Nel calcio non si può sempre vincere. Persino per la squadra per cui “è l’unica cosa che conta”, e che viene da un dominio incontrastato di quasi un decennio in Serie A. Prima o poi doveva accadere che la Juventus perdesse lo scudetto, ed era prevedibile che accadesse quest’anno, con i due cicli vincenti (Conte-Allegri) definitivamente esauriti, e un’avversaria (l’Inter di Conte) finalmente all’altezza e in grado di raccogliere il testimone. Era inimmaginabile, però, che questa fisiologica stagione di transizione si trasformasse in un fallimento epocale.
È ciò che sta succedendo in queste ore: la Juventus umiliata in casa per 3-0 dal Milan in quello che era a tutti gli effetti uno spareggio-Champions, ormai scivolata al quinto posto in classifica, virtualmente fuori dall’Europa che conta. Ma in realtà stava succedendo già da tempo: da domenica scorsa, quel 2-1 in extremis e del tutto casuale sul campo dell’Udinese, un campanello d’allarme che evidentemente non è suonato (o nessuno l’ha sentito), se poi la squadra si è presentata così in campo col Milan. Ma ancora da prima: dallo 0-1 contro il Benevento, dopo cui nessuno si è interrogato se fosse il caso di intervenire. A ben vedere dalla figuraccia europea contro il Porto, che aveva cancellato tutti gli obiettivi stagionali già a inizio marzo. Forse praticamente da sempre, dal gioco involuto partita dopo partita, un progetto mai decollato. Un disastro in partenza.
Adesso che la Juventus è davvero ad un passo dal non qualificarsi nemmeno per la Champions, sarebbe facile dare tutte le colpe ad Andrea Pirlo. Ed in effetti è lui la ragione principale di questo risultato: annunciato come “maestro” del calcio liquido dalla stampa di mezza Italia, non era neppure un apprendista decente. Con la sua inesperienza e confusione tattica, Pirlo è stato a tutti gli effetti un disvalore: siamo arrivati a maggio e alla partita decisiva con una squadra senza benché minima idea tattica e neppure un vero spirito di gruppo. Con tutti i limiti della rosa, l’impressione resta che con un allenatore vero la Juve magari non avrebbe vinto lo scudetto, ma sarebbe finita comunque agevolmente al secondo posto.
Constatata l’inadeguatezza di Pirlo, a maggior ragione le colpe come sempre in questi casi non sono sue, ma di chi l’ha messo lì. E poi di chi ha pensato di liberarsi del dirigente migliore che aveva (perché gli faceva ombra) e poterlo sostituire col suo vice. O ancora, di chi credeva bastasse comprare il giocatore più forte del mondo per avere la squadra più forte del mondo. È sempre la stessa persona: il presidente Andrea Agnelli, che ha avuto il merito di creare questa macchina perfetta in dieci anni, e in una sola stagione la sta distruggendo.
Quando ha scelto Pirlo, e puntato su giovani come Chiesa e Kulusevski, probabilmente anche lui aveva messo in conto una stagione di transizione. Certo, magari non a venti punti di distacco dall’Inter e con la figuraccia col Porto, delusioni che avrebbe potuto addolcire la conquista della Coppa Italia, tanto per dare continuità alla striscia vincente. Ma uscire dalle prima quattro no, quello non si poteva proprio contemplare. E non lo si può nemmeno adesso che è quasi realtà, perché quel quarto posto con i soldi della Champions segna la differenza fra un semplice campionato storto e un fallimento che rischia di condizionarti per due, tre campionati a venire. La Juve si trova giusto a un passo da questo baratro.
La classifica è drammatica, il calendario impietoso: col Napoli atteso da tre squadre senza obiettivi, e Atalanta-Milan all’ultima giornata (ma entrambe con gli scontri diretti a favore sui bianconeri), a questo punto serve praticamente un miracolo per qualificarsi in Champions. Manca giusto l’ultimo tassello: farsi sbattere fuori dall’Europa dai rivali di sempre dell’Inter e l’ex Conte, nel big match di sabato prossimo. Allora sì che il capolavoro di Agnelli e Pirlo sarebbe completo.
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