L’operaio che tra pochi giorni, a 60 anni, verrà licenziato perché l’azienda ha delocalizzato in Romania. Dopo averlo mandato a insegnare ai colleghi di Slatina come fare il suo lavoro. La commessa a cui la multinazionale delle profumerie ha annunciato che in Italia chiuderà i battenti. L’assistente di volo che vive sulla sua pelle il disastro Alitalia: la compagnia non ha i soldi per anticipare la cassa integrazione, così l’ultimo stipendio è stato di 90 euro. Il ristoratore che non riuscirà a riaprire e l’ambulante che al suo banco al mercato ha già rinunciato. Per loro questo Primo maggio, il secondo dall’inizio della pandemia, è un altro giorno di attesa e incertezza. Sono i lavoratori in bilico: alcuni sono in cig da più di tre mesi e l’Istat già li conta tra gli oltre 900mila disoccupati lasciati in eredità dal Covid, altri rischiano di diventarlo a breve visto che il blocco dei licenziamenti non può nulla davanti a fallimenti o cessazioni definitive dell’attività.
Le sette storie raccolte da ilfattoquotidiano.it sono la punta di un iceberg: nella stessa situazione si trovano i lavoratori coinvolti nei circa 100 tavoli di crisi aperti da mesi ma più spesso da anni al ministero dello Sviluppo – tra loro i 400 della Whirlpool di Napoli, i 700 della ex Blutec di Termini Imerese, i 480 della Jabil di Marcianise – e quelli di aziende già in liquidazione come Air Italy o sull’orlo del fallimento come Cin. Insieme a loro tutti i dipendenti e gli autonomi che, dopo la seconda ondata di restrizioni anti contagio, rischiano di non farcela ad agganciare la ripresa.
“Io, licenziato tra tre giorni a 60 anni. L’azienda si è spostata in Romania: qui siamo ricattati, lì sfruttati”
Marcello Gostinelli è entrato nello stabilimento Pirelli di Figline Valdarno il 10 dicembre 1984, a 22 anni. È in cassa integrazione dal 2018 e da allora di lettere di licenziamento ne ha già ricevute tre. Il 4 maggio 2021, salvo sorprese, arriverà quella definitiva. Quasi 60 anni, una figlia da mandare all’università, lo aspettano “due anni di disoccupazione a 750 euro al mese”. Negli anni migliori a produrre la cordicella metallica per tenere insieme gli pneumatici erano in più di mille persone. Ne restavano poco più di 300 nel 2018, quando la multinazionale olandese Bekaert, che cinque anni prima aveva comprato la fabbrica e tutto il ramo d’azienda, ha comunicato l’intenzione di delocalizzare in Romania. “Fin da metà anni Novanta la Pirelli ci aveva mandati nei suoi stabilimenti in Est Europa a insegnare agli operai come fare i nostri prodotti”, racconta Gostinelli. “Ora la Bekaert ha trasferito la produzione là. Del resto io con i premi guadagnavo 1.700 euro al mese, contro i meno di 500 di un collega rumeno. Aggiungi che lì non c’è sindacato né vincoli sulla sicurezza… Se l’Europa non pensa a unificare i diritti, oltre alla moneta, qui saremo sempre ricattati e là sempre sfruttati“. In questi anni di cassa – e riavvio della procedura di licenziamento ogni volta che scadeva – 200 lavoratori sono arrivati all’età della pensione o hanno trovato un altro posto, lui e altri 119 no. “Nel 2019 abbiamo fondato una cooperativa per rilevare l’azienda, ma non ci hanno preso in considerazione. Poi ho provato a entrare alla Laika di San Casciano in Val di Pesa, alla catena di montaggio dei camper, ma non ero abbastanza veloce: alla fine del periodo di prova non mi hanno confermato”. A febbraio Regione, Cisl e Uil (contraria solo la Fiom Cgil) hanno sottoscritto un accordo in base al quale alla scadenza degli ammortizzatori, il 4 maggio appunto, Bekaert avrebbe licenziato. “Per noi è la fine. Abbiamo tutti più di 50 anni, io quasi 60. Abbiamo acciacchi. Non troveremo altro”. Il 30 aprile il tavolo al Mise è stato aggiornato proprio al 4 per un supplemento di riflessione.
