Ricordate gli estremisti di destra che cantavano “Eia Eia Alalà” in piazza San Sepocro a Milano? Era il 23 marzo del 2019 e stavano celebrando la fondazione dei fasci di combattimento urlando lo slogan di d’annunziana memoria, tanto caro alle squadracce d’azione. Per questo motivo il 3 marzo scorso sette di loro sono stati condannati a due mesi di reclusione e al pagamento di una multa di 150 euro per apologia del fascismo. Le indagini furono molto facilitate da un video postato da Blocco Studentesco, il gruppo giovanile di Casapound. Per la Digos fu molto semplice identificare uno a uno tutti quelli che cantavano quell’inno.
L’episodio di piazza San Sepolcro è solo uno dei tanti casi di manifestazioni apertamente in contrasto con la legge Mancino che punisce comportamenti pubblici di propaganda delle idee fondate sulla superiorità della razza e di istigazione a commettere violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religioso: legge poco applicata in passato secondo molti e che ora trova maggiore forza anche nelle motivazioni della sentenza contro gli urlatori di Eia Eia Alalà, depositate lo scorso 3 marzo. I giudici milanesi spiegano che la propaganda dell’ideologia fascista può essere realizzata in vari modi, non è necessario che sia esercitata violenza fisica. Insomma, i gesti e simboli riconducili al regime fascista, sbandierati pubblicamente, sono in sé un pericolo per la nostra società perché si rifanno a idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, “condotte potenzialmente idonee“, scrivono i giudici “a determinare la messa in pericolo dell’ordine pubblico” che è un bene protetto dal nostro ordinamento sopra ogni cosa.
Se vi pare eccessivo legare uno slogan, seppure tratto dal peggiore repertorio della retorica del ventennio, all’ordine pubblico, ebbene i giudici sono ancora più chiari: l’ordine pubblico, precisano nelle loro motivazioni, “in senso materiale” deve essere “inteso come situazione di convivenza pacifica, assenza di violenza e disordine, pubblica tranquillità, sicurezza collettiva, vale a dire la condizione di pacifica convivenza immune da disordine e violenza”. E’ questa condizione che la legge tutela e che è minacciata “dall’esibizionismo razzista in luoghi pubblici di un simbolo, di una figura, di un emblema”, finanche “di un segno distintivo di organizzazioni” che si rifanno esplicitamente ad una ideologia violenta. Dunque un “segno”: per il tribunale anche in un piccolo gesto c’è il pericolo astratto di minare i vincoli sociali.