Niente contratto per i lavoratori sportivi. Se ne riparla fra tre anni. Il governo Draghi prima ha deciso di approvare in extremis la riforma dello sport firmata dall’ex ministro Spadafora, per non vanificare il lungo lavoro svolto negli ultimi mesi. Poi, però, evidentemente non convinto fino in fondo dai suoi contenuti (e soprattutto dalle sue ricadute), ha deciso di posticiparne l’entrata in vigore al 2024. Se non suona come una bocciatura, ci siamo molto vicini. Il rinvio è contenuto nel maxiemendamento governativo al Decreto sostegni, in fase di conversione in questi giorni in Parlamento: praticamente l’intera riforma slitta al 31 dicembre 2023. In quel testo c’è di tutto: la revisione dell’albo degli agenti sportivi, una nuova legge sugli stadi, le norme più severe per la sicurezza sulle piste da sci. Ma soprattutto la creazione di un contratto per i lavoratori dello sport e l’abolizione del famoso vincolo sportivo per gli atleti dilettanti. Una vera e propria rivoluzione per il movimento, per certi versi molto attesa, per altri temuta e criticata.
L’ex ministro Spadafora ha dedicato quasi tutto il suo mandato ai lavoratori sportivi, tra i bonus durante la pandemia e la preparazione di una nuova contrattualistica, per delle figure fino ad oggi sprovviste di qualsiasi diritto. Con la riforma, in futuro chiunque lavora nello sport, dal professionista al dilettante, avrebbe avuto un minimo di tutele, una piccola percentuale di contributi e la copertura assicurativa. Che però si sarebbero inevitabilmente tradotti anche in altrettanti oneri, a carico di associazioni e società che certo non navigano nell’oro e sono già state tramortite dalla pandemia. Il governo aveva stanziato 100 milioni (50 per due anni) per accompagnare la transizione, ma non è bastato per tranquillizzare il sistema, se è vero che la riforma è stata avversata da quasi tutte le parti in causa: le società, le Federazioni che le rappresentano, la Federcalcio in particolare che si è schierata contro l’abolizione del vincolo sportivo (su cui si regge l’intero comparto dilettantistico), anche il Coni di Giovanni Malagò. Persino i lavoratori, principali beneficiari della novità, non erano convinti fino in fondo, temevano che alla fine i maggiori oneri fiscali e contributivi si sarebbero scaricati su di loro. Nessuno ha mai fatto una vera stima di quali sarebbero state le ricadute.
Proprio questo malcontento trasversale, che non era riuscito a scongiurare l’approvazione del provvedimento, è riuscito però a rimandarlo. Il governo ha ceduto alle pressioni, con un vero e proprio blitz, considerando che la sottosegretaria Vezzali giusto qualche giorno fa in audizione non aveva accennato a nulla del genere. Non tutti sono d’accordo. Non lo sarà ovviamente l’ex ministro Spadafora. Per il deputato M5S Simone Valente dice che “questa proroga è come un calciare la palla in tribuna per non affrontare più il tema”. Proteste dai lavoratori, che comunque aspettavano il cambiamento. Molto critica anche Antonella Bellutti, che sfiderà Malagò alle prossime elezioni Coni: “Finalmente avevamo l’occasione per rincorrere la civiltà, invece si continua a negare la dignità a coloro che fanno dello sport il proprio lavoro”. Si tratta per altro del secondo rinvio: uno (a luglio 2022) era già stato previsto al momento dell’approvazione, adesso si passa addirittura al 31 dicembre 2023. Considerando che a quel punto la stagione sportiva sarà già a metà, se ne riparlerà quindi a settembre 2024. Ammesso che allora la riforma esista ancora.