di Marta Coccoluto
Cinquanta miliardi: è questa la cifra stanziata dal piano Draghi per la trasformazione tecnologica, l’innovazione, la competitività e la cultura, con il duplice obiettivo di garantire un equo accesso alle opportunità alle categorie più svantaggiate – donne e giovani, come certifica l’Istat – e ai territori meno connessi, e di promuovere e sostenere la trasformazione digitale e con essa l’innovazione dell’intero sistema produttivo italiano.
Che il digitale sia una straordinaria leva per lo sviluppo economico e sociale dell’Italia è innegabile, ma le infrastrutture tecnologiche – dalla fibra al 5G passando per i satelliti, con un investimento complessivo da 7,6 miliardi, di cui oltre 6 miliardi in fibra e 5G e circa 1,3 miliardi nel network satellitare e dell’economia spaziale – bastano da sole a garantire una riduzione significativa del digital divide? In altre parole, lo sviluppo di infrastrutture tecnologiche implica automaticamente anche la diffusione di una cultura digitale, ovvero la consapevolezza di come mettere a frutto il digitale per ridisegnare l’economia e la società di un territorio?
Se è vero che senza la disponibilità di infrastrutture è difficile innescare un processo di trasformazione basato sull’innovazione tecnologica, è altrettanto vero che senza la diffusione di conoscenza rispetto alle opportunità del digitale è difficile che quest’ultimo possa avere un impatto significativo sulla qualità della vita delle persone e sul rilancio dei territori. Il rischio è che le infrastrutture tecnologiche restino un fine, senza diventare un mezzo per generare quell’innovazione ad impatto positivo e contribuire allo sviluppo sociale ed economico del Paese.
Guardiamo ad esempio ai professionisti e lavoratori da remoto che possono svolgere il proprio lavoro da qualsiasi luogo. Se agli inizi – anche del progetto Nomadi Digitali® – potevano a ragione essere definiti i pionieri di una nuova era, legati al concetto di vivere viaggiando, adesso che lo smart working è diventata una realtà lavorativa trasversale a tutti i settori, nel pubblico come nel privato, le esigenze di questa nuova categoria di lavoratori sono sempre più sfaccettate. E in futuro saranno sempre più ampie e investiranno molti più ambiti, professionali e personali, di quelli che vediamo adesso.
Non sarà più solo una questione di destinazione, o di meta, e neanche ‘semplicemente’ di poter contare su una ottima connessione, considerata ormai ‘di base’: a fare la differenza nel rendere attraenti i territori, che magari hanno visto andar via i propri talenti perché senza opportunità, saranno soprattutto i progetti di comunità improntati a una cultura digitale diffusa, che troveranno nelle infrastrutture il mezzo per realizzarsi. Progetti che dovranno avere la capacità di incuriosire e attrarre professionisti da tutto il mondo e la solidità per invogliare chi è andato a lavorare altrove a fare ritorno, portando con sé tutto il know-how sviluppato.
Eppure oggi la riflessione è poco più che ferma a una declinazione dell’offerta turistica: da nord a sud, isole comprese, è un fiorire di mete per i soggiorni di smart workers e nomadi digitali. Gli straordinari territori di tutta Italia presentati come imperdibili dormitori (mi si passi l’espressione) per remote e smart worker, tralasciando uno degli aspetti alla base di qualsiasi progetto di rigenerazione territoriale, ovvero la sostenibilità e il rapporto sinergico con la comunità locale.
I remote worker non sono più solo ‘lavoratori in viaggio’ in cerca di nuove destinazioni, ma sono lavoratori, professionisti freelance e imprenditori della Rete alla ricerca di di nuove relazioni, di hub culturali e professionali dove la qualità della vita e opportunità professionali e di business si intrecciano, connettendo i fattori caratterizzanti di un territorio con i nuovi modelli lavorativi e imprenditoriali legati al digitale e all’innovazione sociale, compresi i microbusiness, purché innovativi, sostenibili e identitari.
Non si può pensare che bastino la disponibilità di tecnologie mobili e di servizi digitali per l’innovazione del sistema economico dei territori basato sui nuovi stili di vita e di lavoro: serviranno progetti di comunità, in cui la vocazione – produttiva, ma anche agricola, artigianale e culturale – e l’identità di un territorio restino al centro, trasformandosi in base alle esigenze dei talenti professionali e dei business che vorranno attrarre.
Il nomadismo digitale è ancora molto legato all’immagine laptop e zaino in spalla, che continua a essere veicolata pur non rispondendo appieno alle tante declinazioni che il lavoro da remoto ha assunto sotto l’incredibile spinta dello stato di necessità dettato dall’emergenza pandemica.
