Il fondo del barile, alla fine, è sempre Gaza a doverlo toccare. Sono almeno 24 le persone – di cui 9 bambini – uccise durante i bombardamenti israeliani nella Striscia: una “risposta” al lancio di sei razzi qassam effettuato da formazioni militari palestinesi verso le città di Ashkelon e Ashdod, ai quali si sono aggiunti – come contro rappresaglia ai bombardamenti di Tel Aviv su circa 140 “obiettivi” – una quarantina di missili Grad, che secondo i media israeliani hanno provocato un ferito grave.
Le Israel Defense Forces hanno soprannominato l’operazione sulla Striscia “Guardiano delle mura”: e quando gli apparati di Tel Aviv danno un nome ad una operazione militare, esistono delle ragioni per credere che questa carneficina sia solo l’inizio. Per registrare un numero di vittime palestinesi così elevato in così poche ore bisogna tornare al 2014, durante l’operazione “margine protettivo”.
L’esercito israeliano ha seguito l’usuale protocollo che si attiva ormai di default quando dalla Striscia di Gaza partono dei missili, missili che vengono perlopiù intercettati da Iron Dome. Il lancio di razzi da parte delle brigate Izzedine al Qassam (l’ala militare di Hamas) è iniziato nella giornata di lunedì, facendo seguito all’ultimatum che la stessa Hamas aveva indirizzato alle IDF e fatto circolare a partire dal giorno precedente, rispetto a quanto stava accadendo nei pressi della moschea Al Aqsa, a Gerusalemme.
Nella città santa tutto era iniziato con un ordine di “sfratto”, al quale ha fatto poi seguito una rabbiosa protesta, repressa duramente dalle IDF. “Sfratto” è un termine che tecnicamente descrive in modo corretto quel che è stato disposto nei confronti di alcune famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, ma che fallisce nel descrivere la realtà sostanziale, nonché le sue premesse.
Il nodo di Sheikh Jarrah – È un quartiere che prende il nome dal medico personale di Salahuddin (Saladino), che qui si trasferì dopo la cacciata dei crociati da Gerusalemme nel 1187. All’inizio del secolo scorso, quando la Palestina era ancora parte dell’Impero Ottomano, il quartiere venne popolato da famiglie della borghesia palestinese, desiderose di allontanarsi dal crescente caos degli angusti vicoli della città vecchia. Nel 1956, meno di dieci anni dalla fondazione dello Stato ebraico, altre 28 famiglie palestinesi si trasferirono qui dopo alcuni anni di semi-nomadismo: erano infatti a loro volta una porzione dei circa 750mila palestinesi espulsi dalle città in cui vivevano prima del 1948, appena divenute parte integrante di Israele.
A “garanzia” di questo loro trasferimento si pose il Regno di Giordania, che amministrava la West Bank e si occupò di costruire le abitazioni per queste famiglie, in accordo con l’Unrwa (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees). Nel corso degli anni ’60 si tenta di andare anche oltre: in cambio della rinuncia allo status di rifugiati, il governo giordano promette a queste famiglie di renderle proprietarie delle loro terre e case a Sheikh Jarrah. Tutto, però, si interrompe con la guerra del 1967, nella quale Amman perde il controllo dei territori e Israele procede con le annessioni (quella del Golan, ad esempio, annesso unilateralmente nel 1980).
Sebbene il cambiamento delle circostanze geopolitiche mantenesse “pendente” il loro status legale, una quarantina di famiglie palestinesi hanno continuato a vivere a Sheikh Jarrah, accontentandosi del fatto di essere non lontani dall’Haram al Sharif – all’interno del quale c’è la moschea di Al Aqsa -, ossia il terzo luogo sacro per i musulmani.
