Televisione

Serena Bortone per FQMagazine: “Bilancio di ‘Oggi è un altro giorno’? Positivo. Ma non mi piace l’espressione ‘sporcarsi le mani’. Per me non ci sono argomenti o volti di serie A o B”

La giornalista ha conosciuto la Rai da tutte le prospettive, ha scalato il successo passando attraverso quattordici anni di precariato, ha lavorato a tutti i generi tv e quella contaminazione alla Damato la ripropone – alla sua maniera - il talk pomeridiano di Rai1 in cui s’incrociano personaggi e universi lontani. Un'intervista a tutto tondo che offre un ritratto assolutamente inedito

di Francesco Canino

Aveva poco più di 18 anni quando è entrata in Rai. Il suo primo giorno di lavoro se lo ricorda?
Avevo una minigonna, una felpetta e un fiocco in testa. Ero una «pupona» con la voglia di capire come si faceva la tv. Mi mandarono a lavorare nella redazione di Mino Damato.

Cosa accadde?
Arrivo e una collega mi dice: «Vieni qui, dobbiamo chiamare un tizio che ci ha scritto perché il suo cane parla e dice mamma».

La sua reazione?
Ho capito subito che la televisione era posto surreale dove tutto può accadere, dove si mischiano mondi distanti e apparentemente inconciliabili, il tizio col cane che diceva mamma e un minuto dopo Nureyev che ballava. Fu amore a prima vista.

Trent’anni dopo Serena Bortone ha conosciuto la Rai da tutte le prospettive, ha scalato il successo passando attraverso quattordici anni di precariato, ha lavorato a tutti i generi tv e quella contaminazione alla Damato la ripropone – alla sua maniera – in Oggi è un altro, il talk pomeridiano di Rai1 in cui s’incrociano personaggi e universi lontani. Vecchie glorie della musica (Rosanna Fratello che canta il remix di Sono una donna non sono una santa, è un cult), attualità, politica, collegamenti, interviste ai big dello spettacolo, «un “quelli del pomeriggio”, perché mi piacciono le atmosfere arboriane», spiega la giornalista a FQMagazine parlando del programma (la cui riconferma è praticamente certa), degli esordi, della passione per la politica e del super io giudicante che ha influenzato le sue scelte.

Ora che lo sprint verso il finale di stagione è cominciato, partiamo dagli ascolti: il bilancio è positivo?
Siamo partiti dal 9.9% con programma che inventato ex novo e con una conduttrice sconosciuta al pubblico di Rai1. A Natale eravamo al 13%, segno che la potenzialità c’era. A gennaio siamo scesi quando ho condotto da casa e poi Sanremo ci ha dato la spinta: la settimana scorsa abbiamo superato la media del 14%.

L’impressione è che il programma sia cambiato parecchio e che lei si sia sporcata le mani con temi e ospiti più pop.
Io non la vedo così: essendo un format costruito da zero è normale che si sia evoluto, abbiamo imparato a capire cosa voleva il pubblico e cosa volevo io. Iniziavamo la puntata con un mini talk assieme agli «affetti stabili», una serie di volti noti che dovevano accompagnarmi e farmi conoscere, visto che non ero poi così popolare. Dopo un po’ abbiamo cambiato perché era solo del chiacchiericcio: si annoiava il pubblico e mi annoiavo io. Non mi piace l’espressione “sporcarmi le mani”: per me non ci sono argomenti o volti di serie A o di serie B. Abbiamo lavorato sui contenuti, rimodulando anche la seconda parte di attualità e politica, che per altro va benissimo, cosa non scontata a quell’ora, spaziato sui temi, accelerato con i collegamenti dal territorio e puntato su «facce larghe» e conosciute.

Per questo avete puntato subito sugli ospiti forti?
Nomi e storie forti. Sono della vecchia scuola per cui bisogna «iniziare con il botto», non tenersi l’ingrediente pregiato alla fine. È anche un modo per bussare casa per casa tra chi guarda i tg regionali e la De Filippi, visto che entrambi hanno pubblici molto fidelizzati.

