Botta e risposta a “Otto e mezzo” (La7) tra l’economista Marta Fana e Giuliano Guida Bardi, vicepresidente Federalberghi Sud Sardegna, sul Recovery Plan del governo Draghi.
Fana mette in evidenza le lacune del piano, osservando che non aiuta la maggioranza degli italiani a uscire dalla palude socio-economica: “Non è un piano, ma una lista della spesa: le 336 pagine non esprimono nessuna progettualità e nessuna visione di come l’Italia debba riprendersi non solo dalla pandemia e dalla conseguente crisi economica e sociale, ma anche dagli ultimi 30 anni di politica economica fallimentare. Io in quelle pagine ho cercato la parola ‘salario’: appare zero volte. Però appaiono quasi centinaia di volte le parole ‘competitività’, ‘merito’, produttività’”.

Insorge il giornalista Luca Telese: “Non sono parolacce. ‘Merito’ è una bella parola, soprattutto per i precari, per i giovani che hanno studiato, per i cervelli che tornano in questo Paese. Neanche ‘competitività’ è una parolaccia. Mi sembra un po’ ideologica come critica”.
Fana replica: “Se il 26% dei lavoratori sono pagati sotto la soglia di povertà, anche con un contratto collettivo nazionale e con un contratto a tempo indeterminato, forse c’è qualche problema, che non è l’ideologia, comunque necessaria per avere una visione di mondo, ma sono i dati reali della vita degli italiani. Al di là delle parole, c’è un fatto reale, e cioè come vogliamo uscire da una crisi: vogliamo uscirne con le rendite e i grandi profitti nelle mani di quei 300 milionari italiani o vogliamo uscirne curando l’intera società?”.

A dissentire da Marta Fana si aggiungono anche il vicedirettore dell’Huffington Post, Alessandro De Angelis, e Guida Bardi, il quale osserva: “Nel piano non si parla di salari ma di competitività, perché i salari dipendono dalla competitività. Nel 1965 questo Paese ha inventato con Olivetti il personal computer. Dal 1965 al 1985 l’Italia ha scalato tutte le posizioni fino ad arrivare a essere la quinta potenza industriale del mondo. Dalla fine degli anni ‘80 abbiamo dismesso le politiche industriali e gli investimenti nella ricerca. Siamo un Paese profondamente arretrato. Signora Fana – continua – è vero che i lavoratori sono poco pagati, ma è anche vero che hanno un livello di competenza e di capacità che è bassissimo rispetto al resto del mercato europeo del lavoro e nordamericano. E di questo dobbiamo prendere atto”.
“Ma non è vero – ribatte Fana – Innanzitutto, non è vero che i salari dipendono dalla crescita. Lo dice perfino un riformista come Sylos Labini, che non è certamente un rivoluzionario e che ha ribaltato il piano: se non aumentano i salari, non c’è la crescita, perché non ci sono consumi, non c’è la domanda per gli investimenti e quindi per nuove occupazioni e per nuova produzione”.

“È il mercato globale”, ribadisce Guida Bardi.
“No – spiega l’economista – La Francia, la Spagna, la Germania si trovano nello stesso mercato globale dell’Italia, ma hanno fatto scelte diverse: investimenti e politiche industriali. Smettiamola di dire che i lavoratori e i giovani italiani non hanno le competenze per il mercato del lavoro, perché tutte le volte che varchiamo i confini siamo riconosciuti e pagati senza essere presi in giro con la storia del merito. Basta avere dei salari per quello che sappiamo già fare”.
“È il contrario – controbatte Guida Bardi – sono riconosciuti e pagati quelli che varcano i confini dell’Italia”.
“C’è un dato – replica Fana – Se guardiamo la domanda da parte delle imprese italiane negli ultimi 15 anni e l’offerta di lavoro, scopriamo che è scarsissima qualitativamente e quantitativamente. Siamo diventati il Paese dei camerieri e dei magazzinieri. Questa non può essere una crescita sostenibile né per le imprese, né per la tecnologia, né per i lavoratori. Finiamola con questa retorica che penalizza sempre i più precari”.

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