La conquista di alcuni territori nel 1967 e l’occupazione israeliana di Gerusalemme est hanno poi rafforzato le rivendicazioni dei coloni israeliani, da sempre decisi a cacciare i palestinesi dalla città in ossequio all’idea di appropriarsi in via esclusiva – attraverso la costruzione di insediamenti coloniali illegali – del “bacino sacro”, l’area che comprende la città vecchia di Gerusalemme e i territori appena circostanti. A partire da quegli anni diverse organizzazioni di coloni – come Ateret Cohanim – hanno più volte reclamato in tribunale la proprietà di Sheikh Jarrah, spesso riuscendo a “sfrattare” i palestinesi.
La legge israeliana, peraltro, li aiuta non poco, basandosi su una chiarissima asimmetria: solo gli ebrei – non i palestinesi, né quelli cristiani né quelli musulmani, come dimostra il caso di Sulaiman Darwish Hijazi nel 2005 – hanno diritto di reclamare la proprietà di una terra presentando documenti e contratti precedenti al 1948. La questione è divenuta d’attualità con l’aumento delle violenze in questi giorni ma questo genere di sfratti “supportati” da documenti di 100 anni fa, e che possono essere impugnati solo da ebrei, non sono certo una novità: già lo scorso novembre un tribunale israeliano aveva accolto la denuncia di Ateret Cohanim, ratificando così l’ordine di sfratto ai danni di 87 palestinesi che da 1963 vivono nel quartiere di Silwan, a sud della moschea al Aqsa. Ateret Cohanim ha sostenuto che l’area fosse di proprietà di ebrei yemeniti che abitavano lì fino al 1938, quando furono dislocati altrove dalle autorità britanniche.
Oggi a Sheikh Jarrah vivono quasi una quarantina di famiglie palestinesi: a quattro di esse – gli Iskafi, i Kurd, i Qassem ed i Jaanoi – la Corte Suprema israeliana ha ordinato domenica scorsa di evacuare con effetto immediato (o meglio, il limite è stato fissato per il 6 maggio, già passato), dopo 4 anni di vani ricorsi inascoltati tra diversi tribunali locali. Alcuni ricordano che nel 1991, 24 famiglie sfrattate a Sheikh Jarrrah accusarono i loro stessi avvocati (israeliani) di aver falsificato le firme in cui avrebbero attribuito la proprietà delle loro case ad alcuni coloni. Ad altre 3 famiglie – gli Hammad, i Daoudi e i Dagani – è stato concesso fino al 1 agosto per lasciare il quartiere, e dall’inizio del 2020 sono in totale 13 le famiglie palestinesi su cui pende un ordine di sfratto.
La “Città di David” – In concreto, questi ordini di sfratto durante la presidenza Netanyahu – forse il presidente israeliano più vicino ai coloni – vanno anche nella direzione di una “rimodulazione” dell’intera area, del sostegno alla costruzione di una funivia che dovrebbe passare proprio sopra Silwan, e servire un bizzarro progetto israeliano in itinere dal 1995: si tratta del complesso della “Città di David”, ideato dall’Autorità per le antichità col sostegno della fondazione di coloni “Ir David”, che ufficialmente sarà una attrazione turistica evocante l’esistenza della trimillenaria città ma che di fatto rafforzerebbe la posizione di circa 500 coloni – che attualmente non avrebbero diritto di vivere a Silwan -, costringendo quasi 10mila palestinesi a vivere ai suoi margini.
Non sorprende, quindi, che centinaia di palestinesi a partire da venerdì siano scesi in piazza non solo per celebrare la fine del Ramadan ma anche per rivendicare quella che ritengono una ingiustizia, e che specularmente i coloni israeliani considerano un atto di piena giustizia.
La corrispondenza tra questi ordini di sfratto, la fine del Ramadan e la marcia (il “giorno di Gerusalemme”) a cui migliaia di israeliani partecipano per festeggiare l’occupazione di Gerusalemme nel 1948 hanno prodotto una miscela che si è infiammata subito, con scontri tra palestinesi – perlopiù disarmati – e coloni (molti dei quali armati), con il decisivo contributo delle Forze di sicurezza israeliane, che dapprima hanno permesso ai coloni di agire indisturbati contro i palestinesi radunati sulla Spianata delle Moschee, e poi in moschea – quella di Al Aqsa – sono entrati, durante la preghiera, a colpi di granate stordenti e proiettili di gomma, provocando diverse centinaia di feriti.
