È di 6,6 miliardi la cifra che il governo italiano ha previsto di stanziare per il turismo e la cultura nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza appena approvato da entrambi i rami del Parlamento. Il 3,49% del totale di 191,5 miliardi, cui vanno sommati 1,46 miliardi provenienti dal Fondo nazionale complementare per le quali non ci sarà bisogno di rendicontare a Bruxelles. Come accaduto per tutti i precedenti governi di questa legislatura, anche Mario Draghi dimostra di avere più attenzioni per la valorizzazione del patrimonio culturale e il suo utilizzo a fini turistici, piuttosto che preoccuparsi della sua tutela.
Delle 12 voci di spesa del Pnrr dedicate a turismo e cultura, solo un paio puntano alla conservazione del patrimonio (circa 1,3 miliardi), mentre la somma restante (5,38 miliardi) sarà impiegata per la valorizzazione e implementazione dell’appeal delle nostre risorse culturali. Come se il patrimonio che il passato ci ha lasciato in eredità, prima che da tutelare, fosse soprattutto da sfruttare. Per esempio solo 500 milioni di euro (pari allo 0,26% del totale) sono destinati a “interventi sul patrimonio “fisico”” che saranno “accompagnati da un importante sforzo per la digitalizzazione di quanto custodito in musei, archivi, biblioteche e luoghi della cultura, così da consentire a cittadini e operatori di settore di esplorare nuove forme di fruizione del patrimonio culturale e di avere un più semplice ed efficace rapporto con la pubblica amministrazione”. È innegabile che l’Italia sia un immenso archivio/biblioteca e che le generazioni future contano sull’accessibilità a questo genere di sapere che va protetto in ogni modo. Tuttavia fino a questo momento la digitalizzazione del patrimonio (soprattutto cartaceo) ha balbettato, ignorando il fatto che in un tempo non troppo lontano archivi e biblioteche diverranno magazzini chiusi e tutto dovrà essere protetto e disponibile online, in tempo reale, alla portata di un clic. Una rivoluzione digitale che non genera reddito immediatamente, ma aiuta a capire come mettere in relazione tutela e valorizzazione.
Altri 800 milioni di euro del Pnrr saranno destinati alla “Sicurezza sismica nei luoghi di culto, restauro del patrimonio culturale del Fondo Edifici di Culto e siti di ricovero per le opere d’arte (Recovery Art)”, una voce che pare prevedere poco più che degli spiccioli per la vastità del problema che peraltro mostra più aderenze con piani da protezione civile che culturali considerato che, come si legge nel Pnrr “i terremoti che hanno colpito l’Italia negli ultimi 25 anni hanno messo in luce la notevole fragilità degli edifici storici di fronte agli eventi naturali”.
I restanti 5,38 miliardi di euro del Pnrr saranno pressoché totalmente destinati a temi di natura più turistica, capaci di far ripartire l’economia, o per facilitare l’inclusione e la transizione a standard energetici più sostenibili. Per esempio 300 milioni saranno destinati alla “Rimozione delle barriere fisiche e cognitive in musei, biblioteche e archivi per consentire un più ampio accesso e partecipazione alla cultura” e la stessa cifra potrà essere spesa per “Migliorare l’efficienza energetica di cinema, teatri e musei”.
La tutela e la valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale, così come i programmi per “valorizzare l’identità di luoghi: parchi e giardini storici”, potrà assorbire fino a 900 milioni, mentre la voce più consistente di questo ambito di intervento turistico-culturale è costituito dai “Fondi integrati per la competitività delle imprese turistiche“: sono cinque, tutti destinati ad “affrontare una serie di “nodi irrisolti” del sistema turistico italiano, dalla frammentazione delle imprese turistiche, alla progressiva perdita di competitività in termini di qualità degli standard di offerta, età delle infrastrutture ricettive, capacità di innovare e cura dell’ambiente”, e ottengono 1,8 miliardi. Ai quali si aggiungeranno 1,02 miliardi destinati all’Attrattività dei borghi, col chiaro intento di allentare la pressione sulle cosiddette “città d’arte” – se mai si dovesse ripresentare il problema -, le quali da oltre un anno soffrono l’assenza dei turisti. Resta da vedere se una più razionale distribuzione dei viaggiatori sul territorio nazionale è obiettivo raggiungibile con interventi mirati sulle imprese turistiche e i borghi antichi invece che con un diverso rapporto coi tour operator, abili nell’architettare senza alcuno scrupolo vacanze mordi-e-fuggi tagliate per ogni tasca?
Il restante miliardo sarà speso per lo Sviluppo dell’industria cinematografica (Progetto Cinecittà) a cui vanno 300 milioni, la Capacity building per gli operatori della cultura per gestire la transizione digitale e verde (160 milioni), l’Hub del turismo digitale (100 milioni) e Caput Mundi-Next Generation EU per grandi eventi turistici, ovvero 500 milioni da spendere solo per Roma.
Infine nell’ambito di turismo e cultura, il Pnrr prevede anche due riforme – senza alcun investimento – dedicate all’Adozione di criteri ambientali minimi per eventi culturali (cioè il miglioramento dell’impronta ecologica degli eventi culturali – come mostre, festival, eventi culturali, eventi musicali – attraverso l’inclusione di criteri sociali e ambientali negli appalti pubblici per eventi culturali finanziati, promossi o organizzati dalla pubblica autorità) e all’Ordinamento delle professioni delle guide turistiche, tra quelle che più stanno patendo le conseguenze della pandemia, con l’obiettivo di “creare un ordinamento professionale alle guide turistiche e al loro ambito di appartenenza” al fine di standardizzare i livelli di prestazione del servizio su tutto il territorio nazionale.
Da segnalare che nell’ambito di turismo e cultura del Pnrr, escluso il paragrafo dedicato al “Progetto Cinecittà”, non si fa menzione dello spettacolo, che pure appartiene alle attività culturali e sta ancora pagando un tributo altissimo alla crisi Covid, né del patrimonio immateriale, da anni ormai riconosciuto dall’Unesco, e tantomeno di personale. Ma per mettere in atto tutti questi progetti occorrerà del personale, anche specializzato, formato, destinato magari a un rapporto più lungo di un semplice periodo di “ripresa e resilienza”.