La questione della ripartizione territoriale delle risorse del cosiddetto Recovery Plan, declinato in Italia come Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sta passando come un problema per addetti ai lavori o per esperti di economia o questione meridionale. Se è vero che le scelte spettano a chi abbia le competenze per farle, è vero pure che, con queste, si sta disegnando il futuro del Paese e con le risorse di tutti. Questo ci permette di fare qualche riflessione, da profani.

In Italia, le logiche alla base della svolta federalista, dalla riforma del Titolo V alle invocazioni dell’Autonomia Differenziata, auspicata soprattutto da alcune regioni settentrionali, si basano sul principio della “locomotiva”: una maggiore concentrazione di risorse in regioni più ricche ne favorirebbe ulteriore crescita, fino a trainare quelle meno virtuose, con un effetto che viene definito come “sgocciolamento” o trickle-down. Un approccio che ha già dimostrato, nel nostro paese, di non sortire benèfici effetti ai fini dell’attenuazione dei divari tra Sud e Centro-Nord. Al contrario, come più volte evidenziato dai Rapporti Svimez, l’interdipendenza economica tra le macroaree suggerisce, piuttosto, che gli investimenti dovrebbero essere concentrati proprio nelle regioni più in difficoltà, per innescare virtuose ricadute sulle aree più ricche.

Il dibattito è molto acceso e, negli ultimi mesi, si è fatto notare più volte come le risorse in arrivo fossero – nelle intenzioni della Ue – principalmente finalizzate a ridurre i divari regionali presenti nel nostro Paese. Da una parte, si chiede che al Mezzogiorno ne giunga il 70%, con lo scopo di approfittare di questa importante – e forse irripetibile iniezione di risorse – per intervenire finalmente sui divari interni, con benefici per tutti; dall’altra, si propongono percentuali di gran lunga inferiori, in base ad altre considerazioni.

Nei giorni scorsi, il termine anglosassone trickle-down è stato adoperato dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il quale ha dichiarato senza mezzi termini: “L’economia di sgocciolamento non ha mai funzionato” (“Trickle-down economics has never worked”). La citazione presidenziale della “trickle-down economics” era un chiaro riferimento alla scuola di pensiero favorita dai Repubblicani, secondo cui i tagli alle tasse per i ceti più ricchi e le società, alla fine, andrebbero a vantaggio di tutti. Pia illusione. E annuncia, sempre Biden, uno stanziamento di circa 200 miliardi di dollari per poter garantire accesso agli asili per tutti i bambini americani, oltre a ulteriori investimenti in scuola e università (fonte: Corriere della sera).

È significativo che un segnale così importante giunga proprio dagli Usa, così come è altrettanto importante che l’idea di intervenire drasticamente sulla fragilità italiana – associata ai divari interni – provenga dalla Ue, proprio nel dare indicazioni sulle modalità di spesa delle risorse in arrivo dalla Ue. Giova ricordare che, nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 21 luglio 2020, si legge che le politiche di coesione devono “ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali all’interno degli Stati membri e in tutta Europa, sviluppare e proseguire l’azione intesa a realizzare il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, contribuendo a ridurre le disparità tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e l’arretratezza delle regioni meno favorite”.

Tra le voci dei molteplici divari territoriali che imperversano da noi, c’è sicuramente quella dei servizi per l’infanzia. Una ricerca recentemente pubblicata da Openpolis ci rivela che, nel nostro Paese, il servizio degli asili nido non è ancora diffuso in modo territorialmente omogeneo e, non a caso, risulta carente proprio nelle regioni in cui è più alta la disoccupazione femminile. Ci sono 18,5 punti percentuali di divario tra Centro-Nord (32%) e Mezzogiorno (13,5%) nella copertura di nidi e servizi per la prima infanzia. “Permane un forte ritardo del mezzogiorno, dove sono concentrate quasi tutte le province con meno di 20 posti ogni 100 bambini. Inoltre, sono tutte meridionali le 8 province che non raggiungono un posto ogni 10 bambini residenti: Trapani (9,7%), Napoli (8,9%), Ragusa (8,7%), Catania (8,1%), Palermo (8%), Cosenza (7,7%), Caserta (6,6%), Caltanissetta (6,2%)”.

Massimo Villone, recentemente, ha osservato come procedere sulla strada dell’autonomia differenziata sia davvero bizzarro, vista la prestazione non esaltante della pletora di sanità regionali, incluse le presunte eccellenze, durante questi lunghi mesi di pandemia. “Abbiamo un patchwork di sistemi regionali, con devastanti differenze tra territori. Il più fondamentale dei diritti – la salute – è tutelato in modo del tutto precario e ineguale. E conclamate eccellenze, come la Lombardia, si sono rivelate fallimentari”. Villone aggiunge che, in questa fase, occorrerà una visione strategica, scevra da particolarismi: “Per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) le priorità variamente dichiarate – come transizione ecologica, digitalizzazione, giovani, donne, Mezzogiorno – richiedono la definizione di obiettivi strategici nazionali e la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti volte a realizzarli”.

Quali sono le condizioni del Sud oggi? Un utile ausilio per conoscerlo è senz’altro il testo Sud (Editoriale Scientifica, 2021), curato da Enrico Cuccodoro e Riccardo Scorza per la collana “Quaderni Salentini”: un testo che affronta la Questione Meridionale, nella sua complessità, attraverso voci autorevoli.

Una considerazione ovvia, dopo aver attraversato questi mesi, è che l’Italia soffre particolarmente, in uno scenario di pandemia, perché è da sempre troppo diseguale. Perché le politiche localistiche premiano chi più alza la voce, in forza di equilibri già consolidati. Non ci si poteva aspettare molto di più, in un Paese che ha attuato la riforma federalista in modo diseguale e persino tradendone i principi fondanti.

Forse, si potrebbe smettere di indugiare nelle diatribe sulle percentuali di distribuzione delle risorse tra Sud, Centro e Nord, se si attuasse semplicemente la nostra Costituzione che, all’art.117, comma 2, lett. m sancisce l’obbligo di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Se si attuasse con serietà e onestà intellettuale la nostra Costituzione, avremmo servizi omogenei su tutto il territorio del Paese. Non si favorirebbero il Sud o il Nord solo perché hanno maggior peso nelle segreterie dei partiti, ma semplicemente perché è giusto che tutti i cittadini abbiano accesso a servizi di pari livello. Invece, ci sono ancora bambini che non hanno diritto neanche a un asilo.

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