L'iter del provvedimento si è complicato ulteriormente per effetto dello stop all'inserimento nel Sostegni 1 del cosiddetto "superbonus per le imprese", cioè la possibilità di cedere a terzi il credito di imposta Transizione 4.0 per l'acquisto di beni strumentali. Il M5s chiede che sia ripescato. Intanto i sindacati chiedono di allungare il blocco dei licenziamenti e Unimpresa attacca: "Si chiude il paracadute pubblico per i prestiti, la liquidità per le imprese si ridurrà"
Slitta alla prossima settimana, come era emerso già nei giorni scorsi, il varo del decreto Sostegni bis con cui il governo deve distribuire i circa 40 miliardi di nuovo scostamento di bilancio sotto forma di aiuti a famiglie e imprese ancora alle prese con la crisi innescata dalla pandemia. Giovedì l’iter del provvedimento, bloccato dalla Lega che insiste per modificare il meccanismo dei ristori per tener conto dei costi fissi, si è complicato ulteriormente per effetto dello stop da parte della Ragioneria all’inserimento nel Sostegni 1 del cosiddetto “superbonus per le imprese“. Che in realtà poco c’entra con il Superbonus 110%: si tratta della proposta di concedere alle aziende che usufruiscono del credito di imposta Transizione 4.0 per l’acquisto di beni strumentali necessari alla trasformazione tecnologica o digitale di cedere quel credito ad altri soggetti comprese le banche. Come avviene per il superbonus per l’efficientamento energetico, appunto. Il Movimento 5 Stelle, dopo ore di tensione, ha deciso di votare la fiducia al provvedimento ma intende chiedere che la novità entri nel Sostegni 2.
Si tratta, appunto, solo dell’ultimo fronte di scontro. Lo scoglio principale riguarda i nuovi contributi a fondo perduto: le bozze circolate in settimana prevedevano una riproposizione del “vecchio” meccanismo basato sulla perdita di fatturato nell’intero 2020 rispetto al 2019, con la sola novità della possibile integrazione dell’aiuto con la somma che risulta dal confronto tra i ricavi del periodo 1 aprile 2020 – 31 marzo 2021 (dal primo lockdown alle nuove restrizioni) e l’anno tra 1 aprile 2019 e 31 marzo 2020. Ma il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti, in audizione, ha ribadito l’intenzione di “proporre l’introduzione, accanto a quelli vigenti, di ulteriori modelli di determinazione degli indennizzi” prevedendo “se del caso anche in via alternativa o complementare all’attuale sistema un criterio che tenga conto della componente dei costi (fissi e variabili) sostenuti dall’operatore economico, con un’attenzione al dato del margine operativo lordo, che sintetizza il rapporto tra ricavi e costi, e, ove maggiormente opportuno, a quello del risultato di esercizio (utile netto) dell’operatore”. Questo dovrebbe valere almeno per tutte quelle attività che sono state “chiuse per decreto, in particolare pubblico esercizio”. Per accontentare il Carroccio, però, il testo andrebbe riscritto e soprattutto i tempi di erogazione si allungherebbero. Altra questione, sollevata questa volta dal segretario del Pd Enrico Letta, è quella del turismo, con l’idea di inserire nel decreto un “Pacchetto vacanze italiane 2021″, dall’ecobonus per gli alberghi fino alla replica del bonus vacanze.
Nel frattempo in pressing ci sono anche i sindacati che in un incontro con il ministro dell’Economia Daniele Franco e il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli a Palazzo Chigi hanno messo sul tavolo del governo una serie di richieste compresa una ulteriore proroga del blocco dei licenziamenti e la soluzione del nodo dei precari della scuola già con il decreto Sostegni bis, per evitare di iniziare il nuovo anno scolastico con il caos delle cattedre vacanti. Sul divieto di licenziare “il governo ha preso atto delle nostre richieste e si è impegnato a darci una risposta nella sua collegialità” perché “ci hanno detto che sulla questione risponde il Consiglio dei ministri”, hanno spiegato i leader di Cgil, Cisl e Uil annunciando di essere pronti a “valutare le iniziative conseguenti” se non arriveranno risposte soddisfacenti.
E ancora: Unimpresa, sulla base delle bozze del Sostegni bis, è andata all’attacco perché viene previsto un taglio delle garanzie statali sui prestiti alle aziende. Cala, infatti, dal 100% al 90% la garanzia per i prestiti delle banche fino a 30.000 euro concessi alle partite Iva e alle piccole e medie imprese. Mentre per i finanziamenti superiori a 30.000 euro il piano di rimborso passa da 6 a 8 e fino a 10 anni, ma anche in questo caso il paracadute pubblico si riduce, rispettivamente, dal 90% al 70% per i piani di rientro fino a 8 anni e dal 90% al 60% per quelli fino a 10 anni. “Queste misure hanno l’effetto di ridurre la liquidità alle pmi e alle partite Iva che continuano a fare i conti con perdite di fatturato drammatiche” commenta il vicepresidente Giuseppe Spadafora. Quanto, poi, alle moratorie ovvero il congelamento delle rate dei prestiti delle imprese, il governo intende introdurre una proroga da giugno 2021 a dicembre 2021: sei mesi in più di sospensione che, tuttavia, interessa la sola quota capitale delle rate, costringendo, quindi, le imprese a restituire, a partire da luglio, la fetta della rata relativa agli interessi. L’allungamento della moratoria, in ogni caso, non è automatico: spetta, infatti, all’impresa cliente presentare una specifica domanda in banca, in assenza della quale, da luglio scatta l’obbligo di tornare a pagare le rate con regolarità.