“In cig a rotazione dal 2010, ora siamo al capolinea. A 48 anni trovo solo contratti di pochi mesi”
“A partire dal 2010 ci siamo decurtati lo stipendio, abbiamo rinunciato ai benefit, siamo andati in cig a rotazione: significa prendere intorno ai 1000 euro al mese solo se sei fortunato e hai gli assegni famigliari. Ma Whirlpool ha continuato a potenziare gli stabilimenti in Slovacchia e depotenziare quelli in Italia. Poi nel 2018 ha venduto a Embraco a Nidec e il nostro stabilimento, che era una punta di diamante, è rimasto fuori: hanno deciso di chiuderci”. Daniele Barbuto ha lavorato per metà dei suoi 48 anni nel reparto motori elettrici per frigoriferi della fabbrica di Riva di Chieri. Per lui il licenziamento arriverà il 22 luglio, dopo anni di speranze deluse. Ventures, scelta nel 2018 per farsi carico della reindustrializzazione salvo finire fallita e con i vertici accusati di aver svuotato le casse per spese personali invece di investire, “doveva produrre robot per pulire i pannelli fotovoltaici ma dopo aver smantellato tutte le linee ci ha fatto solo riverniciare i muri, di un colore diverso ogni due settimane. Il Mise ci rassicurava, dicendo che erano solo in ritardo sulla tabella di marcia”. Ora la curatela ha fatto sapere che la cig non può essere prorogata. C’è un altro progetto di rilancio in ballo, c’è la promessa del ministero del Lavoro di trovare una soluzione per gli ammortizzatori. “Ma di promesse ne abbiamo sentite tante. Difficile ora credere che possano arrivare buone notizie”. Barbuto ha tre figli, la moglie nel 2016 ha perso a sua volta il lavoro e lavora a chiamata come tuttofare nelle mense ospedaliere. “Il futuro? E’ dallo scorso autunno che cerco alternative, perché con la cig una famiglia non ci vive, ma attraverso i canali ufficiali non ho trovato nulla. Non volevo farlo, ma ho dovuto iniziare a dare il cv a conoscenti che lavorano in altre aziende chiedendo di parlar bene di me. Così qualcosa è uscito: contrattini di pochi mesi, a volte di soli 15 giorni. Del resto nel posto fisso non ci spero più”.
“La Fca di Melfi ci ha dimezzato le commesse: già licenziati 15 tra interinali e somministrati”
“L’unica certezza che abbiamo è l’incertezza”, scherza con un retrogusto di amarezza Leo Quarticelli, uno dei 183 dipendenti di Iscot, gruppo di servizi per l’industria che dal 1992 ha in appalto la pulizia degli impianti Fca di Melfi. La fusione tra Fca e Psa che ha dato vita a Stellantis per ora ha portato soprattutto guai all’indotto italiano. La dirigenza francese è infatti intenzionata ad abbassare il costo degli stabilimenti innanzitutto tagliando i servizi esterni. “Dall’oggi al domani le nostre commesse si sono dimezzate“, racconta Leo, “l’azienda ha parato il colpo licenziando una quindicina tra interinali e staff leasing ma la preoccupazione rimane. Facciamo molta cassa integrazione, il timore è che alla fine del blocco dei licenziamenti qualche ritocco all’organico potrebbe esserci”. Dipenderà anche dal rinnovo dell’appalto a Melfi, scaduto, e per cui è in corso una nuova gara. Iscot se lo aggiudica dal 1992, c’è una ragionevole fiducia che però non è certezza. Tra le aziende che ruotano intorno allo stabilimento di Melfi preoccupano anche “voci insistenti e sinora mai smentite” riguardo la possibilità che venga tolta una linea produttiva. “Se la Jeep Renegade che oggi si fabbrica qui dovesse essere portata altrove, ci sarebbero almeno 1.500 esuberi all’interno dello stesso stabilimento con ovvie ricadute anche sull’indotto”, spiega Leo. “Vorrei che il governo fosse più presente e più vigile su quello che sta accadendo qui. In fondo lo Stato ha garantito un prestito per Fca da 6,3 miliardi di euro anche per favorire il mantenimento dei livelli occupazionali in tutta la filiera. Ha il diritto e il dovere di chiedere che i patti vengano rispettati”.
L’assistente di volo Alitalia: “L’ultimo stipendio? 90 euro. L’azienda non ha i soldi per anticipare la cig”
Novanta euro. E’ l’ultimo stipendio ricevuto da Tiziana, assistente di volo di Alitalia da 22 anni. L’azienda non ha più soldi per anticipare la cassa integrazione, che arriverà quindi con i tempi dell’Inps. “Mi sono confrontata con una collega di Air France. Anche loro volano molto poco a causa della pandemia, più o meno come noi direi, ma il suo ultimo stipendio è stato di 3.400 euro”. C’è sconforto, racconta Tiziana, “ma c’è anche molto orgoglio, molta dignità e senso di appartenenza per un lavoro totalizzante a cui molti di noi hanno sacrificato tanto anche della loro vita privata. Il nostro è considerato servizio pubblico. Abbiamo lavorato sempre, anche nei primi mesi della pandemia quando dispositivi e misure di sicurezza non c’erano. Tanti italiani all’estero li abbiamo riportati a casa noi”. Il 5 maggio i lavoratori di Alitalia saranno di nuovo in piazza. Non per protestare ma per celebrare il 74esimo compleanno della compagnia. “Sarà la giornata dell‘orgoglio Alitalia“, spiega Tiziana, “in cui vogliamo dire al paese che, se ben gestita, la compagnia avrà un ruolo fondamentale per il rilancio”. Tiziana è convinta che Bruxelles stia perseguendo da anni un obiettivo di ridimensionamento a favore della concorrenza. “Oggi Alitalia offre lo stesso servizio di altre compagnia di bandiera in termini di qualità, puntualità e sicurezza ma con un costo del lavoro del 30% più basso. Sotto certi aspetti siamo molto competitivi. Ma far nascere una compagnia con soli 45 aerei è una follia, ne servono almeno 150 e questo sarebbe il momento ideale per investire con gli aeromobili a sconto. L’impressione è che manchi la volontà politica di farlo”. Dopo aver tenuto un ruolo piuttosto defilato sembra che Mario Draghi abbia preso in mano il dossier. Tiziana chiede una cosa: “Non scenda a patti con Bruxelles, non a queste condizioni. Gli strumenti giuridici per percorrere strade alternative ci sono”.
