A un anno di distanza dalla liberazione, il quotidiano La Stampa racconta che la giovane cooperante è andata a vivere in un paese alle porte del capoluogo lombardo dove insegna lingue straniere (si era laureata poco prima di partire per l'Africa). Il matrimonio risale al 5 ottobre scorso ed è stato celebrato a Campegine, in Emilia. Il marito è di origini sarde e anche lui ha deciso di convertirsi. I due si conoscono da quando erano bambini
È passato praticamente un anno da quando Silvia Aisha Romano è stata liberata. Un anno durante il quale la cooperante milanese, rapita in Kenya nel novembre 2018 e tenuta prigioniera per 18 mesi da un gruppo fondamentalista, è riuscita a costruirsi una nuova normalità. Come riporta La Stampa, Romano si è sposata con rito islamico con un amico di infanzia – anche lui ha deciso di convertirsi all’Islam – e ora vive in un paese alle porte del capoluogo lombardo dove insegna lingue straniere (si era laureata poco prima di partire per l’Africa) in una scuola per adulti. Il matrimonio risale al 5 ottobre scorso ed è stato celebrato a Campegine, un paesino a metà strada tra Milano e Bologna. Il marito è di origini sarde, riferisce ancora il quotidiano torinese, ma in quel periodo viveva in Emilia Romagna. I due si conoscono da quando erano bambini e hanno riallacciato i rapporti dopo che la 26enne è stata liberata.
Una nuova vita lontano dalle polemiche, insomma, e dalla morbosa attenzione mediatica che è stata riservata a Romano e alla sua famiglia dal giorno in cui ha rimesso piede in Italia. In questi mesi non le sono stati risparmiati attacchi per la conversione all’Islam e la decisione di chiamarsi Aisha, per l’abito tradizionale somalo che ha indossato il giorno del rientro nel nostro Paese, per i soldi che il governo avrebbe pagato per il riscatto. Anche i suoi familiari, scrive La Stampa, hanno scelto di lasciare Milano e andare a vivere altrove, alcuni in un’altra Regione, buttandosi alle spalle la vicenda del rapimento e tutto quello che ne è seguito.
Romano era caduta nelle mani del gruppo terroristico di Al Shabaab, affiliato ad al Qaeda, nel novembre 2018. Si trovava da pochi giorni a Chakama, in Kenya, a fare la volontaria per l’ong Africa Milele, accusata nei mesi successivi di non aver adottato le giuste misure di sicurezza e aver lasciato la giovane da sola come referente italiana sul posto. Con lei c’era un masai keniota, ma quando sono arrivati i rapitori, ricorda La Stampa, non c’era nessuno a fare la guardia. Dopo oltre 500 giorni, durante i quali Romano è stata spostata in Somalia, passando per tre covi diversi, i servizi italiani sono riusciti a ottenere la liberazione grazie anche alla cooperazione con gli 007 turchi.