AstraZeneca anche sotto i 60 anni? “Non per tutti”, magari solo per gli uomini. È l’opinione dell’immunologa Antonella Viola, docente all’università di Padova. Il rischio di effetti collaterali gravi” di questo vaccino anti-Covid “è raro, ma è maggiore nelle donne giovani. D’altro canto, le donne giovani hanno un rischio inferiore agli uomini di sviluppare sintomi severi da Covid-19. Il rapporto rischi-benefici ci suggerisce quindi di vaccinare tutti gli uomini, anche con J&J, ma di tenere fermo il limite di età nelle donne. Basta con la medicina che non considera il nostro sesso”. La scienziata in un post su Facebook commenta così l’ipotesi prospettata dal commissario Francesco Figliuolo di somministrare le dosi anche alle persone che hanno meno di 60 anni.
“Se si entrasse nell’ordine delle idee di vaccinare” contro Covid-19 “con AstraZeneca anche sotto i 60 anni, e io non sarei contrario, magari si potrebbero creare delle limitazioni che sono anche comprensibili” ritiene Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma. Intervenuto ad Agorà su Rai 3. Che tipo di limitazioni? “Si tenga conto che questi eventi eccezionali”, le trombosi rare che sono state oggetto di valutazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco Ema, “hanno riguardato sostanzialmente il genere femminile e quindi si potrebbe cercare di dare una spiegazione tecnica alle scelte che si fanno, cercando di farle capire alle persone”.
La questione di genere anche per quanto riguarda la sperimentazione non è un aspetto secondario di questa riflessione. A inizio campagna vaccinale ci furono le segnalazioni di reazioni allergiche, primo effetto avverso raro finito sotto i riflettori, con i vaccini Pfizer e Moderna. Uno dei primi studi al riguardo, pubblicato a febbraio su Jama Insights sui vaccini a mRna censiva le segnalazioni di questi eventi negli Stati Uniti dal 14 dicembre al 18 gennaio. E spiccava un dato: su 47 anafilassi segnalate post Pfizer (tasso di segnalazione di 4,7 casi per milione di dosi somministrate) 44 – cioè il 94% – si erano verificate su donne; 19 eventi di questo tipo segnalati post Moderna (tasso di segnalazione di 2,5 casi per milione di dosi somministrate), 100% donne.
Poi è scoppiato il caso delle trombosi rare associate a bassi livelli di piastrine, segnalate dopo vaccinazione con AstraZeneca. L’Agenzia europea del farmaco Ema, nel riportare il 7 aprile in una nota l’esito delle valutazioni del comitato per la farmacovigilanza Prac, parlava di “maggior parte dei casi segnalati in donne di età inferiore a 60 anni entro 2 settimane dalla vaccinazione“, pur ammettendo di non poter identificare con certezza al momento un fattore di rischio nell’età e nel sesso. A seguire, dagli Usa sono arrivati i dati sulle trombosi rare segnalate post vaccino J&J: 6 casi (su quasi 7 mln di vaccinazioni) tutti su donne fra 18 e 48 anni.
“Quello che stiamo vedendo con forza” con Covid-19 e con l’immunizzazione di massa nella quale il mondo è impegnato “accende un faro su uno storico problema: mette in evidenza quanto pesino nel mondo dei farmaci e notoriamente sui vaccini, e in generale sulle malattie, le differenze di genere. Forse se si considerassero di più queste differenze, a cominciare dagli studi scientifici, si potrebbero cogliere prima alcuni segnali di allerta” avevano dichiarato all’Adnkronos Salute due scienziate italiane di base a Zurigo, in Svizzera, che si battono da tempo proprio per aumentare la consapevolezza sul ‘fattore rosa: Antonella Santuccione Chadha, medico, patologo clinico, esperta di neuroscienze e delle malattie del cervello, e Maria Teresa Ferretti, laurea in Chimica e Tecnologie farmaceutiche, esperta di Alzheimer e medicina di genere.
Entrambe sono co-fondatrici dell’organizzazione non-profit ‘Women’s Brain Project’ (Wbp) e hanno scritto un libro, ‘Una bambina senza testa’, dedicato proprio al tema della differenza di genere all’interno del mondo delle malattie mentali e neurologiche. Con Sars-CoV-2 si è visto che “le donne, pur rappresentando la maggioranza del personale sanitario che fronteggia in prima linea Covid-19, si ammalano meno severamente rispetto agli uomini, e muoiono anche meno”. Poi pure i vaccini hanno messo in luce l’importanza di guardare alle differenze. “Il mondo si è svegliato e noi non siamo più Don Chisciotte”, osserva Santuccione Chadha. “Sappiamo che il sistema immunitario femminile si attiva di più in risposta a qualunque vaccino, e questo lo vediamo anche sugli effetti collaterali e gli eventi avversi, ed è molto importante studiare e approfondire tutto questo. Noi abbiamo messo su un gruppo di lavoro, una piccola task force di scienziati, che si sta occupando di questo per i vaccini anti-Covid”.
“Abbiamo fatto un lavoro – interviene Ferretti – andando a vedere gli studi che sono stati pubblicati in letteratura scientifica sui 4 vaccini approvati e anche i lavori su cui si sono basati i regolatori, in particolare la statunitense Fda, l’europea Ema, la canadese Health Canada, per approvare questi farmaci. Abbiamo trovato che, in realtà, nei dati esaminati dalle agenzie non c’è da nessuna parte nei loro report un’analisi della sicurezza del farmaco divisa per uomini e donne. Non vuol dire che al 100% questa analisi non è stata fatta, ma sicuramente non è stata pubblicata, è un’informazione che non si trova nei documenti e stiamo scrivendo un articolo per sollevare il problema”.
“Forse – fa notare Ferretti – se questo tipo di dato fosse sempre messo in evidenza, se fosse un punto all’ordine del giorno, se venisse proprio strutturalmente integrato nel processo di approvazione di un farmaco, alcuni di questi casi che adesso ci sembrano rari sarebbe stato più facile individuarli, soprattutto in queste donne giovani. I vaccini hanno anche messo in evidenza un altro problema comune all’approvazione dei farmaci ed è: cosa si fa con le donne incinte e che allattano, oggi escluse da tutti i trial? Quando si disegna lo studio, si potrebbe pensare di fare un sotto-studio in parallelo oppure un registro post approvazione su questa popolazione, per far sì che quando un vaccino viene approvato sia pronto per tutti”.