La fine atroce di Luana D’Orazio mi ha evocato uno dei testi più inquietanti e profondi che abbia mai letto: La colonia penale di Franz Kafka. L’autore immagina una macchina-patibolo che con un sistema di aghi uccide il condannato incidendogli sul corpo la sentenza. E’ per certi versi quello che è accaduto a Luana, già scampata una volta a una macchina che veniva usata senza barriera protettiva: “La saracinesca che doveva impedire a Luana di entrare in contatto con l’orditoio era aperta – racconta il Corsera – certo non l’aveva rimossa lei, anzi la madre racconta che poco tempo fa la giovane operaia avesse già scampato un incidente come quello che le ha tolto la vita lunedì nella fabbrica di Montemurlo”: “La stava per prendere ma lei è stata veloce, si era spaventata“, ha detto ai microfoni del Tg Rai Toscana.
La “sentenza” sul corpo di Luana l’hanno scritta tre fattori: i ritmi produttivi, la ritirata dello Stato – che, anche per mancanza di ispettori, ha sempre chiuso gli occhi sulla sicurezza delle piccole fabbriche – ma anche il mercato del lavoro, sempre più “asiatico”.
“Ma che tipo di formazione aveva avuto Luana? Conosceva davvero i rischi di quella macchina? – si chiede il Corriere – Aveva frequentato 4 ore di corso per formazione generale e poche altre ore che riguardavano la specificità della sua mansione. Come prevede la legge. Ma di certo questo non basta a fare di una giovanissima donna una lavoratrice esperta”.
Nelle Filippine, per “Cartoline dall’inferno”, avevo filmato l’economic area di Cavite, a due ore da Manila. Le economic areas erano (sono ancora?) territori riservati alle multinazionali dove era vietato costituire sindacati e scioperare. La prima a parlarne su scala globale era stata Naomi Klein. Avevo usato il suo libro No Logo come una guida per vedere se quello che raccontava era vero. Scoprii che lo era.
Nelle economic areas le operaie che lavoravano per i grandi marchi venivano chiamate “le rondini”. Le chiamavano così perché i contratti non duravano più di una stagione: andavano e venivano come le rondini. Dormivano in pollai – non è una metafora, erano proprio baracche di tolla e fil di ferro – attrezzati con brande e amache con gli effetti personali appesi dentro sacchetti di plastica. Guadagnavano così poco che mai avrebbero potuto affittare una casa o farsi una famiglia e lavoravano così tanto che passano il tempo residuo a risposarsi. Lavoravano e dormivano. Dormivano e ripartivano. L’unica persona che si occupava di loro – visto che i sindacati erano vietati – era un prete. In chiesa campeggiava la foto di una donna, madre di sei figli, che era morta letteralmente sul lavoro, uccisa dalla fatica.
Il pensiero “alla francese”, quello ispirato dallo strutturalismo, ama le opposizioni binarie e i lessici. La parola chiave per riflettere sullo stato dell’Italia di oggi sarebbe ‘macchine’. Ci sono due tipi di macchine che fanno emergere le spaventose diseguaglianze in cui è precipitato il Paese, che ne diventano in qualche modo il simbolo: l’orditoio non-protetto che ha ucciso Luana e i 124 Falcon che hanno garantito e continuano a garantire i voli protetti (dal Covid…) di Maria Elisabetta Alberti Casellati. I due volti dello stesso Paese.