Lo Statuto di Roma, che nel 1998 ha istituito la Corte Penale Internazionale dell’Aja, esplicita chiaramente che “chiunque diriga intenzionalmente i suoi attacchi contro edifici adibiti al culto religioso, all’arte, all’educazione, alla scienza ed a propositi caritatevoli o culturali, sta commettendo un crimine di guerra”.
Mondo
Israele, l’operazione contro Gaza è solo all’inizio: mai così tante vittime dal 2014. La miccia dell'”ordine di sfratto” a Gerusalemme
L'esercito israeliano ha seguito l'usuale protocollo che si attiva ormai di default quando dalla Striscia di Gaza partono dei missili. 24 le vittime palestinesi. Nella città santa tutto era iniziato con un ordine di "sfratto", al quale ha fatto poi seguito una rabbiosa protesta, repressa duramente dalle Israel Defense Forces
Il fondo del barile, alla fine, è sempre Gaza a doverlo toccare. Sono almeno 24 le persone – di cui 9 bambini – uccise durante i bombardamenti israeliani nella Striscia: una “risposta” al lancio di sei razzi qassam effettuato da formazioni militari palestinesi verso le città di Ashkelon e Ashdod, ai quali si sono aggiunti – come contro rappresaglia ai bombardamenti di Tel Aviv su circa 140 “obiettivi” – una quarantina di missili Grad, che secondo i media israeliani hanno provocato un ferito grave.
Le Israel Defense Forces hanno soprannominato l’operazione sulla Striscia “Guardiano delle mura”: e quando gli apparati di Tel Aviv danno un nome ad una operazione militare, esistono delle ragioni per credere che questa carneficina sia solo l’inizio. Per registrare un numero di vittime palestinesi così elevato in così poche ore bisogna tornare al 2014, durante l’operazione “margine protettivo”.
L’esercito israeliano ha seguito l’usuale protocollo che si attiva ormai di default quando dalla Striscia di Gaza partono dei missili, missili che vengono perlopiù intercettati da Iron Dome. Il lancio di razzi da parte delle brigate Izzedine al Qassam (l’ala militare di Hamas) è iniziato nella giornata di lunedì, facendo seguito all’ultimatum che la stessa Hamas aveva indirizzato alle IDF e fatto circolare a partire dal giorno precedente, rispetto a quanto stava accadendo nei pressi della moschea Al Aqsa, a Gerusalemme.
Nella città santa tutto era iniziato con un ordine di “sfratto”, al quale ha fatto poi seguito una rabbiosa protesta, repressa duramente dalle IDF. “Sfratto” è un termine che tecnicamente descrive in modo corretto quel che è stato disposto nei confronti di alcune famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, ma che fallisce nel descrivere la realtà sostanziale, nonché le sue premesse.
Il nodo di Sheikh Jarrah – È un quartiere che prende il nome dal medico personale di Salahuddin (Saladino), che qui si trasferì dopo la cacciata dei crociati da Gerusalemme nel 1187. All’inizio del secolo scorso, quando la Palestina era ancora parte dell’Impero Ottomano, il quartiere venne popolato da famiglie della borghesia palestinese, desiderose di allontanarsi dal crescente caos degli angusti vicoli della città vecchia. Nel 1956, meno di dieci anni dalla fondazione dello Stato ebraico, altre 28 famiglie palestinesi si trasferirono qui dopo alcuni anni di semi-nomadismo: erano infatti a loro volta una porzione dei circa 750mila palestinesi espulsi dalle città in cui vivevano prima del 1948, appena divenute parte integrante di Israele.
