Per quale ragione, dopo cinque anni di battaglie, un gruppo da 34 miliardi di euro di capitalizzazione come Vivendi decide di uscire, senza un’adeguata contropartita, dal capitale di Mediaset che vale in Borsa poco più di 3,2 miliardi? Il tutto avendo, nell’ordine, messo fuori gioco a Strasburgo la legge Gasparri, costretto il governo di Giuseppe Conte a varare una norma ad hoc per salvare Mediaset dalle grinfie di Vivendi e neutralizzato una richiesta risarcitoria da oltre 3 miliardi? Detta in altri termini, avendo vinto su tutta la linea, perché i francesi sono scesi a patti?
Nell’accordo raggiunto fra Vivendi e Mediaset non c’è traccia di alcuna spiegazione valida che giustifichi una simile scelta strategica. Se non quella di attendere tempi migliori per portare a termine un progetto di lungo periodo che prevede l’annessione di Cologno Monzese all’impero francese. E magari intanto una soluzione alla partita Telecom, di cui Vivendi è socia, consentendo al governo di Mario Draghi di premere l’acceleratore sulla rete unica. Al di là degli slogan, non c’è quindi e non può esserci alcuna pace fra Vivendi e Mediaset. Ma solo una tregua armata con quella che, nel luglio 2016, Marina Berlusconi definì “finanza cattiva” che costruisce grandi imperi a danni di terzi. La ragione sta nel fatto che per i francesi il progetto della Latin media company ideato da Vincent Bolloré resta ancora in piedi. Ciò significa che l’interesse di Vivendi rimane l’espansione sul mercato media francofono e spagnolo, mercato quest’ultimo in cui Mediaset è molto forte grazie alla controllata España.
Per il momento Vivendi ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco, smontando la posizione nel capitale di Mediaset, annunciando che voterà a favore del trasferimento legale di Mediaset in Olanda e dell’abolizione del meccanismo del voto maggiorato. Ha anche preso l’impegno di vendere sul mercato l’intera quota del 19,19% di Mediaset detenuta dalla fiduciaria Simon nel giro di cinque anni e ha deciso che, alla data del closing previsto per il 22 luglio, cederà alla Fininvest il 5% del capitale del Biscione. Inoltre ha concordato che effettuerà “un pagamento di 26,3 milioni di euro per la definizione del contenzioso relativo al copyright con Rti e Medusa, del Gruppo Mediaset” come si legge nella nota ufficiale. Infine, a grosse linee, Vivendi ha persino promesso che non interferirà nei progetti di internazionalizzazione di Mediaset sulla francese M6 o sulla tedesca Prosiebensat. In sintesi si tratta di un “accordo tombale” per chiudere tutte le controversie. Unico vantaggio per Vivendi è forse il depotenziamento delle accuse penali contro Bolloré e il suo braccio destro Arnaud de Puyfontaine.
Non resta che chiedersi se, dopo il dietrofront sull’acquisto di Premium, con un Silvio Berlusconi in delicate condizioni di salute, sarà possibile per Mediaset e Fininvest fidarsi del socio francese. Oltralpe non sarebbero pochi gli industriali a suggerire di stare in allerta. Primo fra tutti Martin Bouygues che rischiò di farsi sfilare dalle mani l’azienda di famiglia da Bolloré. E si salvò solo per l’intervento del miliardario del lusso, Francois Pinault. Ma anche Arnaud Lagardère che, in tempi decisamente più recenti, ha dovuto cedere alle pressioni del finanziere bretone rinunciando allo statuto anti-scalate ostili messo in piedi dal padre nel 1992. “La suspense è durata trentasei ore più del previsto – racconta Le Monde dello scorso 28 aprile – Ufficialmente il tempo necessario alle parti per regolare gli ultimi dettagli. Ufficiosamente perché Vincent Bolloré aveva voglia di mostrare che dava del tempo al suo avversario e che era lui il nuovo uomo forte di Lagardère”. Gruppo media che ha in pancia asset pregiati come i libri Hachette, la tv Europe 1, Le Journal du Dimache e il settimanale Paris Match.
Per Mediaset il tempo a disposizione sarà molto probabilmente di più. La famiglia Berlusconi avrà quindi l’opportunità di far crescere l’azienda di Cologno Monzese prima di scendere eventualmente a patti con Vivendi nell’ambito del progetto della Latin company europea. Così, quando e se arriverà il momento del passaggio di mano, i Berlusconi potranno probabilmente spuntare una migliore contropartita rispetto ad oggi. O magari saranno riusciti a trovare un cavaliere bianco per mettere sotto scacco Vivendi. Intanto i francesi avranno risolto la patata bollente di Telecom e forse sviluppato un nuovo business attorno all’ex monopolista telefonico.