Al momento quello che si sa è che l'indagine c'è ed è a modello 21 ovvero con l'iscrizione del reato e di uno o più indagati. Il numero degli iscritti non è noto e su questo dagli uffici giudiziari, guidati da Raffaele Cantone, nulla trapela
La procura di Perugia ha aperto un fascicolo per far luce su una vicenda la cui complessità e vicenda sta facendo fibrillare la magistratura italiana. Al momento quello che si sa è che l’indagine c’è ed è a modello 21 ovvero con l’iscrizione del reato e di uno o più indagati. Il numero degli iscritti non è noto e su questo dagli uffici giudiziari, guidati da Raffaele Cantone, nulla trapela. Cuore della vicenda i verbali di interrogatorio resi, tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, da Piero Amara, ex avvocato esterno dell’Eni, al centro di una complicata rete composta da depistaggi, ricatti e tangenti, e condannato per corruzione in atti giudiziari. I magistrati perugini sono coinvolti perché fanno parte del distretto giudiziario competente per le toghe che possono essere autori di reati o esserne vittima. Ma non c’è solo Perugia a indagare, in campo ci sono anche i pm di Roma che cercano di fare luce su chi, da mesi, invia i dossier anonimi con le dichiarazioni dell’ex legale alle redazioni dei giornali: tra l’ottobre del 2020 e i primi mesi del 2021 sono stati recapitati al Fatto Quotidiano, al Domani, a Repubblica.
Tutto nasce dai racconti fatti davanti ai pm di Milano Laura Pedio e Paolo Storari da Amara. Dichiarazioni clamorose: alcune sono evidentemente delle calunnie, altre sono prive di riscontro, altre ancora sono verosimili. L’avvocato siciliano ha già patteggiato una pena a 2 anni e 8 mesi ed è l’uomo che, sempre per la procura del capoluogo lombardo, ha orchestrato quella torbida vicenda del depistaggio sulle indagini Eni. Mentre la procura di Milano indagava sulla maxi tangente che sarebbe stata pagata dall’azienda del cane a sei zampe in Nigeria – gli imputati sono stati poi assolti in primo grado – Amara fabbricava – almeno secondo gli inquirenti – una indagine parallela e posticcia su un presunto complotto creato contro il numero uno di Eni, Claudio Descalzi. Ecco perché le sue dichiarazioni vanno prese con le molle: il testimone è allo stato considerato credibile solo su una piccola parte della sua dichiarazioni. Per esempio la procura di Perugia ritiene attendibile Amara nelle dichiarazioni su Palamara e, infatti, intende portare l’ex segretario dell’Anm a processo con l’accusa di corruzione.
Sempre le dichiarazioni di Amara hanno portato, nel settembre scorso, alla condanna a 11 anni di carcere per l’ex giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo, accusato di corruzione in atti giudiziari per aver pilotato almeno tre sentenze. Ma molti altri pezzi dei verbali dell’avvocato siciliano sono completamente privi di riscontro se non difficilmente credibili. A cominciare dal suo racconto sull’esistenza di un’associazione segreta – la loggia Ungheria – della quale farebbero parte magistrati, politici e alti esponenti delle istituzioni. Tra gli obiettivi della Ungheria anche quella di condizionare le nomine in magistratura. Qualcosa che ricorda molto da lontano gli accordi svelati dal trojan inserito nel cellulare di Luca Palamara con l’ormai notissimo convivio all’hotel Champagne.
Nei racconti di Amara anche dichiarazioni calunniose come quelle su Sebastiano Ardita, stimato consigliere del Csm. Per l’ex legale la toga farebbe parte della loggia Ungheria. Ardita è già stato a Perugia per smentire per tabulas – cioè con elementi concreti alla mano – le calunnie dell’avvocato. Insomma le dichiarazioni di Amara sono tutte da verificare. Ed è quello che – secondo l’Ansa – avrebbe voluto fare Paolo Storari, uno dei due pm che ha interrogato a Milano l’avvocato siciliano. Per circa sei mesi, tra fine 2019 e maggio 2020, il magistrato ha chiesto ai vertici dell’ufficio della Procura, anche per iscritto, di effettuare delle iscrizioni nel registro degli indagati per andare a verificare le dichiarazioni di Amara. Non avendo risposte sulle iscrizioni, il pm milanese, come forma di autotutela, nella primavera del 2020 ha deciso di consegnare i verbali all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Un atto che può apparire irrituale ma che dal punto di vista di Storari equivale semplicemente a essersi rivolto all’unico consigliere di Palazzo dei Marescialli che conosceva e di cui si fidava. “Non c’è stato nulla di irrituale. Cosa deve fare un pm se non gli fanno fare ciò che deve, cioè iscrivere la notizia di reato e fare indagini per sapere se è fondata?” dice Davigo spiegando che non c’è stata nessuna violazione del segreto con la consegna dei verbali, perché “il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm”. L’ex magistrato di Mani Pulite spiega di aver “informato chi di dovere” dei verbali di Storari. Come ha svelato il Fatto Quotidiano, “chi di dovere” è il Colle: Davigo ha subito informato del contenuto di quei verbali il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Alcuni mesi dopo che Storari si confida con Davigo, e che quest’ultimo sale al Quirinale per informare Mattarella, i verbali di Amara cominciano a girare. Ma sotto forma di dossier anonimi spediti alle redazioni dei giornali tra l’ottobre del 2020 e il febbraio scorso. A spedirli, almeno secondo la procura di Roma, è Marcella Contrafatto, impiegata del Csm nella segreteria dell’allora consigliere Davigo, ora indagata per calunnia, che nei giorni scorsi è stata perquisita a casa e in ufficio. Nel suo computer i pm hanno trovato copie degli atti spediti. Palazzo dei Marescialli ha sospeso l’impiegata, che dopo il pensionamento di Davigo lavorava nella segreteria del consigliere laico Fulvio Gigliotti. Interrogata dai pm, Contraffatto si è avvalsa della facoltà di non rispondere e la sua difesa ha fatto ricorso al Riesame. Con quale obiettivo, dunque, le parole di Amara sono state recapitate ai giornali? A parte il racconto della superloggia segreta, nei suoi interrogatori Amara ne ha per tutti. Fa i nomi di alcuni magistrati che si sarebbero rivolti a lui per ottenere promozioni e tira in ballo anche l’ex premier Giuseppe Conte al quale, a suo dire, avrebbe fatto ottenere tra il 2012 e il 2013 consulenze dal gruppo Acqua Marcia Spa per circa 400 mila euro. Il verbale con le accuse all’ex presidente del consiglio è stato spedito anche al quotidiano Domani, che l’ha pubblicato nei giorni scorsi.