Siamo diventati tutti smart worker? Diventeremo tutti Nomadi Digitali? Nel futuro lavorativo che ci attende, avremo bisogno ‘solo’ di un posto dove dormire e di una connessione veloce? Lo abbiamo chiesto in queste settimane a oltre 1200 remote e smart worker, e aspiranti tali, tramite un sondaggio – per partecipare: Sondaggio Nomadi Digitali – che vorremmo trasformare in un Report ufficiale sullo stato del lavoro smart e da remoto che porti nel dibattito sul futuro dell’Italia digitale la voce dei lavoratori di quello che è un futuro già presente. Anche se ci sono ancora troppe domande e poche risposte.
Nomadi Digitali
Liberi di vivere e di lavorare ovunque
Lavoro & Precari - 4 Maggio 2021
Pnrr, l’innovazione tecnologica non basta: bisogna diffondere una cultura digitale
di Marta Coccoluto
Cinquanta miliardi: è questa la cifra stanziata dal piano Draghi per la trasformazione tecnologica, l’innovazione, la competitività e la cultura, con il duplice obiettivo di garantire un equo accesso alle opportunità alle categorie più svantaggiate – donne e giovani, come certifica l’Istat – e ai territori meno connessi, e di promuovere e sostenere la trasformazione digitale e con essa l’innovazione dell’intero sistema produttivo italiano.
Che il digitale sia una straordinaria leva per lo sviluppo economico e sociale dell’Italia è innegabile, ma le infrastrutture tecnologiche – dalla fibra al 5G passando per i satelliti, con un investimento complessivo da 7,6 miliardi, di cui oltre 6 miliardi in fibra e 5G e circa 1,3 miliardi nel network satellitare e dell’economia spaziale – bastano da sole a garantire una riduzione significativa del digital divide? In altre parole, lo sviluppo di infrastrutture tecnologiche implica automaticamente anche la diffusione di una cultura digitale, ovvero la consapevolezza di come mettere a frutto il digitale per ridisegnare l’economia e la società di un territorio?
Se è vero che senza la disponibilità di infrastrutture è difficile innescare un processo di trasformazione basato sull’innovazione tecnologica, è altrettanto vero che senza la diffusione di conoscenza rispetto alle opportunità del digitale è difficile che quest’ultimo possa avere un impatto significativo sulla qualità della vita delle persone e sul rilancio dei territori. Il rischio è che le infrastrutture tecnologiche restino un fine, senza diventare un mezzo per generare quell’innovazione ad impatto positivo e contribuire allo sviluppo sociale ed economico del Paese.
Guardiamo ad esempio ai professionisti e lavoratori da remoto che possono svolgere il proprio lavoro da qualsiasi luogo. Se agli inizi – anche del progetto Nomadi Digitali® – potevano a ragione essere definiti i pionieri di una nuova era, legati al concetto di vivere viaggiando, adesso che lo smart working è diventata una realtà lavorativa trasversale a tutti i settori, nel pubblico come nel privato, le esigenze di questa nuova categoria di lavoratori sono sempre più sfaccettate. E in futuro saranno sempre più ampie e investiranno molti più ambiti, professionali e personali, di quelli che vediamo adesso.
Non sarà più solo una questione di destinazione, o di meta, e neanche ‘semplicemente’ di poter contare su una ottima connessione, considerata ormai ‘di base’: a fare la differenza nel rendere attraenti i territori, che magari hanno visto andar via i propri talenti perché senza opportunità, saranno soprattutto i progetti di comunità improntati a una cultura digitale diffusa, che troveranno nelle infrastrutture il mezzo per realizzarsi. Progetti che dovranno avere la capacità di incuriosire e attrarre professionisti da tutto il mondo e la solidità per invogliare chi è andato a lavorare altrove a fare ritorno, portando con sé tutto il know-how sviluppato.
Eppure oggi la riflessione è poco più che ferma a una declinazione dell’offerta turistica: da nord a sud, isole comprese, è un fiorire di mete per i soggiorni di smart workers e nomadi digitali. Gli straordinari territori di tutta Italia presentati come imperdibili dormitori (mi si passi l’espressione) per remote e smart worker, tralasciando uno degli aspetti alla base di qualsiasi progetto di rigenerazione territoriale, ovvero la sostenibilità e il rapporto sinergico con la comunità locale.
I remote worker non sono più solo ‘lavoratori in viaggio’ in cerca di nuove destinazioni, ma sono lavoratori, professionisti freelance e imprenditori della Rete alla ricerca di di nuove relazioni, di hub culturali e professionali dove la qualità della vita e opportunità professionali e di business si intrecciano, connettendo i fattori caratterizzanti di un territorio con i nuovi modelli lavorativi e imprenditoriali legati al digitale e all’innovazione sociale, compresi i microbusiness, purché innovativi, sostenibili e identitari.
