Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – nel testo trasmesso al Senato il 20 aprile 2021 – la parola “condivisione” compare 7 volte, tante quante la parola “cooperazione”. La parola “mercato” compare 73 volte, “competitività” 72 volte, “concorrenza” 44 volte. Secondo Pitagora di Samo i numeri sono tutto, dicono tutto, giacché “il numero è la legge dell’universo”. Ma c’è chi la pensa diversamente, anche tra gli antichi filosofi. Saranno dosi più generose di concorrenza e mercato a invertire il trentennale declino del paese, contribuendo nello stesso tempo a una maggiore giustizia sociale?
Negli ultimi 30 anni, questo dogma del capitalismo gentile, mutuato dalle teorie ordo-liberali meno radicali, raramente si è concretizzato. Il clamoroso progresso tecnologico ha certamente migliorato la vita della gente che viveva in molti paesi poveri, traghettandoli nella società dei consumi senza peggiorarne – in parecchi casi – la precaria condizione di giustizia sociale, qualche volta migliorandola. Non va dimenticato che la popolazione della Terra colpita dalla fame è rimasta pressoché stabile negli ultimi vent’anni, mentre la popolazione mondiale ha continuato a crescere. Ma questo progresso non ha finora aumentato la resilienza territoriale e sociale, per esempio, nei confronti delle catastrofi naturali.
Nei paesi avanzati, il progresso tecnologico non ha prodotto maggiore giustizia sociale, aumentando la forbice tra ricchi e poveri. E neppure ha prodotto maggiore felicità, quasi a voler confermare il paradosso di Easterlin. I pilastri di ogni ulteriore progresso saranno le tecnologie info-comunicative (Ict) e l’Intelligenza Artificiale (Ia). Ict e Ia possono aiutare una umanità consapevole, solidale, custode del bene comune, a vivere meglio su questo pianeta. Ma possono anche favorire una società distopica, ben più orribile del paradigma orwelliano.
In Italia, le privatizzazioni della seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso hanno introdotto alcune dosi di libero mercato, più o meno omeopatiche a seconda dell’anatomista che ne fa l’autopsia. Comunque le si guardi, esse non hanno prodotto industrie più solide, autostrade più efficienti, energia e telecomunicazioni più a buon mercato, più lavoro e lavoro pagato meglio. Erano dosi troppo scarse o, più semplicemente, una cessione di beni comuni in cambio di modesti, temporanei vantaggi di cassa per lo Stato?
“Un fattore essenziale per la crescita economica e l’equità è la promozione e la tutela della concorrenza. La concorrenza non risponde solo alla logica del mercato, ma può anche contribuire a una maggiore giustizia sociale” recita il testo del Pnrr, dove la parola “equità” compare ben 18 volte. Per uscire dalla pandemia con una società europea più forte, equa, solidale, non basta limitare la funzione della Commissione Europea al “ruolo efficace nell’accertare e nel sanzionare cartelli tra imprese, abusi di posizione dominante e fusioni o acquisizioni di controllo che ostacolano sensibilmente il gioco competitivo”. Ci vuole più coraggio.
Nel Pnrr ci sono cose molto buone, alcune evidenziate da un amico sapiente come Ferdinando Boero nel suo blog. La visione eco-sistemica e il principio di precauzione rappresentano una novità assoluta, di cui potranno giovarsi anche ambienti diversi dal mare caro a Boero. Per esempio: la resilienza del territorio nei confronti delle catastrofi naturali, l’adattamento urbano e rurale ai cambiamenti climatici, la conservazione e il miglioramento di uno dei beni comuni più importanti, il paesaggio.
In fondo, il Pnrr usa la parola “giustizia”, senza contare eventuali aggettivi qualificativi, ben 72 volte, tante quante “competitività” e solo una volta meno di “mercato”. E, nello stesso documento, gioco competitivo vince ma solo di misura su giustizia sociale, per 3 a 2. Non è illusorio sperare che, nell’attuazione del piano, si raggiunga almeno un sospirato pareggio.