L’ingresso di personaggi come Memo Remigi o Jessica Morlacchi hanno avuto ottimo riscontro anche sui social e sono serviti a creare un’atmosfera più familiare.
Sono entrati in studio e non sono più usciti… Con Memo è scattata un’alchimia, mentre di Jessica ho colto il potenziale nell’intrattenimento: un vero talento.

Arrivare da sconosciuta su Rai1 le ha messo ansia?
Avendo un super io giudicante molto accentuato, ho sentito forte il peso della responsabilità. Che era ancora più alta essendo stata portata sulla rete ammiraglia dal direttore Coletta: non volevo fallire anche per non danneggiare lui.

Non la facevo così buonista.
È solo la verità. Lo switch emotivo c’è stato quando ho capito che mi dovevo fidare dell’intuito e della professionalità di Stefano: mi aveva chiamata perché pensava che fossi adatta per quella fascia. Essere amici era irrilevante.

Lo scorso anno si fece il suo nome anche per la conduzione in solitaria di UnoMattina. Era fanta-tv?
So che Coletta voleva scorporare il programma e realizzare un nuovo flusso dalle 8.30 alle 10. In quell’idea embrionale forse avevano pensato anche a me. Ma non sono abituata a ragionare sulle supposizioni, lo trovo uno spreco di energie.

Oggi è un altro giorno tornerà anche nella prossima stagione?
Non sta a me dirlo ma penso proprio di sì.

Le manca parlare di politica?
La politica del “che succede nel Pd o nei 5Stelle” no. Preferisco parlare della politica concreta, quella utile al paese.

Ogni tanto guarda Agorà?
Così come non riuscirei a tornare in una casa da cui sono uscita, non riesco nemmeno a guardarla. E poi adesso a quell’ora lavoro. Luisella Costamagna è stata molto carina a invitarmi per il decennale del programma insieme agli altri conduttori.

Maria De Filippi invece la guarda?
Poco. Lei è una numero uno. Pensi che tanti anni fa sono stata a vedere una finale di Amici in studio!

Tornando alla politica: perché sono spariti i faccia a faccia con i politici a Oggi è un altro giorno?
I politici ci sono sempre, facciamo meno confronti. Molte interviste a ministri, governatori, leader, stiamo dando più spazio alla pandemia, alla campagna vaccinale, ai territori. Ma nulla è per sempre, in tv come nella vita, i format si evolvono con il sentire del paese. Alcuni leader si sono anche messi a nudo davanti al nostro “specchio”. È un filone che m’interessa perché se escono dal loro ruolo abituale scopri cose nuove.

È più facile intervistare un politico o un personaggio famoso?
Per come sono fatta, la politica è un fattore “stressogeno”, perché devo sapere tutto e stare attenta a tutto. Intervistandoli devi essere una voce critica, mentre con un personaggio della tv o con uno scrittore, devi solo farti trascinare dal racconto. E poi le dirò: i personaggi dello spettacolo sono più disponibili ad aprirsi di come mi aspettassi. E sono usciti tutti felici dal nostro studio.

Tutti tranne Vittoria Schisano, con cui c’è stato uno scontro “epico”.
Ancora? Non ne vorrei parlare.

Mi dica almeno se vi siete chiarite.
Non ho ricevuto nessuna chiamata.

Di lei si dice che sia una stakanovista fredda e risoluta. Come tiene a bada la parte emotiva in diretta?
Risoluta sì, fredda mai. Chi mi conosce sa che ho invece ho una carica emotiva molto alta. Fare due ore di diretta al giorno comporta un intenso sforzo di concentrazione: sento il peso di ciò che dico, sto attenta perché l’errore è dietro l’angolo e cerco di avere il controllo su tutto.

Tranne che sul corpo, visto che gesticola molto.
(ride) Del corpo zero. Nella vita così come in tv, ciò che è importante e vincente è l’autenticità. Non mi posso imporre una maschera e se dovessi controllare la mia corporeità, non penserei a ciò che dico.

Barbara Foria la imita, per altro molto bene, puntando anche sulla sua gestualità. Le piace?
È stata brava, l’ho detto a lei e anche pubblicamente. Prima o poi la vedrete anche da noi…

Mi dice un suo difetto?
Pecco d’ira. Mamma faceva la catechista e quando ero piccola ci chiese di fare una confessione pubblica su ciò che non ci piaceva di noi: tutti confessarono l’invidia, io l’ira. Mi dura mezzo secondo e poi mi passa.