A “garanzia” di questo loro trasferimento si pose il Regno di Giordania, che amministrava la West Bank e si occupò di costruire le abitazioni per queste famiglie, in accordo con l’Unrwa (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees). Nel corso degli anni ’60 si tenta di andare anche oltre: in cambio della rinuncia allo status di rifugiati, il governo giordano promette a queste famiglie di renderle proprietarie delle loro terre e case a Sheikh Jarrah. Tutto, però, si interrompe con la guerra del 1967, nella quale Amman perde il controllo dei territori e Israele procede con le annessioni (quella del Golan, ad esempio, annesso unilateralmente nel 1980).
Sebbene il cambiamento delle circostanze geopolitiche mantenesse “pendente” il loro status legale, una quarantina di famiglie palestinesi hanno continuato a vivere a Sheikh Jarrah, accontentandosi del fatto di essere non lontani dall’Haram al Sharif – all’interno del quale c’è la moschea di Al Aqsa -, ossia il terzo luogo sacro per i musulmani.
La conquista di alcuni territori nel 1967 e l’occupazione israeliana di Gerusalemme est hanno poi rafforzato le rivendicazioni dei coloni israeliani, da sempre decisi a cacciare i palestinesi dalla città in ossequio all’idea di appropriarsi in via esclusiva – attraverso la costruzione di insediamenti coloniali illegali – del “bacino sacro”, l’area che comprende la città vecchia di Gerusalemme e i territori appena circostanti. A partire da quegli anni diverse organizzazioni di coloni – come Ateret Cohanim – hanno più volte reclamato in tribunale la proprietà di Sheikh Jarrah, spesso riuscendo a “sfrattare” i palestinesi.
La legge israeliana, peraltro, li aiuta non poco, basandosi su una chiarissima asimmetria: solo gli ebrei – non i palestinesi, né quelli cristiani né quelli musulmani, come dimostra il caso di Sulaiman Darwish Hijazi nel 2005 – hanno diritto di reclamare la proprietà di una terra presentando documenti e contratti precedenti al 1948. La questione è divenuta d’attualità con l’aumento delle violenze in questi giorni ma questo genere di sfratti “supportati” da documenti di 100 anni fa, e che possono essere impugnati solo da ebrei, non sono certo una novità: già lo scorso novembre un tribunale israeliano aveva accolto la denuncia di Ateret Cohanim, ratificando così l’ordine di sfratto ai danni di 87 palestinesi che da 1963 vivono nel quartiere di Silwan, a sud della moschea al Aqsa. Ateret Cohanim ha sostenuto che l’area fosse di proprietà di ebrei yemeniti che abitavano lì fino al 1938, quando furono dislocati altrove dalle autorità britanniche.
Oggi a Sheikh Jarrah vivono quasi una quarantina di famiglie palestinesi: a quattro di esse – gli Iskafi, i Kurd, i Qassem ed i Jaanoi – la Corte Suprema israeliana ha ordinato domenica scorsa di evacuare con effetto immediato (o meglio, il limite è stato fissato per il 6 maggio, già passato), dopo 4 anni di vani ricorsi inascoltati tra diversi tribunali locali. Alcuni ricordano che nel 1991, 24 famiglie sfrattate a Sheikh Jarrrah accusarono i loro stessi avvocati (israeliani) di aver falsificato le firme in cui avrebbero attribuito la proprietà delle loro case ad alcuni coloni. Ad altre 3 famiglie – gli Hammad, i Daoudi e i Dagani – è stato concesso fino al 1 agosto per lasciare il quartiere, e dall’inizio del 2020 sono in totale 13 le famiglie palestinesi su cui pende un ordine di sfratto.
La “Città di David” – In concreto, questi ordini di sfratto durante la presidenza Netanyahu – forse il presidente israeliano più vicino ai coloni – vanno anche nella direzione di una “rimodulazione” dell’intera area, del sostegno alla costruzione di una funivia che dovrebbe passare proprio sopra Silwan, e servire un bizzarro progetto israeliano in itinere dal 1995: si tratta del complesso della “Città di David”, ideato dall’Autorità per le antichità col sostegno della fondazione di coloni “Ir David”, che ufficialmente sarà una attrazione turistica evocante l’esistenza della trimillenaria città ma che di fatto rafforzerebbe la posizione di circa 500 coloni – che attualmente non avrebbero diritto di vivere a Silwan -, costringendo quasi 10mila palestinesi a vivere ai suoi margini.
