È partita venerdì la 105esima edizione della Targa Florio, la gara automobilistica siciliana nata nel 1906 per volere di Vincenzo Florio. Una gara che fu tra le più importanti al mondo e i cui fasti vengono elencati quest’anno da un volume che ne ripercorre tappe geografiche, storiche e letterarie: “Targa Florio. Le Madonie e la gara più bella”, scritto da Francesco Terracina ed edito da Laterza. Un libro che offre una chance per ripercorrere la corsa attraverso gli anni del ‘900 che la videro nascere e crescere in popolarità e che videro sfilare i più noti piloti di quei tempi, come Varzi e Nuvolari.
Il percorso innanzitutto, un misto di terra e mare, città e campagna che offre allo sguardo immaginario del lettore una vista insolita della Sicilia “interna”: “La Sicilia non è solo un pezzo di costa senza territorio”, ricorda l’autore citando Giuseppe Antonio Borgese. Ed ogni rombo di motore, ogni curva o tappa, è una svolta: ora un paesaggio, ora una pietanza, ora un fatto storico, ora un parallelismo letterario. Un cambio di marcia usato con abilità da un autore che è a un tempo giornalista, scrittore ed esperto di motori. E che attinge in questa sua terza pubblicazione (L’ultimo volo per Punta Raisi e Una vita in scatola) alla passione per le quatto ruote per condirla con uno sguardo storico, sociale e letterario uniti in ogni passaggio da una felice narrazione. Tanto da rendere il passaggio da una tappa all’altra un itinerario godibile anche per chi è a digiuno di corse automobilistiche e del minimo interesse nei loro confronti.
Senza trascurare la valenza di una corsa che diventò anche itinerario di provincia per un mondo in rapida evoluzione. Sottolineando l’impatto del clamore internazionale che si addentrava a tutta velocità nei meandri di un’isola rurale, come “una specie di astronave”. Le quattro ruote all’inizio del secolo scorso erano avanguardia che sfrecciava tra le curve degli “appennini di Sicilia” per perdersi tra le spighe di grano, in un vero e proprio “naufragio nel mare giallo oro dove il bolide bianco e piatto era sparito”. Così ricorda Terracina un episodio del ’66, quando Ignazio Capuano, in gara con una Carrera 6 per un guasto alla leva dell’acceleratore finì fuoristrada, soccorso da un contadino, che lo aveva scambiato per un “acciddazzu” (un uccellaccio), con due buchi su un uovo fresco.
Tra carciofi di Cerda “trifolati in padella, ripieni, a sformato, sott’olio, all’uovo, in agrodolce” e la nascita della Fiat di Termini Imerese, Tarracina trova spazio per insinuarsi nel verosimile, come nel caso di quell’episodio che vuole Nuvolari battere Varzi alle Millemiglia, avvicinandosi a lui nella notte, spegnendo i fari per non farsi vedere: “Vero o falso che sia questo racconto è così avvincente da non meritare ulteriori investigazioni”. Perché tra i tornanti delle Madonie c’è spazio per addentrarsi in una “dimensione onirica” che renderà la gara di Sicilia una leggenda di gustosissima lettura.