Cultura

Cosi fan tutti, a Villa Campolieto la prima mostra-evento post Covid

Non è la solita mostra, è la narrazione di un percorso cominciato da molto lontano da Ernesto Esposito, designer di fama mondiale, ha collaborato con Marc Jacobs, Karl Lagerfeld, Chloé e Louis Vuitton. La sua prima opera d’arte che comprò fu la "Sedia elettrica, 1964” di Andy Warhol

di Januaria Piromallo

Non è la solita mostra, è la narrazione di un percorso cominciato da molto lontano da Ernesto Esposito, designer di fama mondiale, ha collaborato con Marc Jacobs, Karl Lagerfeld, Chloé e Louis Vuitton. La sua prima opera d’arte che comprò fu la “Sedia elettrica, 1964” di Andy Warhol. Il suo mentore fu Lucio Amelio, ideatore di quella mostra straordinaria che fu Terrae Motus a Villa Campolieto, la villa regina del Miglio d’Oro, lungo il quale furono costruite da architetti come Luigi Vanvitelli e Ferdinando Sanfelices le residenze della corte borbonica. Terra Motus che coinvolse i più grandi artisti contemporanei fu dedicata al terremoto che sconvolse la Campania nel novembre del 1980. E’ questo il fil rouge: il vernissage di Ernesto spalanca le porte dell’arte dopo oltre un anno di lockdown. La stessa voglia di ricominciare di allora. Così fan tutti è un richiamo all’opera mozartiana e raccoglie 35 opere tratte dalla collezione di Ernesto. Selezionate fra le sue 1.158 opere in parte conservate in un capannone, in parte in giro per il mondo ospitate in varie mostre.

Si apre con We the people di Dahn Vo (uno dei 250 elementi in cui l’artista ha scomposto la statua della Libertà), che dialoga con le statue di Minerva e Mercurio raffigurate negli affreschi barocchi della sala. Si prosegue con il “Tree Jesus”, un Gesù “ingabbiato”, realizzato dall’arcinoto duo artistico Gilbert and George. C’è l’opera evocativa di Kounellis, cappotto strappato con coltello infilzato, c’è la donna accovacciata di Ryan Mendoza intitolata Don’t Worry, she likes it. L’artista tedesco Daniel Knorr interpreta La Giustizia come una statua di gesso con testa incappucciata a mo’ di terrorista. Molto arcimboldesco l’opera, “ In Rainbows” dell’artista Trey Abdella. L’opera decoupage dell’argentino Rirkrit Tiravanija. “Solo Necessita Dinamita, Green Go…” evoca gli anni bui della dittatura.

Nel Salone delle Feste dove suonava Mozart adesso c’è la video installazione di Candice Breitz “Double Whitney” (I Will Always Love You). Il fagiolo rappresenta la sessualità sia maschile che femminile e la giapponese Hirose li incapsula in una colonna di cristallo dove si riflettono le sfumature del tramonto.
La mostra si chiude con il grande arazzo del giovane brasiliano Alexander Maxwell (prima opera su tela dell’artista) e le immagini della favela interagiscono con gli arredi ottocenteschi del “salottino dorato”.

Promossa dalla Fondazione Ente Ville Vesuviane (che quest’anno compie 50 anni), il catalizzatore dell’ evento è la bellissima installazione, “Il Tripudio del Piacere Illuminato” in digital motion in cui la cultura si fa suono, musica, immagine. Inaugurata dal ministro Elena Bonetti, ci sarebbe dovuto essere il mondo e non è stato facile selezionare gli inviti, solo per gli happy few, per la responsabile della comunicazione Francesca Scognamiglio. Per gli altri la mostra a cura di Marianna Agliattone rimane aperta fino al 14 novembre.
E vale un viaggio ad Ercolano.

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