Non sorprende, quindi, che centinaia di palestinesi a partire da venerdì siano scesi in piazza non solo per celebrare la fine del Ramadan ma anche per rivendicare quella che ritengono una ingiustizia, e che specularmente i coloni israeliani considerano un atto di piena giustizia.
La corrispondenza tra questi ordini di sfratto, la fine del Ramadan e la marcia (il “giorno di Gerusalemme”) a cui migliaia di israeliani partecipano per festeggiare l’occupazione di Gerusalemme nel 1948 hanno prodotto una miscela che si è infiammata subito, con scontri tra palestinesi – perlopiù disarmati – e coloni (molti dei quali armati), con il decisivo contributo delle Forze di sicurezza israeliane, che dapprima hanno permesso ai coloni di agire indisturbati contro i palestinesi radunati sulla Spianata delle Moschee, e poi in moschea – quella di Al Aqsa – sono entrati, durante la preghiera, a colpi di granate stordenti e proiettili di gomma, provocando diverse centinaia di feriti.
Lo Statuto di Roma, che nel 1998 ha istituito la Corte Penale Internazionale dell’Aja, esplicita chiaramente che “chiunque diriga intenzionalmente i suoi attacchi contro edifici adibiti al culto religioso, all’arte, all’educazione, alla scienza ed a propositi caritatevoli o culturali, sta commettendo un crimine di guerra”.
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Washington, 11 mar. (Adnkronos) - Un principe Harry ancora una volta in panchina. Anche se 'With love, Meghan' è la serie (contestatissima) della duchessa di Sussex, gli spettatori non hanno potuto fare a meno di notare il ruolo del secondogenito di re Carlo, di nuovo messo da parte, 'spare', come lui stesso si definisce nella sua scandalosa autobiografia. Nel programma Netflix, molto criticato ma che già ha in serbo una seconda stagione, il principe appare ogni tanto sullo sfondo delle inquadrature, spesso assieme ad altre persone, come fosse un ospite qualsiasi in casa Meghan Markle (o, meglio, "Meghan Sussex", come la duchessa ha precisato).
Harry è come "rimpicciolito", osserva in un editoriale sul Times, Shane Watson, esprimendo preoccupazione per le sue brevi apparizioni nel programma: "La seconda stagione di 'With Love, Meghan' è stata appena confermata e, che vi piaccia o no, non si può negare che per tutta la sua vita Meghan abbia lavorato per raggiungere questo risultato: incarnare un'icona di lifestyle". "Dall'altra parte - chiosa - Harry appare come un pezzo di ricambio. Basta sbattere le palpebre e te lo perderai. Non solo, è incastrato in fondo alla folla di ospiti durante la festa di chiusura. Sembra rimpicciolito, incerto su cosa ci si aspetta da lui".
Roma, 11 mar. (Adnkronos Salute) - L’utilizzo di tezepelumab riduce in maniera significativa la severità dei polipi nasali, il bisogno di ricorrere a un intervento chirurgico e di assumere corticosteroidi sistemici per la poliposi nasale, rispetto al placebo. Sono gli importanti risultati dello Studio Waypoint di fase 3, pubblicati sul 'New England Journal of Medicine' e presentati a San Diego (Usa) in occasione del congresso dell'American Academy of Allergy Asthma & Immunology (Aaaai), che hanno dimostrato il potenziale di tezepelumab nel fornire una opzione terapeutica di grande rilevanza per il trattamento della rinosinusite cronica con poliposi nasale e il ruolo chiave dell’epitelio nel guidare le modifiche strutturali che sono coinvolte nell'avvio e nell'evoluzione delle patologie respiratorie, sono stati discussi oggi a Milano in un incontro con la stampa.