Non si può pensare che bastino la disponibilità di tecnologie mobili e di servizi digitali per l’innovazione del sistema economico dei territori basato sui nuovi stili di vita e di lavoro: serviranno progetti di comunità, in cui la vocazione – produttiva, ma anche agricola, artigianale e culturale – e l’identità di un territorio restino al centro, trasformandosi in base alle esigenze dei talenti professionali e dei business che vorranno attrarre.
Il nomadismo digitale è ancora molto legato all’immagine laptop e zaino in spalla, che continua a essere veicolata pur non rispondendo appieno alle tante declinazioni che il lavoro da remoto ha assunto sotto l’incredibile spinta dello stato di necessità dettato dall’emergenza pandemica.
Siamo diventati tutti smart worker? Diventeremo tutti Nomadi Digitali? Nel futuro lavorativo che ci attende, avremo bisogno ‘solo’ di un posto dove dormire e di una connessione veloce? Lo abbiamo chiesto in queste settimane a oltre 1200 remote e smart worker, e aspiranti tali, tramite un sondaggio – per partecipare: Sondaggio Nomadi Digitali – che vorremmo trasformare in un Report ufficiale sullo stato del lavoro smart e da remoto che porti nel dibattito sul futuro dell’Italia digitale la voce dei lavoratori di quello che è un futuro già presente. Anche se ci sono ancora troppe domande e poche risposte.
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Los Angeles brucia da 3 giorni. Biden non verrà in Italia per seguire la crisi. Evacuata Hollywood: “130mila via da casa”. 5 morti
Damasco, 9 gen. (Adnkronos/Afp) - Gli scontri tra gruppi sostenuti dalla Turchia e le forze guidate dai curdi hanno causato la morte di 37 persone nella regione settentrionale di Manbij, in Siria. Lo ha reso noto l'Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede in Gran Bretagna, che ha parlato di "feroci battaglie, nelle ultime ore, nella zona di Manbij, tra le Forze democratiche siriane (guidate dai curdi) e le fazioni dell'Esercito nazionale (sostenute dalla Turchia), che combattono con copertura aerea turca". L'osservatorio ha affermato che gli attacchi "hanno ucciso 37 persone in un bilancio preliminare", per lo più combattenti sostenuti dalla Turchia.
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Europa e Usa sono due facce della stessa medaglia, l’Occidente. Hanno comuni interessi e devono avere comuni obiettivi se non vogliamo indebolirci: lavoreremo bene con l’amministrazione Trump. Europa e America devono rimanere alleate: è il nostro destino, è la nostra forza". Così, in un'intervista al Corriere della Sera, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, riferendosi alle ingerenze di Musk nelle politiche interne dei Paesi europei. "A oggi Musk - sottolinea - è un privato cittadino e un grandissimo imprenditore, quando sarà al governo è ovvio che dovrà misurare le sue dichiarazioni".
"Poi, per quanto riguarda il sistema di comunicazioni satellitari della sua azienda - aggiunge Tajani - è un altro discorso, una scelta tecnologica che deve fare lo Stato italiano. Io non ho preclusioni a prescindere, una cosa è Musk, altra la sua azienda. Se è in grado di fornire i migliori servizi, perché dire no a priori? Vedremo, ci saranno valutazioni, si sceglierà il meglio per garantire i servizi necessari alle nostre amministrazioni".
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Sono stati giorni difficili, abbiamo lavorato di continuo, li abbiamo trascorsi dedicando al caso ogni sforzo. Oggi possiamo dire che c’è stato un lavoro di squadra fra governo, intelligence, diplomazia e anche con la famiglia che è stata bravissima a gestire la situazione e il silenzio stampa. E c’è stato un intervento diretto della premier, che ha partecipato a tutte le riunioni. Poi la situazione si è sbloccata per davvero l’ultima notte. La discrezione, il lavoro incessante portano risultati". Lo ha detto al Corriere della Sera il ministro degli Esteri Antonio Tajani parlando del ritorno in Italia, dopo la detenzione in Iran, di Cecilia Sala, spiegando che gli stessi sforzi, "massimi", riguardano "ogni cittadino italiano. E se è possibile anche i risultati, come in Iran si vide nel caso Piperno. La Farnesina si impegna per ogni italiano all’estero in difficoltà, questo era un caso particolarmente delicato".
