“Vedere i partiti che si accapigliano sulla vicenda Fedez è il trionfo dell’ipocrisia, perché il ‘sistema’ Rai è esattamente quello della partitocrazia“. Così il sindacato interno Usigrai ha commentato le polemiche politiche aperte dalle parole del cantante contro la Lega al Concertone del Primo maggio e la pubblicazione della telefonata nella quale i vertici di viale Mazzini chiedono di “adeguarsi al sistema”. La politica, oggi indignata, da anni non affronta la questione della riforma del servizio pubblico. L’ultimo a metterci mano fu Matteo Renzi nel dicembre 2015: prometteva di “tenere i partiti fuori dalla Rai“, la sua legge non ha fatto altro che cristallizzare lo spoil system all’interno della tv pubblica. Una proposta vera di riforma giace in Parlamento sempre da ormai sei anni. È stata inserita nel contratto di governo gialloverde nel maggio 2018, è stata riproposta in Parlamento a prima firma Mirella Liuzzi (M5s) il 2 agosto dello stesso anno. Da allora è rimasta a prendere polvere a Montecitorio, senza mai nemmeno essere calendarizzata. Il tema di una riforma sul modello Bbc è stato rilanciato da Beppe Grillo al momento della formazione dell’esecutivo Draghi, ma nessuno ha raccolto la sfida.
“Il Movimento 5 Stelle sin dalla scorsa legislatura ha chiesto che venisse calendarizzata la proposta di legge, a prima firma di Roberto Fico, sulla riforma della Governance della Rai“, scrivono in una nota le deputate e i deputati M5s della commissione Trasporti. “Noi, anche in questa legislatura, abbiamo presentato una seria proposta di riforma del servizio pubblico, a prima firma Mirella Liuzzi, che non è stata ancora calendarizzata ed è finita su un binario morto“, scrivono i Cinquestelle. All’interno della attuale maggioranza, sia il Pd che la Lega ora chiedono dei cambiamenti. “Ci aspettiamo parole chiare dalla Rai, di scuse e di chiarimento”, ha detto il segretario Pd, Enrico Letta. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, a Mezzora in più su RaiTre chiede “un nuovo modello di governance”, rilanciando la sua proposta di legge. “Anche ieri evidenti i danni della sinistra lottizzatrice. Il prossimo ad sia interno e meritevole, senza tessere, parentele o amicizie importanti e sponsor di sinistra”, accusa il leader della Lega, Matteo Salvini. Né il suo partito né i democratici, però, negli ultimi anni hanno mai voluto affrontare il tema centrale: una riforma che liberi la tv pubblica dalla politica.
“Questo è il momento giusto per riformare la Rai e sottrarla alle ingerenze della politica”, scrive su Facebook l’ex premier Giuseppe Conte, sottolineando che adesso “buona parte delle forze politiche rappresentate in Parlamento appoggiano il governo in carica e questo può agevolare un clima di confronto costruttivo e una convergenza su un progetto riformatore. Tutte le forze devono concorrere a compiere l’unica, vera rivoluzione utile a migliorare, anzi a salvare, il servizio pubblico”. Per Conte “è una questione centrale, che riguarda la nostra democrazia“. “La riforma del 2015” della Rai “non si è rivelata adeguata“, scrive ancora l’ex premier, che però sottolinea anche le sue responsabilità: “Io stesso devo ammettere di non essere riuscito, durante gli anni in cui sono stato al governo, a incidere sino al punto di promuovere una pur necessaria riforma. Dobbiamo riconoscere tutti, senza ipocrisie, che non potranno essere nuovi nomi a salvare la Rai dagli antichi vizi. La nuova Rai deve sorgere su pilastri diversi. E la politica, con tutto il rispetto, deve restare fuori dalla porta. Se non riformiamo a fondo la governance non realizzeremo mai le premesse per operare l’auspicata rivoluzione”, scrive Conte.
La riforma del 2015 a cui fa riferimento il suo post è quella voluta da Matteo Renzi, allora premier e allora leader del Pd, che prometteva la fine della partitocrazia. La legge invece lasciò la politica dentro la Rai, mentre il M5s con Roberto Fico, all’epoca presidente della commissione di Vigilanza, aveva presentato un ddl per garantire l’indipendenza del servizio pubblico. Il testo prevede che “non possono essere candidati alla carica di consigliere i soggetti che nei sette anni precedenti alla nomina abbiano ricoperto cariche di governo o cariche politiche elettive a qualunque livello, ovvero incarichi o uffici di rappresentanza nei partiti politici”. Così, dopo aver definito una rosa di papabili, si procede a un sorteggio. Al termine dell’operazione di nomina, il M5s vorrebbe affidare maggiori poteri al Cda, composto da “cinque membri, compresi il presidente e l’amministratore delegato (il primo nominato dal ministero dell’Economia, il secondo dal cda), che durano in carica per cinque anni, non rinnovabili”.
Il contratto del primo governo gialloverde tra la Lega e Movimento 5 stelle, del 18 maggio 2018, al capitolo sulle telecomunicazione recepì queste indicazioni, inserendo nel programma l’obiettivo della “eliminazione della lottizzazione politica” dalla Rai. Questa parte del testo, cara ai Cinquestelle, non fu però mai veramente presa in considerazione dalla Lega. Il riferimento diretto alla Rai scomparve poi dal programma di governo M5s-Pd, in cui si parlava solamente di “una riforma del sistema radiotelevisivo improntato alla tutela dell’indipendenza e del pluralismo”, nonostante Luigi Di Maio chiese esplicitamente durante le consultazioni con Sergio Mattarella una “riforma della Rai”, con una tv che fosse sul modello Bbc. Beppe Grillo ha recentemente rilanciato la richiesta solo pochi mesi fa, inserendola tra i temi al centro della transizione digitale, per attuare “una riforma sostanziale dell’informazione“. L’ultimo appello, adesso, arriva da Conte, che chiede di “istituire una Fondazione che offra le necessarie garanzie di autorevolezza e pluralismo e diventi l’azionista di riferimento della Rai”, seguendo lo schema tracciato dalla proposta del ministro Orlando. “Se non riusciamo a convergere su questa premessa che almeno si discuta la proposta di legge del M5s che è già sul tavolo“, conclude Conte, aggiungendo che “dobbiamo una risposta urgente. Agli italiani”.