Un pregio?
Sono persona libera, indipendente e senza pregiudizi. Questo perché ho coltivato da sempre l’esercizio del dubbio.

In che modo?
Leggendo, studiando, viaggiando, aprendo la mente con la psicoterapia. Ho fatto analisi perché volevo avere una comprensione profonda di me stessa e dei comportamenti umani, capire le mie insicurezze e lavorare sulle fragilità. Non m’interessava diventare Wonder Woman ma solo essere più armonica.

Alle eroine della Marvell preferisce quelle dell’opera, essendo una melomane incallita. La sua preferita?
Mi piace l’assoluta libertà di Carmen, ma sono meno selvaggia di lei e più vicina al preromanticismo di Mozart, a donna Elvira del Don Giovanni o a Dorabella del Così fan tutte.

Cosa le piace dell’opera?
È la sublimazione delle emozioni umane, è tutto esagerato, ami e odi all’ennesima potenza. Risveglia le emozioni, fa risalire il mio lato romantico e mette in stand by quello razionale.

Lei ha una predisposizione al citazionismo molto marcata.
Ho una vocazione pedagogica ma non perché pensi di essere meglio degli altri. Già da ragazzina avevo intere agende su cui annotavo le frasi che mi colpivano di più: scrivevo per memorizzare, perché ho sempre avuto ansia di conoscenza e apprendimento. Essendo una persona umile – non modesta ma umile – mi piace citare pensieri che scritti da intellettuali o registi molto più importanti di me. Rafforzano i miei ragionamenti.

Non teme di passare per saccente?
Cerco di fare in modo che non capiti. Anche perché non lo sono, anzi, come dice Coletta sono una che tende all’empatia e alla koinè, tendo a tirare fuori la parte «tutti nel lettone» a parlare con gli amici, mischiando mondi e istanze diverse.

Nel 2007 si mise in aspettativa e seguì da responsabile della comunicazione le primarie del Pd. Che esperienza fu?
Molto positiva, di conoscenza di meccanismi che avevo raccontato dall’altra parte della barricata: cinque mesi in cui vissi da insider un momento della vita politica.

Il rischio di essere etichettata come donna di sinistra lo mise in conto?
Arrivo da una famiglia cattolico-democratica, ho lavorato a Rai3 facendomi le ossa nella scuola di Guglielmi: se potessi etichettarmi con un sentire profondo, direi che sono una che sta dalla parte dei più fragili. Sono fermamente convita dei valori antifascisti e i miei paletti sono dentro la Costituzione. Non tollero offese e linguaggi violenti. Se i miei ospiti vanno oltre non glielo consento.

Qualche settimana fa è stata vista al Nazareno ed è diventata una notizia.
Sono una giornalista politica, che c’è di strano? Parlo con tutti, è il mio lavoro.

Sfogliamo l’album dei ricordi: di Angelo Gugliemi che ricordi ha?
Ricordo i suoi arrivi in diretta, dietro le quinte. Da lui ho imparato che fare cultura non significa parlare di libri ma dare un’impronta valoriale a ciò che fai. Faccio cultura anche intervistando la contessa De Blanck che mi racconta i suoi incontri mondani o intervistando il direttore d’orchestra Antonio Pappano che da figlio d’immigrati è entrato a Buckingham Palace. Ogni ospite mi consente di aprire dei varchi verso mondi nuovi.

Degli anni con Mino Damato cosa le è rimasto?
Facevo produzione, organizzavo i viaggi, ma respiravo la contaminazione, il fatto che ogni ospiti che arrivava portava qualcosa al programma. Vidi passare chiunque, da Nureyev a Carolina di Monaco e Stefano Casiraghi, la regina Nur di Giordania, il principe Carlo.

Per due anni lavorò con Serena Dandini, all’epoca di Avanzi.
Mi chiamavano Serena bis, mi divertiva. Ero la ragazzina con le spalline alte, ero sveglia e gran lavoratrice. Sono i due anni in cui ho riso di più in assoluto. Di Serena mi ha sempre colpito la grande capacità di intuire e valorizzare il talento altrui.

