“È un dramma. Non non è più possibile ricevere telefonate di genitori disperati da tutta la Lombardia che non riescono a trovare aiuto nei servizi pubblici per i figli con disturbi mentali e depressivi. Mi implorano, ma io non so più cosa fare. Per un medico questo non è etico, non è umano continuare a ripetere che non siamo in grado di prendercene cura”. L’allarme lanciato da Antonella Costantino, a capo della Neuropsichiatria infantile del Policlinico di Milano e della società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (sinpia), diventa ancora più preoccupante se si guarda ai dati consegnati a ilfattoquotidiano.it dal garante dell’infanzia della Lombardia: a gennaio 2021 gli accessi in pronto soccorso per atti autolesivi e tentativi di suicidio sono stati 96, pari a oltre la metà di quelli registrati nello stesso mese del 2020 (45). Mentre i ricoveri in neuropsichiatria infantile sono passati da 41 a 59.
L’indagine è stata condotta dalla Regione su cinque reparti ospedalieri e otto servizi territoriali rappresentativi della realtà lombarda. “Ad aumentare potrebbe non essere il fenomeno in quanto tale ma la richiesta di aiuto agli ospedali – è l’idea che si è fatto il garante Riccardo Bettiga – I genitori trascorrendo più tempo insieme ai figli a causa del lockdown potrebbero essersi accorti più facilmente di ferite sulle braccia, buchi sulle gambe, malessere, chiedendo aiuto. L’incremento di ricoveri non è alto, questo perché i posti letto sono scarsi e dobbiamo immaginare una quantità di rifiuti da parte delle strutture ospedaliere già sature”. Una cosa è certa. “Se non trattiamo questi ragazzi, i disturbi si sommano e la vita da adulti diventa un casino – va al sodo Costantino – al disturbo di apprendimento segue quello del comportamento, poi la depressione perché si ha la sensazione di non fare niente, l’unico modo di avere attenzione è fare guai, si interrompe la scuola e non si trova lavoro”.
Costantino per conto della società scientifica che rappresenta ha inviato giovedì scorso una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi e al ministro della Salute Roberto Speranza (oltre che ai ministri dell’Istruzione, Famiglia, Disabilità, Economia) in cui denuncia la grave carenza di risposte assistenziali sul territorio e di posti letto di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza (npia), che determina disomogeneità nei percorsi nelle diverse Regioni. Mancano soprattutto, si legge nel documento, “le strutture semiresidenziali terapeutiche, indispensabili per garantire interventi a maggiore complessità e intensità e per prevenire, per quanto possibile, il ricorso al ricovero ospedaliero e alla residenzialità terapeutica”. La pandemia ha acuito una situazione già al collasso. “Negli ultimi 10 anni si è osservato il raddoppio degli utenti seguiti nei servizi di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza”, scrive la società scientifica, che tira fuori i numeri preoccupanti già prima del Covid: 200 bambini e ragazzi su 1000 avevano un disturbo neuropsichico, ovvero quasi due milioni di minorenni. Ma solo 60 su 200 riuscivano ad accedere a un servizio territoriale della rete e appena 30 su 200 riuscivano ad avere risposte terapeutico-riabilitative appropriate. Con il risultato che 7 su 1000 si recavano al pronto soccorso per un disturbo psichiatrico, 5 su 1000 venivano ricoverati ma 4 su 5 venivano parcheggiati in reparti non appropriati, di cui uno in reparto psichiatrico per adulti.
Tra il 2017 e il 2018 (gli ultimi dati disponibili, lamentano gli esperti) i ricoveri per disturbi neurologici tra 0 e 17 anni sono aumentati dell’11 per cento e quelli per disturbi psichiatrici del 22 per cento. Di 43.863 ricoveri nel 2018, solo 13.757 sono avvenuti in un reparto dedicato. “Molti ragazzi in grave stato di bisogno – osserva la società – non hanno ricevuto alcuna risposta e sono stati rimandati a casa dal pronto soccorso o hanno dovuto rivolgersi privatamente. Per molti altri, il ricovero si è reso indispensabile per il peggioramento dei sintomi conseguente alla carenza di risposte con adeguata intensità assistenziale nel territorio”.
Da questi dati parte l’appello alle istituzioni: “Ai miseri 325 letti di npia esistenti a livello nazionale si chiede di garantire risposte per più del doppio dei pazienti che sarebbero in grado di assorbire, a cui si aggiungono le nuove criticità portate dalla pandemia, e senza alcuna possibilità di fare affidamento su adeguati interventi intensivi nel territorio”. L’altra richiesta è quella di potenziare i servizi territoriali con la presenza dell’equipe multidisciplinare completa (neuropsichiatri, psicologi, logopedisti, terapisti della neuropsicomotricità dell’età evolutiva, infermieri, assistenti sociali, educatori professionali). L’asimmetria tra domanda e offerta oggi non è davvero più gestibile secondo gli esperti.
“Un altro problema è il sommerso – evidenzia Bettiga, il garante dell’infanzia della Lombardia – È impossibile condurre degli studi epidemiologici esaustivi perché non ci sono strumenti psicometrici in grado di rilevare i casi di disagio trattati negli studi privati di psicoterapia. Per intercettare più precocemente il malessere – sottolinea – bisognerebbe quanto prima permettere ai minori di rivolgersi allo psicologo del consultorio senza la necessità di un consenso informato dei genitori, che potrebbe dissuaderli dal farlo”. Sollevare il sommerso è decisivo. Per questo nel piano nazionale di ripresa e di resilienza la società dei neuropsichiatri infantili chiede, tra le altre cose, di includere iniziative che consentano “di colmare al più presto la mancanza di dati epidemiologici nazionali sulle patologie neurologiche, psichiatriche e del neurosviluppo della fascia 0-17 anni, attraverso la creazione di flussi informativi specifici e uniformi, centralizzati presso il ministero della Salute, che permettano una più precisa programmazione della rete dei servizi di npia in base ai bisogni di salute della popolazione”.