Undici, lunghissimi anni. Tre proprietà diverse, da Moratti a Suning, passando per Thohir. Addirittura 15 allenatori, calciatori neanche a contarli, svariate rifondazioni, delusioni in serie, a volte proprio figuracce, brevi illusioni di rinascita (come le cavalcate iniziali di Stramaccioni e Mancini) e rovinose cadute, sofferte riconquiste (il ritorno in Champions con Spalletti) e ancora sconfitte (la finale di Europa League dell’anno scorso). Alla fine, la gioia. L’Inter ci ha messo tanto ad arrivare fino a qui, a tornare grande, rivincere lo scudetto. Lo deve soprattutto ad Antonio Conte. E ai bistrattati cinesi, perché sono loro ad aver ricostruito l’Inter dalla macerie. Adesso che però il titolo è in bacheca, il dominio della Juventus sulla Serie A è spezzato, l’incubo finito, rimane un’angoscia di fondo, una serie di domande assillanti a rovinare la festa nerazzurra: Conte resterà o se ne andrà? La rosa verrà rinforzata o smantellata? Suning venderà e a chi? Insomma, questo scudetto sarà il primo di una lunga serie, l’inizio di un nuovo ciclo, o solo il canto del cigno, prima di un altro declino?

I tifosi oggi dovrebbero solo gioire. L’Inter ha vinto. E avrebbe tutto per continuare a farlo. Innanzitutto è la squadra nettamente più forte, come dimostra il distacco sulle rivali. Poi è una squadra giovane: l’età media di 28,1 anni per l’undici titolare, la terza più vecchia di tutto il campionato, inganna. La alzano sensibilmente Handanovic, e poi i vari Young, Vidal, Kolarov, l’usato sicuro preteso da Conte per dare esperienza, ma in realtà l’ossatura, che è quella che conta, non supera i 25 anni: da Skriniar a Bastoni, passando per Barella e Hakimi, e poi Lukaku-Lautaro, coppia del presente e del futuro, c’è un telaio già pronto e buono per almeno 5 anni a venire, che va solo potenziato. Persino dal punto di vista contabile l’Inter non sarebbe messa troppo male: al netto degli imbarazzi societari dei cinesi, può contare su un ricco parco calciatori, non ha grossi riscatti da onorare e prima delle perdite dovute al Covid cominciava a mostrare un trend in miglioramento.

Tutto questo in un panorama generale in cui le rivali annaspano: la Juventus dovrà affrontare una rivoluzione tecnica e forse anche societaria, il Milan se manca ancora l’ingresso il Champions si ridimensiona nuovamente, l’Atalanta è una realtà meravigliosa ma di una dimensione oggettivamente inferiore, Roma e Napoli hanno progetti interessanti ma sono le incognite di sempre. Non serve molto per proseguire il cammino. Certo, i vari Psg, City, Bayern viaggiano su un altro pianeta, dove si fanno investimenti impensabili in questo momento. Ma per puntare a vincere ancora in Italia ed essere competitivi in Europa basterebbe puntellare e allungare la rosa, 3-4 giocatori, uno per reparto, magari un innesto davvero di qualità come fu Hakimi l’estate scorsa.

Poi però c’è quello che succede fuori dal campo. C’è una proprietà distante, inaccessibile, legata a doppio filo al governo cinese che ha deciso di smobilitare gli investimenti sul pallone. C’è la prospettiva di un mercato a saldo zero, che vuol dire nessun rinforzo, o peggio ancora cessioni pesanti per finanziare gli acquisti. C’è lo spauracchio dell’addio di Conte (uno che non si è mai fatto problemi ad andarsene sbattendo la porta, se non ha ciò che vuole) e persino di Marotta. Il sogno che finisce proprio quando inizia, dopo tutta la fatica fatta per arrivare fino a qui. Nel suo discorso di festeggiamento, alla domanda sul futuro il presidente Zhang ha parlato della missione dell’Inter di portare “energia positiva” alle persone. Sarebbe stato meglio dare una semplice garanzia sull’intenzione di non smantellare la squadra. L’ultima volta che l’Inter ha vinto, fu la conclusione di un ciclo, quello del Triplete di Mourinho, straordinario e irripetibile, che infatti non si è ripetuto. Adesso ci sono le condizioni per aprirne un altro. O per ripetere la stessa storia.

Twitter: @lVendemiale

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