Poi passò a Ultimo minuto, dove debuttò un giovane regista: Gabriele Muccino.
Da assistente ai programmi divenni programmista e quella fu una palestra meravigliosa: non c’era internet e dovevamo scovare le storie attraverso i giornali locali, poi risalire alle persone e capire come trasformarle in storia. A Muccino assegnammo una docufiction dal titolo «Bimba Roma», la storia di bambina che cadde dalla finestra e fu salvata al volo dalla mamma. Intuimmo subito il suo talento, il suo registro cinematografico molto americano.

Dopo arrivò Mi manda Lubrano e li conobbe Coletta.
Da precaria non si poteva restare più di tre anni nello stesso programma. Divenni inviata e durante una trasferta conobbi Stefano: l’amicizia fu immediata, complice anche un approccio psicanalitico alle cose.

Il colpo di fulmine con la polita scattò con Telecamere.
Minoli mi prese per Mixer, ma cancellarono il programma e a settembre mi ritrovai senza lavoro. Un’amica mi disse: «Guarda che Anna La Rosa cerca persone». Visto che il giornalismo politico mi mancava, feci un colloquio e mi prese. Divenni inviata di punta ho seguito tutti i congressi di partito e i viaggi istituzionali: quando Gianfranco Fini era ministro Esteri andammo a New York, pochi mesi dopo l’11 settembre, visitammo Ground Zero. L’odore acre della morte e del piombo fuso non lo scorderò mai. Lavorare con Anna La Rosa mi ha permesso di osservare da vicino il potere, politico ed economico.

Il potere le piace e lo teme?
Il potere mi piace quando è uno strumento per realizzare ciò che riteniamo giusto e corretto, quando è libertà ed empowerment per noi stessi e per gli altri.

Lei si considera una donna di potere?
Non sono così mitomane. Mi considero una persona che si fa rispettare.

Si è fatto il suo nome anche come possibile prossima direttrice di Rai1.
Ma no… Raiuno ha già un direttore e di talento, Stefano Coletta. Per il resto, sono una caporedattrice, faccio ciò che l’azienda mi chiede di fare. Non sgomito e non sono abituata a lavorare sulle ipotesi a lungo termine.

La svolta per lei arriva dopo aver fatto l’autrice di Tatami: Andrea Vianello la chiama ad Agorà.
Facevo l’autrice e l’inviata, giravo tre pezzi a settimana, scrivevo copioni e montavo. Come sempre, ho lavorato come un mulo e ho coltivato la passione per politica. Andrea direttore di Raitre mi scelse per condurre l’edizione estiva di Agorà e quando Gerardo Greco lasciò il programma feci l’upgrade alla stagione invernale.

Di quei quattordici anni di precariato, cosa le resta?
La determinazione, la voglia di fare di più e meglio. Ho fondato il primo sindacato dei programmisti registi-precari, perché avessimo riconosciuti i nostri diritti.

Della sua vita privata si sa poco e sui social al massimo posa con i suoi gatti.
Non troverà mai né mie foto in costume, né quelle con i fidanzati. Detesto l’esibizione, considero accessoria la parte corporea e ho un grande pudore dei sentimenti: non ho mai pubblicato nemmeno una foto con mio padre, morto nel 2010, perché penso che le cose molto belle e quelle molto brutte non abbiano bisogno di un’eco esterna.

Cosa direbbe oggi suo padre del suo successo?
Mio padre veniva da una famiglia di 12 figli, è stato il primo laureato del suo paesino nel Cilento, di cui è stato poi anche sindaco. Ha avuto un’educazione rigorosa, onesta e il senso della misura, anche nella dimostrazione dei sentimenti, dominava su tutto. Sarebbe contento di me, si divertirebbe pure, ma non lo mostrerebbe.

Serena Bortone per FQMagazine: “Bilancio di ‘Oggi è un altro giorno’? Positivo. Ma non mi piace l’espressione ‘sporcarsi le mani’. Per me non ci sono argomenti o volti di serie A o B”
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