Sport

Giro a ruota libera – Una fuga andata bene: l’impresa di Van der Hoorn è un’altra sorpresa

Nella seconda puntata del Recovery Giro andata in scena domenica 9 maggio da Stupinigi a Novara, due flash: il primo, il più nobile, è quello che immortala lo sprint imperiale di Filippo Ganna, la maglia rosa, per acchiappare tre piccoli preziosi secondi d’abbuono e consolidare il primato in classifica. Batte Remco Evenepoel, e tutto ciò – ed è tanta roba – al traguardo volante di Vercelli. Segnali di gerarchie. Il Re della Crono e il Grande Predestinato. Scintille. Trailer del ciclismo futuro.

Il secondo “lampo” è quello del belga Tim Merlier, che batte in volata i nostri Giacomo Nizzolo (il Giro gli porta male: decimo secondo posto in altrettante tappe rosa, un novello Tano Belloni, celebre “secondista” del ciclismo d’antan) ed Elia Viviani. Il Belgio non vinceva una tappa dal 2018, ed una volata da undici anni. Dettagli amati dagli storici del ciclismo. C’era pure il primo Gran Premio della Montagna di questo Giro 2021, piazzato generosamente a Montechiaro d’Asti, una salitella di quarta categoria, impervia quanto un cavalcavia, a quota 292. L’ha guadagnato il ventiquattrenne Vincenzo Albanese da Oliveto Citra provincia di Salerno dell’Eolo-Kometa Cycling Team, che un paio di mesi fa aveva conquistato anche alla Tirreno-Adriatico il primo Gpm, per la gioia del suo sponsor Eolo che è leader delle connessioni Internet nei luoghi isolati e in montagna… nulla, ormai, è lasciato al caso. Albanese ha capito l’antifona del nuovo ciclismo ipermediatico.

Ed eccoci alla terza tappa, da Biella a Canale, 190 chilometri nel cuore di Piemonte, delle tante anime di un Paese che solo il Giro d’Italia ci invita a ricordare, a ripercorrere, a godere; e qui, per un vecchio svuotatore di cantine come chi scrive, ci si fionda nei paradisi enologici del Roero e delle Langhe, tra colline che sembrano quadri e promettono inebrianti escursioni, vigneti che inducono stordimenti e felicità, cibi che ti portano in paradiso, con l’alibi culturale di infiniti richiami letterari e memorie struggenti di colonne sonore, come quelle meravigliose di Paolo Conte dedicate agli eroi popolari del ciclismo (la memorabile “Bartali”, la splendida “Diavolo rosso”)… insomma, proprio in queste terre che sono luoghi d’amore e d’intelligenza, il Recovery Giro comincia per davvero. Il finale della tappa, infatti, è senza requie, un su e giù ubriacante di piccole rampe, di scatti e dispetti, di strade che fanno male, di asfalto su cui sudano torme di cicloamatori, dove crescono e maturano eccellenze dalle dimensioni umane. Forse, troppo umane…

Scaramucce, assaggi della tappa di domani che arriva in alto, a Sestola. Si affanna infatti l’abruzzese Giulio Ciccone che proprio a Sestola ottenne la sua prima vittoria al Giro, nel 2016, quando aveva appena ventidue anni. Oggi è scudiero di Vincenzo Nibali alla Segafredo, dunque ha il compito non solo di fiancheggiarlo nelle grandi arrampicate, ma di saggiare il terreno su cui il vecchio campione potrebbe attaccare. Se ci riesce.

A sei chilometri dall’arrivo, in testa si sbatte il tulipano Taco Van der Hoorn, Ciccone lo insegue assieme a Tony Gallopin. L’intendenza, cioè il gruppo, dietro ad inseguire, a vista. Il biondissimo olandese tiene duro. E’ andato in fuga fin dai primi chilometri, insieme ad altri sette corridori (tra i quali Albanese che pensava ad accumulare altri punticini per la classifica della montagna). Il gruppo rinviene su Ciccone e Gallopin, ma Taco insiste, resiste, persiste. E vince: per quattro minuscoli ma trionfali secondi. Una fuga andata bene: “Mi sono voltato un sacco di volte, nell’ultimo chilometro, e mi dicevo: è incredibile, forse ce la faccio”. Lo racconta ridendo, come di chi sa d’aver compiuto qualcosa di incredibile (parola che infatti ripete spesso, con un sorriso largo quanto una bottiglia di Barbaresco Gaja…).

Taco corre per la Intermarché-Wanty-Gobert Materiaux (contratto di un anno, grazie a questo successo è possibile che gli rinnoveranno l’ingaggio), è un gregario, ha ventisette anni, viene da Rotterdam. Il gruppo ha fatto male i calcoli. L’olandese è alla sua prima grande corsa a tappe. Il suo palmarès, nelle corse che contano, vanta più ritiri che piazzamenti. Tanta fatica per nulla, è stato il desolato commento di Elia Viviani, terzo a Novara, quarto a Canale. La strenua impresa di Van der Hoorn è un’altra sorpresa, dopo quella del belga Merlier. Prima o poi la vita mi si metterà davanti e balzerò per strada, deve essersi detto Taco. Come un leone (A dire il vero, queste parole le scrisse l’argentino Haraldo Conti, desaparecido a Buenos Aires il 4 maggio del 1976).

Qualcuno già ironizza, alla “criolla”: “Ha sacado un gran golpe de Taca…”. Non di bala, ma di pedale.