La commessa: “Douglas chiude le profumerie. Trovare un’alternativa è difficile”
“Non vedo la luce in fondo al tunnel, è terribile non sapere cosa ti aspetta per il futuro”. Simona, 46 anni, da 12 lavora nella profumeria della catena Douglas di Piazza Vittorio Emanuele, a Roma. Uno dei 128 negozi che la multinazionale tedesca intende chiudere in Italia nei prossimi mesi: “L’azienda ci ha comunicato questa decisione all’improvviso”, racconta Simona. “Quando ho saputo che il mio punto vendita era uno di quelli coinvolti sono andata nel panico. Faccio questo mestiere da 25 anni e in passato ho sempre trovato lavoro, ma ora è difficilissimo: se non torno in profumeria cosa mi invento? La paura è tanta, ci sono ancora alcuni mesi per sperare, ma viviamo in bilico”. La pandemia ha allargato il problema della disparità di genere e anche nel caso delle profumerie Douglas a pagare sono soprattutto le donne, nettamente in maggioranza tra i dipendenti. “Siamo sempre noi a dover organizzare la nostra vita tra casa e lavoro e chi assume non vede con favore le richieste per conciliare questi due aspetti. Per noi trovare un nuovo lavoro sarà ancora più difficile”.
Il ristoratore: “Lavoravamo con le cerimonie. Ora non riesco a pagare l’affitto: difficile riaprire”
Vito Cerone è sul punto di chiudere il suo ristorante a Valtriano di Fauglia, in provincia di Pisa. Ha preso in gestione questo antico casolare di campagna dieci anni fa e l’ha trasformato in un ristorante molto apprezzato in zona. Un locale che andava forte tra famiglie e gruppi numerosi e lavorava con le cerimonie. “In estate c’era stata una minima ripresa e stavo iniziando a mettermi in pari con i pagamenti arretrati, poi con il secondo lockdown è arrivata la mazzata definitiva”. In questi mesi ha perso più del 70% del fatturato. “Gli ultimi ristori sono arrivati cinque mesi dopo le chiusure. Ma se non lavori non incassi e ora io non riesco a pagare nemmeno l’affitto. Le possibilità di tenere in vita il ristorante oggi sono minime”. Il giorno prima delle riaperture ha scritto un post su Facebook spiegando che Il Poggio D’Oro sarebbe rimasto chiuso, probabilmente per sempre: “Tantissimi mi hanno chiamato, mi sono commosso. I clienti però non sanno cosa sto passando. È una decisione terribile ma inevitabile: non si può vivere così”.
L’ambulante: “Mercati già in crisi prima del Covid. Ho provato a resistere ma ho dovuto fermarmi”
“I mercati erano già in crisi prima della pandemia, troppo forte la concorrenza dei grandi delle vendite online. Il Covid è stato il colpo finale”. Nicola Abruzzese è figlio di ambulanti: ha ereditato l’attività dalla madre e girato i mercati pugliesi con il suo banco di abbigliamento per 25 anni. L’ultimo è stato proprio il 2021. “Io compro i vestiti una stagione prima e devo anticipare i soldi ai fornitori”, racconta. “L’anno scorso mi sono ritrovato con tantissima merce da vendere e i mercati chiusi per mesi. Ho provato a resistere sperando negli aiuti, ma è arrivato troppo poco. Mi sono fermato prima di indebitarmi, non avevo alternative”. Nicola ora è riuscito a trovare un’altra occupazione, ma chiudere il banco non è stato semplice: “Avevo clienti affezionati che mi chiamano ancora. Per mollare il lavoro di una vita ci vuole coraggio, ma ormai ho chiara una cosa: non aprirò mai più una partita iva. Per 25 anni ho mantenuto tre persone e non mi è stato riconosciuto niente. Senza un intervento del governo in questo settore chiuderanno in tanti”.