Nel dettaglio, tezepelumab, rispetto al placebo, alla 52esima settimana - riporta una nota - ha ridotto significativamente la severità dei polipi nasali, misurata dagli endpoint co-primari, con una variazione del -2.07 (95% CI: -2.39, -1.74; p<0.001) della dimensione totale del polipo nasale misurata attraverso il Nasal Polyp Score (Nps) e la variazione di -1.03 (95% CI: -1.20, -0.86; p<0.001) della congestione nasale misurata in base al Nasal Congestion Score (Ncs). Miglioramenti nell’Nps e nel Ncs sono stati osservati già a partire dalla seconda e dalla quarta settimana e sono stati duraturi per tutte le 52 settimane del trattamento. Miglioramenti statisticamente significativi e clinicamente rilevanti sono stati osservati anche per tutti gli endpoint secondari valutati nell’intera popolazione arruolata nello studio, in particolare, riducendo significativamente la necessità di intervento chirurgico per polipi nasali del 98% (p<0,0001) e la necessità di trattamento con corticosteroidi sistemici dell'88% (p<0,0001) rispetto al placebo. Il farmaco ha inoltre migliorato in maniera significativa lo Snot-22 total score, un questionario compilato dal paziente con poliposi sulla qualità della vita associato alla poliposi (−27.26; 95% CI, −32.32 to −22.21) ed è stato generalmente ben tollerato, con un profilo di sicurezza coerente con la sua indicazione approvata in asma grave.
Il farmaco, attualmente approvato per il trattamento dell’asma grave negli Stati Uniti, nell’Unione europea, in Giappone e in circa 60 Paesi a livello globale, ha ricevuto l’approvazione per la somministrazione mediante siringa pre-riempita monouso e dispositivo auto-iniettore per l’auto-somministrazione in Usa e Ue.
"La rinosinusite cronica con poliposi nasale è una patologia infiammatoria complessa che colpisce circa il 4% della popolazione generale – afferma Eugenio De Corso, membro della commissione Euforea per il trattamento della rinosinusite cronica con poliposi nasale – ed è caratterizzata da una sintomatologia persistente, che ha un significativo impatto negativo sulla qualità della vita del paziente, non solo dal punto di vista fisico ma anche sociale e psicologico. È caratterizzata da un'infiammazione persistente naso-sinusale associata a rimodellamento strutturale della mucosa caratterizzato dalla formazione di polipi nasali" che determinano ostruzione, congestione e disturbi del sonno. La forma severa è particolarmente difficile da controllare. "I risultati dello studio Waypoint - aggiunge De Corso - dimostrano come tezepelumab possa ridurre del 98% la necessità di ricorrere a un intervento chirurgico, dell’88% l’assunzione di corticosteroidi sistemici" e, inoltre, conferma l’efficacia del farmaco "nel controllare i processi infiammatori responsabili della patologia, grazie" all’inibizione del "Tslp, citochina chiave nell’innesco della cascata infiammatoria. Tezepelumab potrà rappresentare una importante opzione terapeutica per il trattamento di questa patologia migliorando significativamente la qualità della vita di chi ne è affetto" e ha "il potenziale di trasformare il trattamento dei pazienti con patologie respiratorie di origine epiteliale".
Tezepelumab è un anticorpo monoclonale rimborsato in Italia per il trattamento dell’asma grave non controllato. Agisce sulla cascata infiammatoria inibendo il legame tra la linfopoietina timica stromale (Tslp), una citochina pro-infiammatoria rilasciata dalle cellule dell’epitelio bronchiale a seguito di un danno alla barriera dell’epitelio delle vie aeree e il suo recettore. Oggi è l’unico farmaco biologico anti-Tslp disponibile, in grado di agire a livello dell’epitelio delle vie respiratorie, una barriera che svolge una importante funzione immunitaria. