L'INTERVISTA - Luisa Impastato è la nipote dell'attivista di Cinisi ucciso il 9 maggio del 1978: all'epoca dell'omicidio non era ancora nata. Oggi è presidente dell'associazione Casa Memoria, che mantiene viva la memoria dello zio. "La sua vita - racconta - è diventata un veicolo per conoscere il contesto storico di allora. In genere funziona così: qualche ragazzo si interessa alla storia di Peppino, viene a Casa Memoria e da lì inizia ad approfondire, a capire"
Il 9 maggio del 1978, quando Peppino Impastato veniva ammazzato dalla mafia, lei non era ancora nata. Oggi, 43 anni dopo quell’omicidio, Luisa Impastato è la presidente di “Casa memoria”, l’associazione nata per ricordare Felicia e Peppino Impastato, cioè sua nonna e suo zio. Trentatré anni, figlia di Giovanni, Luisa Impastato è mamma di due bambini: non ha mai lasciato Cinisi, dove lavora nella pizzeria gestita dalla famiglia. Chi frequentava la casa di corso Umberto I negli anni Novanta, ricorda che accanto alla signora Felicia spesso c’era anche una bambina: ascoltava la nonna che riceveva i curiosi e raccontava loro di come era morto suo figlio, di quanta fatica c’era voluta per arrivare alla condanna all’ergastolo del boss Tano Badalamenti (che per quell’omicidio venne riconosciuto colpevole solo in primo grado: morì infatti prima dell’appello). Quella bambina che ascoltava attentamente i racconti della nonna era Luisa: oggi tocca a lei continuare a coltivare la memoria dello zio. Un obiettivo che diventa più difficile con il Covid: per la seconda volta, infatti, nell’anniversario dell’omicidio Impastato non si terrà la consueta marcia per le strade di Cinisi. L’associazione “Casa Memoria” ha lanciato un appello per creare un corteo “diffuso”: hanno risposto oltre sessanta realtà di tutt’Italia che hanno organizzato presidi da Bolzano a Catania.
Dalla morte di Peppino Impastato oggi sono passati 43 anni: dopo tutto questo tempo è ancora ancora un punto di riferimento per i più giovani?
Sì, me ne rendo conto dalle adesioni ricevute in questi giorni. Lo zio è ancora un simbolo trasversale., una figura che è riuscita a conquistare più generazioni nonostante sia vissuto in un’epoca lontana per ragazzi di oggi.
Secondo lei perché?
Forse uno dei motivi è che Peppino Impastato è morto giovane. Dunque è rimasto per sempre un ragazzo di trent’anni, che tra l’altro parlava di temi ancora oggi attualissimi: non solo la lotta alla mafia. Ricordiamo che mio zio fu uno dei primi a sollevare le istanze legate all’ambientalismo, alla giustizia sociale, ai diritti civili, all’antifascismo. Il film I cento passi è stato un mezzo fondamentale per arrivare ad un grande pubblico ma c’è stato un impegno prima e dopo il film, portato avanti da mia nonna e da mio padre. Quando ero piccola non vedevo quasi mai mio papà perché era in giro per l’Italia a parlare di Peppino.
I ragazzi di oggi conoscono il contesto storico in cui è vissuto Peppino? Sanno chi è Aldo Moro?
I giovani con cui siamo a contatto come associazione li trovo preparati, sensibili, pronti ad accogliere questa parte della nostra storia. Possiamo dire che in questo senso la vita di Peppino diventa un veicolo per conoscere il contesto storico di allora. In genere funziona così: qualche ragazzo si interessa alla storia di Peppino, viene a Casa Memoria e da lì inizia ad approfondire, a capire. Più volte ho sentito ragazzi che hanno deciso di fare il magistrato o di fare il giornalista dopo aver conosciuto la storia dello zio. Tantissimi mi scrivono “Peppino mi ha cambiato la vita” e poi scelgono di dare una mano al proprio territorio. Mimmo Lucano, è stato uno di loro.
Che posto è diventato oggi Cinisi?
Tutti questi anni di mafia non sono facili da cancellare. Cinisi è stata roccaforte della criminalità organizzata ma oggi chi ci viene a “Casa Memoria” ci considera il paese dell’antimafia. In realtà ci sono ancora tante resistenze ma è anche maggiore la condivisione del nostro impegno.
Ultimamente è tornato in paese Leonardo Badalamenti, figlio di Tano. Prima dell’arresto nell’estate scorsa, quel ritorno ha fatto discutere.
Sì perché facendo leva su un cavillo burocrativo, Leonardo Badalamenti ha tentato di riappropriarsi di un bene confiscato alla sua famiglia. Eì arrivato a cambiare la serratura della porta. Ma è stato denunciato e alla fine il sindaco ha concesso la gestione di quel sito a “Casa Memoria”. E’ stata una nostra vittoria, ma l’opinione pubblica in questa occasione si è divisa tra chi si è indignato per questa azione prepotente di Badalamenti e chi lo ha difeso. Questi ultimi devo dire che erano comunque minoritari. Riconsegnare quel bene nelle mani del figlio di un boss che non si è mai dissociato, sarebbe stato un fallimento.
Lei è nata dieci anni dopo la morte di suo zio. Ha conosciuto, invece, sua nonna Felicia: che ricordo ha?
Quand’ero bambina non capivo una cosa: nei momenti di festa in cui si doveva stare tutti in famiglia, lei voleva restare a casa perché nell’eventualità che fosse passato qualcuno a bussare alla porta per conoscere Peppino, lei ci sarebbe stata. Oggi posso dire che avrei fatto la stessa scelta e da quando sono madre ho iniziato a comprendere meglio il suo mondo interiore.