"Conosco il papà di Cecilia, è chiaro che ho condiviso la sua preoccupazione di padre, ma ripeto: per noi tutti gli italiani che hanno bisogno di aiuto sono uguali - prosegue il vice premier - C’è stato un dialogo continuo, e ripeto, la nostra intelligence, la diplomazia, il governo hanno fatto il massimo. Essere un Paese come il nostro che ha rapporti con tutti i Paesi dell’area del Medio Oriente, anche con quelli di cui non condivide politiche e azioni, rende possibile agire con efficacia anche di fronte a grandi difficoltà. Non a caso noi abbiamo tenuto aperti i rapporti politici con l’Iran, abbiamo tenuto aperta l’ambasciata in Siria, dove andrò domani dopo che si sarà riunito il Quintetto. Ribadirò alle nuove autorità siriane l’importanza di un processo politico inclusivo che garantisca le libertà fondamentali di tutti i siriani e riconosca e valorizzi il ruolo dei cristiani come cittadini con pienezza di diritti, e annuncerò anche il primo pacchetto di aiuti per la cooperazione".
Quanto a un eventuale promessa di "scambio" per la liberazione dell’ingegnere iraniano Abedini, Tajani ribadisce che "sono due cose separate, lo hanno spiegato anche le autorità iraniane. Il caso Abedini è trattato dalle autorità giudiziarie italiane, vedremo cosa succederà. Poi, eventualmente, sarà di competenza del ministro della Giustizia. Cecilia Sala era invece una cittadina italiana accusata di aver violato le leggi locali, e su quello abbiamo lavorato. Abbiamo visto un’opposizione responsabile. Ovviamente abbiamo tenuto aperti canali di informazione, e il sottosegretario Mantovano ha riferito al Copasir. Ma sì, ciascuno ha fatto la propria parte".
Riguardo l'influenza sulla liberazione della Sala della visita lampo della premier Giorgia Meloni da Trump, il 4 gennaio, Tajani dichiara che "ha avuto un effetto politico che è stato affiancato dal lavoro politico, generale, costruito per far capire che l’Italia parlava con gli Stati Uniti, ma non c’è stata una conseguenza diretta sulla liberazione di Sala. È possibile che l’accelerazione per la liberazione della giornalista sia anche avvenuta in questi giorni prima dell’insediamento ufficiale di Trump, che la tempistica sia stata favorevole. Quella era una missione della premier. Io andrò negli Usa quando la nuova amministrazione si sarà insediata, incontrerò il mio omologo Rubio, lavorerò ai miei dossier. Se sarò al giuramento di Trump? Quella è una cosa interna americana, non di governo. Ci sarà tempo, tratteremo tutti i dossier aperti a tempo debito a partire da quello sui dazi".
Londra, 9 gen. (Adnkronos) - Il miliardario Elon Musk ha tenuto colloqui privati con gli alleati sulla rimozione del primo ministro britannico Keir Starmer dal suo incarico prima delle prossime elezioni generali. Lo scrive il Financial Times, che cita fonti secondo cui il proprietario di X stia sostenendo movimenti politici britannici alternativi per forzare un cambio di governo. "Secondo Musk, la civiltà occidentale stessa è minacciata", avrebbe dichiarato una delle fonti citate dal Ft.
Sana'a, 9 gen. (Adnkronos) - Aerei da caccia americani e britannici hanno effettuato attacchi aerei nella capitale dello Yemen, Sanaa, nonché nella città portuale di Hodeidah e nel governatorato di Amran, a nord della capitale. Lo riportano la televisione Al-Masirah controllata dagli Houthi e l'agenzia di stampa yemenita Saba.
Ramallah, 9 gen. (Adnkronos) - Hamas ha rivendicato l'uccisione, nella sparatoria di lunedì in Cisgiordania, dei tre israeliani Rachel Cohen, Aliza Reiss ed Elad Yaakov Winkelstein. Le tre persone sono state uccise e altre otto sono rimaste ferite, quando un terrorista ha aperto il fuoco su un autobus e due auto nei pressi dell'insediamento di Kedumim.
Washington, 9 gen. (Adnkronos/Afp) - Almeno cinque persone sono morte nei violenti incendi che infuriano da ieri intorno a Los Angeles e che ora minacciano il distretto di Hollywood, i cui residenti hanno ricevuto l'ordine di evacuare. È stata ordinata l'evacuazione della zona mentre ieri sera le fiamme hanno cominciato a divorare le colline, a poche centinaia di metri dall'Hollywood Boulevard e dal famoso Teatro Cinese.
Un altro incendio è scoppiato in serata anche nel vicino quartiere di Studio City, preoccupando le autorità. Circa 1.500 edifici sono stati distrutti e più di 100.000 abitanti sono stati costretti a fuggire di fronte alle fiamme. Le autorità temono di scoprire altre vittime. Los Angeles è stata spazzata da “venti della forza di un uragano combinati con condizioni di estrema siccità”, ha dichiarato il sindaco Karen Bass durante una conferenza stampa ieri sera, spiegando in questo modo la causa degli incendi.