I cinema hanno riaperto e il sapore è quello di una piccola “liberazione” dal Covid, benché tutti giustamente in mascherina e ben distanziati. Così il reinserimento del pubblico in sala, in una gradualità che sa anche di scoperta per ogni spettatore isolato per mesi, fa tornare a girare il botteghino in favore di due film italiani. Pardon, uno italiano, Est-Dittatura last minute, commedia giovanilistica ambientata nella Romania di Ceausescu; l’altro francese ma girato da un italiano, Filippo Meneghetti.
Est, una bella sorpresa di rilievo internazionale seppure a basso budget di Antonio Pisu, con rendimento da piccola perla per chi ama commedie davvero originali e tema del viaggio – in più con la rivelazione Lodo Guenzi, già sanremese con Lo Stato Sociale e qui prestato al cinema senza tante aspettative, ma con un ottimo risultato interpretativo. Ora il film è al 5° posto del box office, ma teneva il 4° fino a due giorni fa.
Mentre Due (o Deux) di Meneghetti, scusate il gioco di numeri e parole, il film d’esordio, piccolo grande escluso agli Oscar e candidato al Golden Globe come Miglior film straniero di cui ho già parlato ben prima della pandemia, ha esordito al 5° già dalla sua anteprima del 3 maggio, ma è in 40 sale dal 6: la sua vita con il pubblico italiano inizia qui.
Mettendo da parte le classifiche, altre novità al cinema arrivano per l’appunto il 6 maggio. Con Il diritto alla felicità ritroviamo protagonista Remo Girone. Nei panni di un anziano libraio in un incantevole borgo abruzzese, avrà a che fare con una variegata umanità di avventori/lettori tra i quali spiccano come spalla il barista interpretato dallo scanzonato Corrado Fortuna e il timido robivecchi Federico Perrotta. Ma l’incontro speciale sarà con un ragazzino molto sveglio e non italiano, affamato di storie. Inizierà la loro amicizia tra pagine e scaffali, uno scambio culturale tra il giovane e il vecchio lettore. Regia semplice e contemplativa dei panorami boschivi intorno a Civitella del Tronto, questa commedia agrodolce dal ritmo compassato parla d’amore per la lettura, per i libri come oggetti preziosi e delle lezioni che ognuno di essi serba per chi legge.
Resta dietro la macchina da presa Woody Allen per la sua nuova storia girata in Europa. Siamo in Spagna, il San Sebastian Film Festival accoglie un nuovo talento registico con la facile interpretazione di Louis Garrel, golden boy divenuto solido attore/autore, e a fargli da ufficio stampa una Gina Gershon tutta pubbliche relazioni accompagnata dal suo uomo burbero e saturo di pensieri macerati. Ecco il cuore di Rifkin’s Festival perché stavolta l’alter ego alleniano ha la faccetta riottosa di una vecchia conoscenza, vale a dire Wallace Shawn. Il suo personaggio s’impiglia tra sospetti e gelosie per lo stretto rapporto tra la compagna di una relazione oramai stanca e il giovane rappresentante di una nuova corrente cinematografica. Il professor Rifkin verrà tradito o troverà nuove soluzioni di coppia? È sempre Mister Allen, il suo cinema oramai brand con la fotografia eccelsa di Vittorio Storaro, nel bene o nel male che gli vogliate, fa antologia a sé, e stuzzica le menti sempre ben più della media, approdando finalmente al cinema il 6 maggio dopo una serie infinita di rimandi causa Covid.
Arriviamo a una scelta forte. Quella di Warner Bros, che in Italia ha deciso di lanciare Godzilla vs. Kong esclusivamente in digitale. Evidentemente il doloroso passaggio invernale dall’idea della sala allo streaming legale di fatto è stato copernicano per una macchina organizzativa complessa come una major che ancora non detiene la sua piattaforma online. Al contrario, per esempio, Disney+ permette un posto d’onore nel suo catalogo abbonati a Nomadland, contemporaneamente primo al box office italiano con un incasso quadruplo rispetto al secondo, Minari (esclusivo per le sale). Tutto questo per dire che le scazzottate tra mostroni sgretola-metropoli potremo vederle solo dal divano di casa. Più avanti chissà.
Lo scontro sala vs. streaming sembra inevitabile quanto quello Godzilla vs. Kong. Storico quest’ultimo come i vecchi monster movie, ma in Warner è in atto un Monster Universe, nuovo franchise di bestioni da terzo millennio con già tre precedenti. Due film col lucertolone, pardon, iguana gigante, uno con lo scimmione. Con la caratteristica della coralità umana intorno alla computer graphic animation delle due vere star immaginarie in questione, ritroviamo allora tra i protagonisti umani Millie Bobby Brown, già presente in Godzilla 2, che si circonderà di un nerd amico di scuola e di un altro più cresciutello, un Brian Tyree Henry scienziato e complottista allegramente maniacale. Da qui il film diventa una doppia caccia ai mostri in conflitto. Anche se alla fine, ad aizzarli sarà sempre il villain di turno, umano e disumano quanto basta.
Le azzuffate inizieranno in piedi su navi da guerra in mezzo al mare. Una cosetta, direte. Sì, una specie di mostruoso giochi senza frontiere che poi catapulterà i nostri eroi ed eroine, guidati anche dall’ex-Tarzan Alexander Skarsgård, qui in versione biologo, in un “viaggio al centro della Terra” che sfiderà ogni realismo scientifico. Certo, sempre meglio un sorriso del genere che il terrapiattismo. Voi abbiate comunque pazienza, o tornate bambini in cerca di testosterone se preferite. Questo cinema serve anche a esorcizzare periodi della vita senza fuochi d’artificio. Certo, la spettacolarità della sala mancherà un po’, a prescindere. E a prescindere dalle autorialità o dalle anabolizzazioni del nuovo cinema anni ’20, la domanda cruciale è: cosa preferirà il pubblico dopo oltre un anno di pandemia e forzati allenamenti casalinghi, il #cinemainsala o il #cinemasuldivano?