di Gianluca Pinto

Non sono un elettore del Movimento 5 Stelle dato che ove possibile individuo i miei riferimenti, con un certo compiacimento per la politica molecolare, in formazioni tipo “Potere al Popolo” e via dicendo. Vorrei, tuttavia, in questo momento difficile per il M5s, esprimere una mia opinione sul suo ruolo positivo: pensiero assolutamente contestabile, in quanto personale.

Vorrei parlare per spot, ma non come spesso usa la stampa, impegnata sulla divinità di Mario Draghi (mi attendo a breve la proposta di un nuovo Concilio di Nicea per dibatterne l’Homooùsios e impostare il credo) quando parla con dileggio del M5s, semplicemente per riassumere alcuni argomenti su cui, a mio avviso, si è ironizzato a torto.

La scatoletta di tonno. Se il M5s non ha aperto il Parlamento come una scatola di tonno (ci avevano già pensato i partiti con le liste bloccate e le lobby a scardinare il ruolo delle assemblee nella contrattazione legislativa tra interessi diversi, sostituendola con una contrattazione di dettaglio tra chi rappresenta gli stessi interessi), in realtà lo ha fatto con il sistema politico tramite i temi sociali ed economici proposti. Affrontando argomenti come quelli sotto esposti, con la sua presenza e con i suoi eletti “anomali” il M5s ha prodotto una serie di sommovimenti che hanno portato a nuovi assetti e, in qualche modo, a nuovi panorami di formazioni politiche (lungi dal parlare di cambio di paradigma socio-economico, ovviamente).

La povertà. Il M5s ha portato a livello di dibattito pubblico e parlamentare il tema della povertà in senso concreto (tramite il reddito di cittadinanza, ad esempio, nonostante tutti i difetti della realizzazione) ed ha imposto un dibattito su questo. Il Conte bis aveva impresso una direzione (a mio avviso insufficiente, ma era già un piccolissimo passo) in tema di povertà e disuguaglianza e nell’indirizzo che quel governo avrebbe preso nelle sue politiche economiche. Infatti quel governo non c’è più.

Il fallimento della politica, per quanto mi sforzi, nel Conte bis non riesco proprio a vederlo. Vedo, nella sua fine, la fragilità delle strutture di rappresentanza che cedono subito alla pressione troppo forte degli interessi del sistema economico esageratamente presenti nelle assemblee elettive.

La questione etica. Non ho la capacità di entrare tecnicamente nel dibattito sulla giustizia (se non per dire che preferisco chiamarla legge). Mi riferisco, tuttavia, alla questione dell’opportunità politica nel continuare a ricoprire ruoli istituzionali in presenza di problemi di tipo penale da chiarire, non mi pare una rivoluzione, mi pare il minimo sindacale (ah già, che sciocco, anche quello non esiste più).

La democrazia diretta. Talvolta mi capita di riscontrare in chi contesta questo argomento un piccolo equivoco. La “democrazia diretta” non è, ovviamente, la partecipazione diretta alle scelte di un partito (giacché in tal modo si rimarrebbe nell’ambito della rappresentanza), ma la possibilità per la collettività di decidere istituzionalmente senza rappresentanza. La cosa ad oggi è irrealizzabile ovviamente, tuttavia non è impossibile (conosco la materia per esperienza diretta) creare percorsi che, in qualche modo, possano coinvolgere in chiave partecipativa la collettività in alcune scelte dei singoli governi cittadini. Naturalmente non si può dare potere di voto formale a tali assemblee ma si possono, per contro, ideare percorsi di verifica “politica” riguardo al rispetto delle scelte assembleari, con le ricadute elettorali del caso. Le polemiche su questa idea suggestiva, che può solo avere l’effetto positivo di dare una prospettiva ideale di rapporto alternativo con le istituzioni, mi paiono veramente strumentali.

Per quanto per me sia impensabile la locuzione “né di destra né di sinistra” se non supportata da argomentazioni più profonde, credo che il M5s sia salutare per la nostra democrazia ma, ripeto, è solo una mia opinione.

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