Cronaca

Coprifuoco, la spiegazione di Galli: “Serve a evitare un rimescolamento della popolazione”

L'infettivologo ospite della trasmissione Agorà, su Rai Tre, ha spiegato perché il blocco degli spostamenti alle 22 è utile a contenere i contagi: "Uscire la sera è una delle quattro condizioni che implicano movimento e il rimescolarsi della popolazione. Si finisce per doverne sacrificare o ridimensionare una"

Il coprifuoco serale serve a “disincentivare i movimenti” ed evitare “un rimescolamento della popolazione”. Massimo Galli, infettivologo dell’Ospedale Sacco e professore all’Università degli Studi di Milano, durante la trasmissione Agorà, su Rai Tre, ha provato ancora una volta a spiegare quali sono, dal punto di vista epidemiologico, le ragioni per cui impedire gli spostamenti dopo le ore 22 aiuta a limitare la diffusione del coronavirus.

“Io ho la nausea dei discorsi sul coprifuoco”, ha esordito Galli. “Dico solo – ha aggiunto – che nell’arco della giornata esistono quattro condizioni che implicano movimento e il rimescolarsi della popolazione: l’andare al lavoro o a scuola, lo stare al lavoro o a scuola, il tornare a casa e l’uscire la sera. In tutte queste situazioni – ha proseguito l’esperto – verosimilmente si hanno contatti e ci si mischia con gente diversa, con o senza precauzioni, a seconda dei comportamenti dei singoli individui. È evidente che se devi tenere in piedi le prime tre cose, perché sono quelle che tengono in moto il paese, si finisce per doverne sacrificare o ridimensionare una che comporta un rimescolamento della popolazione completamente diverso dalle altre“.

Ecco quindi che “le limitazioni serali servono a questo: a disincentivare i movimenti. Se non si capisce questa cosa si andrà avanti a discutere all’infinito, ma non dovrebbe esser difficile da capire. Se poi ci si vuol fare polemica politica è un’altra questione”, ha spiegato Galli. “Mi rendo conto – ha concluso l’esperto – che ci sono le esigenze di coloro che di sera hanno la loro attività principale dal punto di vista economico e non riescono a sopravvivere, ma è un’altra questione. In chiave strettamente epidemiologica c’è la necessità di capire dove è possibile limitare i contatti tra le persone e di conseguenza la diffusione del virus”.