Lo Scottish National Party della premier Nicola Sturgeon, nel caso in cui raggiungesse la maggioranza, avrà le carte in mano per richiedere a Westminster un secondo referendum. E a rimpolpare il fronte indipendentista ci saranno anche il partito Alba e i Verdi. Ma la strada per una seconda consultazione sulla secessione dal Regno è tutt'altro che in discesa
La premier scozzese Nicola Sturgeon non usa mezzi termini. A pochi giorni dal voto per il rinnovo del parlamento di Holyrood, la leader del Partito Nazionalista Scozzese (Scottish National Party, Snp) ha descritto le elezioni del 6 maggio come “le più importanti della storia scozzese”. Importanti, e “sul filo di lama”.
Lo Snp, al potere da 14 anni con tre mandati consecutivi (anche se con un governo di minoranza con i Verdi dal 2016) è in testa nei sondaggi rispetto ai partiti di opposizione dei conservatori unionisti e dei Labour. Nel Regno Unito si dà già per scontato che la Sturgeon, premiata per la chiarezza e la coerenza con cui ha affrontato l’emergenza Coronavirus, giovedì metterà a segno un’altra vittoria politica. Ma sono i numeri che usciranno dalle urne ad accendere la tensione in Gran Bretagna e a tenere l’inquilino di Downing Street, Boris Johnson, in attesa dell’esito di questa importante mandata elettorale.
Se, come rivelano i sondaggi, il partito nazionalista scozzese dovesse infatti vincere la maggioranza di 65 dei 129 seggi del Parlamento scozzese la Sturgeon avrà le carte in mano per richiedere a Westminster un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia, rivendicando quello che chiama un mandato “legittimo e costituzionale” a dispetto del categorico rifiuto del premier britannico Boris Johnson di concedere una seconda chance alla secessione scozzese, e alla spaccatura del Regno Unito. Il leader Tory, replicando all’ultimo appello di Sturgeon alla vigilia del voto, ha definito l’ipotesi della consultazione “scriteriata e irresponsabile” ora che la Gran Bretagna della Brexit ha bisogno di unità per vincere la sfida del post Covid, dove il rilancio dell’economia e dell’occupazione sono “le vere priorità” della gente.
Elezioni 2021: un “referendum sul referendum” – Come si sa, il precedente c’è: nel 2011 il partito dell’allora leader dello Snp, Alex Salmond, dopo aver conquistato la maggioranza netta di seggi a Holyrood costrinse il primo ministro David Cameron a concedere il famigerato referendum che tre anni dopo vide il 55,30% degli scozzesi rispondere di “No” al quesito sull’indipendenza della Scozia.
Ad affossare la maggioranza della Sturgeon alle urne questa volta potrebbe essere proprio l’acre controversia con il suo ex mentore Salmond che, dopo essere sopravvissuto allo scandalo molestie sessuali, si ripresenta ora a capo del nuovo partito nazionalista Alba e potrebbe diluire i voti di Snp.
Il sistema elettorale scozzese prevede due voti, uno per i 73 collegi uninominali eletti col maggioritario secco, l’altro per i restanti deputati scelti dalle liste regionali con sistema proporzionale. La pandemia potrebbe poi avere l’effetto di fiaccare l’affluenza alle urne, storicamente bassa, che dal 1999 a oggi è stata attorno al 53%. Tra i 25 partiti in gara, Conservatori, Laburisti e Liberal-democratici sembrano in corsa per fermare la secessione, ma anche se il partito nazionalista scozzese non dovesse assicurarsi la maggioranza assoluta, tra i voti vinti da Alba e quelli che dovrebbero andare ai Verdi del partito Scottish Greens (rispettivamente 2 e 9 seggi secondo le proiezioni di BMG), a Holyrood potrebbe insediarsi una solida maggioranza di deputati scozzesi pro-indipendenza.
Staccarsi da Londra o guarire l’economia? – La strada verso il secondo referendum però è in salita. La fervente indipendentista Sturgeon nel 2016 ha colto al balzo il fallimento del referendum sulla Brexit in Scozia (dove è stata bocciata da un clamoroso 62% di no) per tentare nuovamente di staccarsi da Londra e rientrare nell’Unione Europea, in aperta guerriglia con il premier Johnson.
L’emergenza coronavirus ha messo al centro del manifesto elettorale della leader Snp la ricostruzione dell’economia post-Covid, sanità, lavoro, e sì, la sua promessa di un secondo referendum sull’indipendenza, ma non prima dell’autunno 2023 una volta che la pandemia sarà contenuta e ci sarà uno spiraglio di maggioranza per vincere il secondo, ed ultimo, tentativo di consultazione popolare.
A distanza di 7 anni dall’ultimo referendum separatista infatti l’elettorato scozzese non solo è ancora diviso 50/50 sulla secessione, ma il dilemma si è acuito per via delle aggravanti economiche della pandemia. “L’indipendenza non è una distrazione ma un elemento essenziale per la ripresa dal Covid“, ha sottolineato Sturgeon a più riprese, e sulla bilancia restano i vantaggi di riunirsi al continente contro i costi dello strappo da Londra, inclusa la prospettiva di dover alzare le tasse in un momento in cui, secondo un’analisi del Financial Times, la Scozia fuori dal Regno Unito potrebbe segnare un disavanzo fiscale fino al 10% del Pil.
Johnson è pronto al contrattacco con un piano miliardario di investimenti in strade ed infrastrutture ferroviarie di collegamento tra Inghilterra e Scozia, e offerte anche nei settori sanità ed educazione. Il tempo stringe, quando nel 2025 si terranno le nuove elezioni, gli scozzesi potrebbero già essersi assuefatti alla Brexit, e per l’indipendenza è una questione di ‘ora o mai più’.