Il 20 agosto 2020 i liguri vengono promossi per la prima volta nella massima serie e in città inizia la festa. Dopo 14 giorni i casi di Covid esplodono, ma le autorità (governatore Toti e sindaco Peracchini in testa) se la prendono con la comunità dominicana, accusata di avere abitudini di vita che favoriscono il coronavirus
È il 20 agosto 2020, poco dopo le 23. Lo Spezia Calcio perde 0-1 in casa col Frosinone, ma al fischio finale la città esplode di gioia: grazie all’opposto 0-1 rifilato in trasferta (e al miglior piazzamento nella stagione regolare) gli aquilotti hanno vinto i playoff di B per la prima, storica promozione nella massima serie. Diecimila tifosi invadono piazza Europa, piazza Verdi e i viali del centro. A notte fonda la squadra arriva a raccogliere l’omaggio su un pullman scoperto. È fine estate: sui giornali si analizzano i contagi “importati” da Spagna e Grecia, gli esperti mettono in guardia dalla curva in forte risalita, ma il clima, tra la gente, è ancora quello del liberi tutti. I supporter dello Spezia non indossano mascherine – all’aperto, d’altra parte, l’obbligo ancora non c’è –, il metro di distanza è pura immaginazione. Alla festa si fa vedere anche il sindaco Pierluigi Peracchini, che nei giorni precedenti, però, non aveva definito alcuna misura specifica di ordine pubblico in vista dell’atteso evento.
Così, quindici giorni dopo, La Spezia diventerà la nuova trincea d’Italia, la prima zona rossa della seconda ondata. Un precedente che fa tremare Milano, dove in piazza Duomo, a celebrare lo scudetto dell’Inter, si sono radunate più o meno il triplo delle persone (30mila secondo la Questura). Le analogie, d’altra parte, sono ovvie: due successi sportivi annunciati, i rispettivi festeggiamenti del tutto prevedibili. Ed entrambe le amministrazioni che – nonostante ciò – hanno scelto di rimanere inerti, senza tentare di incanalare la spontaneità della folla in apposite strategie anti-contagio. Con una differenza: se ad agosto 2020 la minaccia di un nuovo lockdown sembrava ancora remota, la non-considerazione del problema appare a maggior ragione inspiegabile adesso che il Paese si affaccia alle riaperture dopo nuovi lunghi mesi di restrizioni. “È chiaro a tutti che questo tipo di manifestazioni sono pericolose”, ha detto all’AdnKronos il primario infettivologo dell’ospedale Sacco, Massimo Galli.
Lo sanno bene, per l’appunto, a La Spezia, dove già ai primi di settembre i numeri iniziano a impennarsi. Le terapie intensive al San Bartolomeo di Sarzana, ospedale Covid della provincia, si avvicinano al livello di guardia per superarlo dopo pochi giorni, con i malati costretti al trasferimento a Genova. Il governatore Toti corre ai ripari il 5 settembre, imponendo in città l’obbligo di mascherina h24 anche all’aperto nei luoghi pubblici, che nei mesi successivi diventerà la regola su tutto il territorio nazionale. Poi arriva lo stop alla movida nelle ore serali e il rinvio di dieci giorni dell’apertura delle scuole (slittata dal 14 al 24). Ma parlare della festa-promozione come origine del focolaio rimane un tabù: chi ci prova è definito “sciacallo” da Toti, mentre il sindaco Peracchini assicura che “l’evento festa dello Spezia non ha inciso, non è bello cercare di dare una responsabilità che evidentemente non c’è. Io che conosco le persone che sono state contagiate lo escludo, perché per il 50% i positivi appartengono ad altre nazionalità. Poi se qualcuno vuole speculare e dare colpe, dividendo la città, questo è uno sport al quale non mi iscrivo”.
Entrambi, invece, additano a colpo sicuro come responsabile la nutrita comunità dominicana spezzina, che “per usi, costumi e abitudini di vita è particolarmente a rischio di contrarre il virus”, dice Toti in conferenza stampa il 16 settembre. Per questo, quando i numeri non consentono più di evitare le restrizioni, si sceglie di “colpire” un’area ben delimitata: il quartiere Umbertino, una manciata di strade dove si concentrano i dominicani, diventa una “zona rossa” sui generis, in cui è permesso transitare ma non fermarsi, nemmeno all’aperto, pena la multa. “Il Covid non sa leggere il nome delle strade. Basta razzismo”, la risposta della comunità latina stampata su cartelli appesi per tutto il quartiere. “Quando va male serve un capro espiatorio”, commentava la portavoce Ana Ortiz. “Il sindaco ha fatto la zona rossa dicendo che noi ‘facciamo festa ogni sera’. Ma la festa più grande, quella per il calcio, l’ha organizzata lui. Basta vedere le date dell’aumento dei casi per capire che dopo quella notte si è andati in progressione”.