I film italiani – quelli che ricevono contributi dallo Stato – non sono affatto previsti in sala da qui – maggio 2021 – e l’autunno piuttosto inoltrato, ovvero tra quasi cinque mesi, mezzo anno quindi un’infinità per gli esercenti oramai alla canna del gas
Dario Franceschini reintroduce l’obbligo dei film in sala prima dello streaming ma i grandi titoli italiani non escono. La vicenda del cosiddetto “decreto finestre” va spiegata bene perché la situazione delle sale cinematografiche italiane è piuttosto critica. Il ministero della Cultura ha firmato il nuovo ‘decreto finestre’ che reintroduce l’obbligo di uscita in sala per i film che ricevono contributi dallo Stato. Le nuovi disposizioni prevedono che i film italiani possano approdare nei canali streaming e in tv dopo trenta giorni dalla prima proiezione al cinema. Da oggi fino al 31 dicembre 2021 quindi un film come Freaks Out, previsto in sala per fine ottobre 2021, potrà essere visto dopo 30 giorni sulle piattaforme online.
Durante il periodo imprevisto del Covid con le sale chiuse era stato temporaneamente sospeso l’obbligo di uscita in sala come precondizione per la distribuzione in piattaforma. Francheschini ha così voluto ripristinare un rapporto comunque molto elastico tra esclusività della proiezione in sala e prima tv/streaming. “In questa fase di ripartenza delle attività – ha spiegato il ministro – è fondamentale sostenere le sale cinematografiche e allo stesso tempo riequilibrare le regole per evitare che il cinema italiano sia penalizzato rispetto a quello internazionale”. Solo che questa affermazione allontana l’attenzione da una questione ancor più importante: i film italiani – quelli che ricevono contributi dallo Stato – non sono affatto previsti in sala da qui – maggio 2021 – e l’autunno piuttosto inoltrato, ovvero tra quasi cinque mesi, mezzo anno quindi un’infinità per gli esercenti oramai alla canna del gas.
“Gli esercenti stanno riaprendo le sale nonostante le difficoltà e i risultati arrivano, il pubblico risponde così come lo ha fatto a fine agosto e settembre 2020 con i film di richiamo che sono stati messi a disposizione”, spiegano dall’Anec (l’associazione nazionale esercenti cinematografici) anche se il problema è proprio quello dei titoli nostrani. “Il cinema italiano è il grande assente per la ripartenza, nonostante i continui proclami di numerose produzioni, attori e registi con prodotti pronti, ma l’urgenza, a quanto pare, è garantirne la tutela per i prossimi 8 mesi, consapevoli che probabilmente per i prossimi 3-4 mesi il numero di titoli italiani che approderà nelle sale sarà solo marginale”.
Da Anec citano la querelle sorta attorno all’ultimo film di Carlo Verdone e ricorda anche la scomparsa dalla programmazione di un film come Ritorno al crimine di Massimiliano Bruno che sarebbe dovuto uscire già nei primi mesi del 2020 e che poteva essere portato in sala a settembre 2020 quando l’80% degli schermi era aperto. Anec però affonda ulteriormente il coltello nella piaga rendendo il rapporto tra Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici e il ministero della Cultura: “Un provvedimento che intende porre un equilibrio fra i film italiani e quelli internazionali, dimenticando però che in sala sono pianificati, per i primi mesi e salvo occasionali eccezioni, solo film di produzione straniera mentre i titoli nazionali, sostenuti con ingenti investimenti del ministero, si concentrano con l’uscita in sala in pochi mesi l’anno. Se di riequilibrio si deve parlare, allora da giugno che il ministro proceda con provvedimenti per portare in sala i film italiani, così come pianificato con quelli internazionali”. Mario Lorini, presidente Anec, infine, ricorda le perdite d’esercizio del 2021 che superano i 400 milioni di euro, ma che nessuno stanziamento “è ancora definito dal fondo emergenza cinema”. Insomma, afferma Lorini, “con queste criticità, che minano la riapertura strutturata dei cinema, si ritiene che l’aiuto alle sale passi dalla urgenza di definire la finestra di 30 giorni al cinema italiano per i prossimi otto mesi?”.