SE ESPLODI FALLO PIANO - 2/2
Con Se esplodi fallo piano di Lucilla Agosti (Mondadori) mi tocca infrangere le regole. Ci ho pensato e ripensato ma devo farlo, devo parlarvi del finale. So bene che non si fa, soprattutto in una recensione, e infatti starò ben attenta a non fare “spoiler”, come si dice in gergo. Però proprio il finale ha ribaltato il mio giudizio su questo libro. Mi ha spiazzata, completamente. Tanto che vi confesso che all’inizio ho pensato ci fosse un errore nel Pdf, che l’ebook fosse danneggiato e mancasse una parte. Quando ho letto l’ultima frase non ci volevo credere. Vi giuro, ho passato dieci minuti buoni a scorrere le pagine successive, contemplando attonita i ringraziamenti e leggendo e rileggendo quell’ultimo paragrafo. Pazzesco, veramente. Perché Se esplodi fallo piano è romanzo delicatissimo e dolcemente introspettivo, sintetizzato meravigliosamente dall’ossimoro che gli dà il titolo. Quell’“esplodere piano” è infatti il monito che la protagonista, Carla, si sente ripetere un po’ da tutti quando scopre che suo marito Filippo ha un’amante. I suoi sospetti si fanno certezza e il suo mondo che già si reggeva su un equilibrio instabile e alquanto precario si disintegra in mille pezzi come il vasetto di marmellata che scaglia con rabbia contro il muro della casa in montagna dei suoceri. Lei è la vittima della situazione, eppure tutti la redarguiscono, insinuano che sia colpa di quel suo carattere alquanto umorale e schietto se Filippo se ne è andato. Dalla sua, lui è un uomo indeciso, incapace di prendere una posizione (ipotizzerei un Acquario), ben diverso dal giovane audace che la seguì e la conquistò dopo averla incontrata per caso dal benzinaio. Sono una coppia decisamente male assortita, divisa tra un pizzico di sano egoismo, le aspirazioni di far carriera e le preoccupazioni per quel figlio che ha smesso di parlare con loro. Che fine hanno fatto quel Filippo e quella Carla che si erano innamorati anni prima, che avevano deciso di costruire una famiglia? Le loro strade si dividono ma ad un certo punto la nostalgia, o forse l’abitudine, li fanno riavvicinare. Carla è una tosta, non dimentica, non riesce a staccare mai la testa da quello che le è successo, nemmeno mentre è a letto con un affascinante pornoattore. Corre a rifugiarsi tra le braccia della mamma, una donna che ha finito per ricoprire il suo animo hippie con una patina di conformismo borghese. La vera svolta arriva quando l’amante le chiede di incontrarsi. Lei accetta, si prepara, raggiunge il luogo dell’appuntamento. E poi quel finale che proprio non mi è andato giù (ma che voi, magari, potreste amare, nel caso fatemelo sapere). Peccato, davvero. Voto (carico di delusione): 5.
L’ANNO CHE A ROMA FU DUE VOLTE NATALE
“Ti rendi conto di quello che stai a dì? Ma poi che ne sai, magari l’ha voluto lei. In tutti i modi che possiamo fare? A mà, te prego, sii bona. C’avemo già tanti cazzi”. L’anno che a Roma fu due volte Natale (Sem) di Roberto Venturini si sintetizza in questa breve affermazione di Marco, ex bimbo prodigio delle pubblicità tv anni ottanta, verso la madre Alfreda, signora sovrappeso, affetta da un principio di demenza, auto-rinchiusasi senza mai lavarsi e tra cumuli di inutili oggetti, nel suo villino del Villaggio Tognazzi a Torvaianica. Spazio e personaggi come riflesso antropologico di una grandeur urbana, sociale ed economica che fu. Quel crocicchio di strade isolate del litorale romano divenute celebri perché Ugo Tognazzi vi si installò nei primi anni sessanta acquistandone diversi lotti e trascinandosi dietro Luciano Salce e Raimondo Vianello. Il racconto tragicomico di Venturini si aggancia a quel luogo e vi si adagia nel presentare psicologie dei personaggi e antefatti (la morte accidentale e bizzarra del padre di Marco in mare) mostrando come in uno specchio gli echi di una piccola borghesia decaduta, oggi spappolato sottoproletariato nuovamente anonimo, che ha sfiorato l’incontro con la grazia di uno showbiz cinetelevisivo mitizzato nella sua raggiungibile normalità. Una eco che rimane nella memoria di Alfreda imbambolata nel veder spesso apparire in sogno Vianello e la Mondaini nella sua camera da letto. Sarà la divisione postuma di lapidi dei due divi tra Roma e Milano a diventare ossessione da sanare per la donna, doppio simbolico del suo ricongiungimento in mare con il marito. Primo atto appunto più leggiadro, malizioso e politicamente pop (il peso delle pile non solo fisico di Tv Sorrisi e Canzoni per dire); secondo atto modello “Soliti Ignoti tarantiniano” inclinato sul gruppo naif di criminali da strapazzo e l’effetto descrittivo pulp del loro agire tra cimiteri. Il risultato è diseguale: risoluta e matura osmosi compositiva nel primo atto, costruzione della frase nel secondo atto che torna continuamente e inspiegabilmente su se stessa. Un consiglio: un po’ meno paragoni/coperta di Linus (Nowzaradan, Gotham City) e più affidamento al proprio istinto creativo che comunque c’è. Voto (tra le cianfrusaglie accatastate): 7 primo atto, 5 il secondo, media 6