Bruno ha 45 anni ed è uno dei quattro figli del mito rosarino, ucciso nel 2020 in un tentativo di rapina. A ilfattoquotidiano.it racconta l'amore del mondo del futebol nei confronti del padre e ricorda qualche aneddoto: "Una volta lo espulsero e dopo che il pubblico protestò l’arbitro ruppe il regolamento e lo lasciò in campo"
Gli hanno dedicato una statua allo stadio Gabino Sosa di Rosario e intitolato un impianto per il calcio a 5 a Mendoza, ma è soprattutto nel ricordo della gente che Tomas Felipe “Trinche” Carlovich continua a vivere anche ad un anno dalla tragica morte, ammazzato per strada da delinquenti che volevano rubargli la bicicletta. Bruno ha 45 anni ed è uno dei quattro figli del mito rosarino.
“La statua dello scultore Marcelo Castano è molto carina. Prima di mettersi al lavoro, l’artista ha parlato con chi ha conosciuto bene il mio vecchio: sono stati tutti incontri commoventi. In questi giorni al Trinche hanno anche intitolato un campo a Mendoza, dove aveva giocato con l’Independiente Rivadavia negli anni Settanta. Ricordo che lì lo chiamavano ‘el Rey’. L’altro giorno invece i suoi amici più cari si sono radunati nella tribuna dello stadio del Central Cordoba e accanto alla statua lo hanno omaggiato facendo suonare un tango in suo onore”.
Tra i presenti anche l’ex calciatore Dario Dardo Juarez, l’amico di una vita con cui ha giocato insieme nel Central Cordoba nel 1981. A ilfattoquotidiano.it il compagno di squadra ha detto: “Fino all’ultimo giorno siamo stati insieme. Oltre ad essere un genio in campo, era una persona formidabile fuori. Come calciatore era un crack totale, un fenomeno che giocava col 5 o con il 10. Mancino puro sia di mano che di piede come lo sono io. Solo che io sono normale, lui invece era speciale, un illuminato. Io ho l’ho sempre chiamato Mago. L’8 maggio scorso gli hanno tolto la vita per una bicicletta e io ho perso per sempre il mio Mago, amico da quarant’anni”.
“Dario è un caro amico di famiglia. La gente di Rosario, ma in generale tutta l’Argentina, ricorda il mio vecchio per come sempre è stato in vita: umile e affabile. Sì, è ancora molto amato. Ho avuto la conferma della sua grandezza un anno fa. Sono arrivati messaggi di cordoglio dalla Germania, dalla Croazia, dagli Stati Uniti. La tragedia lo ha reso immortale”.
Nonno Mario era emigrato in Argentina dall’allora Jugoslavia. Papà vi parlava mai delle sue origini?
“No, non parlava mai delle sue origini slave. Era nato a Rosario e tifoso come tutta la nostra famiglia del Central. Mio fratello Nicolas è un professore di educazione fisica e gioca bene al pallone. Io invece non riesco a fare con le mani quello che mio padre faceva con i piedi”.
Cos’era il futbol per il Trinche?
“Il futbol per lui era la felicità allo stato puro. Quello moderno gli piaceva meno, si corre tanto ma con il pallone mmm… insomma”.
Qualche mese prima della tragica scomparsa, Carlovich aveva conosciuto Maradona. El diez si trovava a Rosario con il Gimnasia la squadra che allenava e c’era stato un incontro in albergo.
“Per il mio vecchio Diego è sempre stato il miglior giocatore del mondo, senza paragoni né con Pelé né con Messi. Era molto felice di averlo conosciuto, Diego gli firmò una camiseta con la dedica: sei stato migliore di me, Trinche”.
In Argentina i “potreros” sono campi da calcio improvvisati. Sono dappertutto dove c’è uno spazio libero, la parola deriva dai luoghi dove pascolano i bovini.
“Per lui giocare nel potrero era come giocare con il Real Madrid. I grandi club non gli sono mai interessati. Il mio vecchio non era milionario, ma viveva bene. Aveva la sua auto, ma preferiva girare in bicicletta. Era sempre circondato dai suoi amici di una vita e dalla famiglia, ci ha reso tutti molto felici”.
È vero che gli piaceva pescare?
“In età adulta, soprattutto con il marito di mia sorella Cintia”.
Gli piaceva bere?
“Gli piaceva il vino rosso, ma senza eccedere”.
“Esta noche juega el Trinche” scrivevano fuori dallo stadio per aumentare gli incassi al botteghino.
“Sì, vero. Come è vero che una volta lo espulsero e dopo che il pubblico protestò l’arbitro ruppe il regolamento e lo lasciò in campo”.
Le ha mai raccontato dell’amichevole organizzata a Rosario tra l’Argentina di Vladislao Cap e una selezione di giocatori della città ospitante, cinque del Newell’s Old Boys e cinque del Central più Carlovich a fare la differenza in mezzo al campo?
“Quando gli chiedevo dei tanti aneddoti che mi riferivano, lui mi rispondeva sempre: è passato tanto tempo, non ricordo. Ma di quella partita contro la Nazionale mi diceva che sì quel giorno in campo gli era riuscito proprio tutto”.
Ci saranno altre iniziative per ricordarlo?
“Il Central Cordoba credo abbia intenzione di organizzare ancora qualcosa”.