E’ morta Rita Di Giovacchino, giornalista e blogger del Fatto Quotidiano. Aveva 74 anni. Era ricoverata per Covid all’istituto Spallanzani. Per anni ha seguito la cronaca giudiziaria prima per l’Ansa, poi per Il Messaggero. Ha seguito tutte le inchieste e i processi più celebri: dal caso Moro agli attentati a Falcone e Borsellino. Nel 1994 ha scritto un libro su Mino Pecorelli (Scoop mortale, Tullio Pironti) che descriveva l’intreccio criminale-politico di cui rimase vittima il direttore di OP. Con Il libro nero della Prima Repubblica ha ricostruito l’intreccio dei poteri, visibili e invisibili, che hanno caratterizzato e condizionato decenni di vita politica nazionale.

Le direzioni, le redazioni e tutti i colleghi del Fatto Quotidiano e de ilfattoquotidiano.it mandano un commosso messaggio di cordoglio alla famiglia e agli amici in questo momento doloroso.

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Tanti anni fa un mio direttore diceva che per sapere se un articolo sarebbe venuto bene, oppure no, gli era sufficiente guardare negli occhi i suoi giornalisti. Con i lagnosi e i questionisti (quelli che: non ne so nulla, non ho seguito la cosa) c’era poco da fare: nel migliore dei casi ne sarebbe uscito fuori un compitino. Poi c’erano gli altri, i pochi a cui brillava lo sguardo. Di curiosità, di passione, di ambizione. Non avevi finito di parlare ed erano già fuori a caccia dello scoop.

Con Rita era così, con lei lo sapevi subito che “il pezzo c’era”, e che grazie al suo lavoro il giorno dopo avremmo dato un buco alla concorrenza. E gioito pensando alle facce dei nostri colleghi più sfortunati, eh sì perché la competizione è il sale e il pepe del nostro mestiere.

Tante volte l’avevo letta su il Messaggero: dal sequestro Moro, al maxiprocesso di Palermo, alle stragi di mafia c’era sempre la sua firma a garanzia di una cronaca asciutta dei fatti, ben scritta, densa di particolari che gli altri non avevano. Fu merito di Vitantonio Lopez se una giorno la vedemmo comparire al Fatto, e per noi che vivevamo quell’avventura come la sfida di un brigantino corsaro alla flotta di sua maestà, averla a bordo, accanto ai tanti “irregolari” gelosi della propria libertà, era la conferma che ce l’avevamo fatta.

Un giorno mi portò una copia de “Il libro nero della Prima Repubblica”, un testo sui poteri soprattutto occulti e deviati che hanno ricoperto di sangue e corruzione il nostro paese. Lo conservo con cura, un livre de chevet del giornalismo vero, quello che fa le domande e non smette di cercare le risposte. Così come conservo il ricordo della sua generosità nel dare una mano ai più giovani. E del suo sguardo. Grazie Rita.

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