Un verdetto più severo e pene più alte per i carabinieri imputati per il pestaggio mortale di Stefano Cucchi e per le bugie seguite a quell’arresto finito in tragedia per il geometra romano arrestato per droga e spirato una settimana dopo all’ospedale Pertini di Roma. I giudici della Corte d’assise d’appello di Romano hanno condannato a 13 anni per omicidio preterintenzionale i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati di avere picchiato Stefano Cucchi. In primo grado i giudici gli avevano inflitto 12 anni.
Nello stesso processo erano accusati di falso il carabiniere Roberto Mandolini che ha avuto un lieve sconto di pena passando da 4 anni e mezzo a 4 anni e Francesco Tedesco che ha visto confermata la condanna a due anni e sei mesi. I militari erano stati condannati rispettivamento a 3 anni 8 mesi e 2 anni. La corte ha accolto le richieste del pg che aveva appunto sollecitato una condanna a 13 anni. L’accusa aveva chiesto l’assoluzione per Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni ha fatto luce su quanto avvenuto nella caserma Casilina la notte dell’arresto.
“Il mio pensiero va a Stefano e ai miei genitori che oggi non sono qui in aula. È il caro prezzo che hanno pagato in questi anni” ha detto Ilaria Cucchi commentando la sentenza. “Il nostro pensiero – ha aggiunto Fabio Anselmo, legale di Ilaria – va ai procuratori Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e Giovanni Musarò, dopo tante umiliazioni è per merito loro che siamo qui. La giustizia funziona con magistrati seri, capaci e onesti. Non servono riforme”. “La mamma di Stefano, la signora Rita Calore, ha pianto non appena ha saputo della sentenza. L’ho sentita la telefono.È un momento di grande commozione. Dopo 12 anni la lotta non è ancora finita. Siamo comunque pienamente sodddisfatti della decisione di oggi della corte d’appello” ha affermato l’avvocato Stefano Maccioni, parte civile nel processo, e legale dei genitori di Stefano Cucchi.
“Pensavamo che non si potesse fare peggio della sentenza ingiusta come quella di primo grado ma oggi abbiamo la conferma che la giustizia non guarda più al dato processuale e la conferma è oggi con l’accoglimento di una impugnazione completamente inammissibile, che ha condannato ancor più gravemente gli imputati di questo processo. La nostra speranza è il giudice delle leggi, la Cassazione, ci rivedremo lì” ha detto l’avvocato Maria Lampitella, difensore di D’Alessandro. “Che grande ingiustizia” il commento a caldo dell’imputato al suo legale. “Prima di commentare una sentenza bisogna leggere le motivazioni, vedremo su quali basi sono state escluse le attenuanti generiche nei confronti dei carabinieri imputati” commenta l’avvocato Giosuè Bruno Naso, difensore di Mandolini.
Secondo i giudici di primo grado fino al momento del suo arresto Stefano Cucchi stava bene. Sarebbe morto solo i seguito a un “evento traumatico“, accaduto nella “sala adibità al fotosegnalamento nella caserma Casilina“. Dove, cioè, fu pestato dai due militai che si resero colpevoli di una “azione violenta“, facendo “uso distorto dei poteri di coercizione inerenti il loro servizio“, e “violando dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo”. Fino alla sera dell’arresto, avevano scritto i magistrati nella motivazione del verdetto, il geometra 31enne stava bene. “La prima univoca e indiscutibile conclusione che si deve trarre è che nel pomeriggio/serata del 15 ottobre 2009 (quando fu arrestato il giovane, ndr) e nella prima parte della notte del 16, fino all’esecuzione della perquisizione domiciliare, Stefano Cucchi versava in condizioni fisiche assolutamente normali e che non presentava, né manifestava, alcun segno di lesioni fisiche”, scrivono i giudici. Quindi “Stefano Cucchi, vivendo sino alla sera del 15 ottobre del 2009, in una condizione di sostanziale benessere, se non avesse subito un evento traumatico, nella sala adibita a fotosegnalamento nella caserma Casilina, non avrebbe sofferto di molteplici e gravi lesioni, con l’instaurarsi di accertate patologie che hanno portato al suo ricovero e da lì a quel progressivo aggravarsi delle sue condizioni che lo hanno condotto alla morte“.
“In questa storia abbiamo perso tutti. Nessuno ha fatto una bella figura. Stefano Cucchi quel giorno doveva andare in ospedale e non in carcere” aveva detto nel corso della requisitoria il sostituto procuratore generale, Roberto Cavallone. “Credo che nel nostro lavoro serva più attenzione – aveva aggiunto Cavallone – per le persone piuttosto che per le carte che abbiamo davanti. Dietro le carte c’è la vita delle persone. Quanta violenza siamo disposti a nascondere ai nostri occhi da parte dello Stato senza farci problemi di coscienza? Quanto è giustificabile l’uso della forza in certe condizioni? Noi dobbiamo essere diversi, noi siamo addestrati a resistere alle provocazioni, alle situazioni di rischio”. Il pg aveva ricordato il caso della morte di Federico Aldrovandi e ha aggiunto che “le vittime di queste violenze sono i marginalizzati. In questa storia abbiamo perso tutti, Stefano, la sua famiglia, lo Stato”. La difesa aveva chiesto l’assoluzione. “Nessuno nega che ci sia stato un pestaggio, ma non è stato così violento. Stefano Cucchi non è stato ucciso per i ceffoni o pugni, nessuno lo ha ucciso di botte. Le persone che lo hanno lasciato morire sono stati i medici attraverso negligenze ed omissioni, chi ha sbagliato ha pagato penalmente e civilmente con un risarcimento” aveva affermato l’avvocato Antonella De Benedictis, difensore Di Bernardo. Per quanto riguarda i medici la Cassazione ha sancito quattro prescrizioni e una assoluzione.