucciso il 30 luglio 2014 da un tumore al cervello a soli cinque anni. I magistrani hanno chiuso le indagini contestando l’accusa di omicidio colposo e ritenendo le emissioni della fabbrica la causa della malattia che il piccolo Lorenzo sviluppò nei primi mesi di vita. Il tribunale ionico ha fissato per il 22 luglio la prima udienza preliminare.
Secondo i pubblici ministeri Remo Epifani e Mariano Buccoliero, i dirigenti ”consentivano la dispersione di polveri e sostanze nocive provenienti dalle lavorazioni delle Aree: Parchi Minerali, Cokerie, Agglomerato, Acciaierie e Gestione Rottami Ferrosi dello stabilimento siderurgico, omettendo l’adozione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali” e questo avrebbe causato “una grave malattia neurologica al piccolo Lorenzo Zaratta che assumeva le sostanze velenose durante il periodo in cui era allo stato fetale” e avrebbe così sviluppato una “malattia neoplastica che lo conduceva a morte”.
Tra i dirigenti dell’Iva compaiono i nomi di Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento Ilva fino al 3 luglio 2012 e gli ex responsabili dell’Area Parchi Minerali Giancarlo Quaranta e Marco Andelmi, il responsabile dell’Area Agglomerato Angelo Cavallo, il capo dell’Area Cokerie Ivan Di Maggio, il responsabile dell’Area Altiforni Salvatore De Felice, i capi delle due Acciaierie Salvatore D’alò e Giovanni Valentino e infine Giuseppe Perrelli, all’epoca dei fatti responsabile dell’area Gestione Rottami Ferrosi.
L’indagine è nata dagli studi che i consulenti dell’avvocato Leonardo La Porta – che assiste la famiglia Zaratta – hanno portato avanti, accertando la presenza di ferro, acciaio, zinco e persino silicio e alluminio nel cervello di Lorenzo. In quel documento, Antonietta Gatti, fisico e bioingegnere, autrice di una serie di analisi sui campioni biologici del piccolo Lorenzo, ha parlato di caso “emblematico” perché “trattandosi di un bambino la cui patologia tumorale si è resa manifesta nei primi mesi di vita quando le esposizioni ambientali sono molto limitate se non quasi nulle stante lo stile di vita caratteristico dell’età”.
Insomma un neonato non dovrebbe aver generato una malattia così grave. La causa, quindi, per Gatti, “è da ricercare nell’esposizione della madre durante la gravidanza”. La mamma di Lorenzo, durante nove mesi di attesa, ha lavorato per alcuni periodi nel quartiere Tamburi, a pochi metri dalle ciminiere e dalle emissioni nocive dell’Ilva. “La possibile spiegazione – si legge in una relazione – della presenza di polveri d’acciaio” nel corpo di Lorenzo “è legata al fatto che, all’epoca della gravidanza, la madre viveva a Taranto e lavorava in una zona notoriamente soggetta a inquinamento di polveri da acciaieria” e di “numerose altre polveri come quelle di magnesio e di zinco” che risultano “compatibili con la stessa provenienza”. Il 22 luglio, quindi gli imputati avranno la possibilità di scegliere se essere giudicati o meno con rito abbreviato: toccherà alla giudice Paola Incalza decidere sull’eventuale richiesta di condanna o tra il proscioglimento e il rinvio a giudizio per coloro che opteranno per il rito ordinario.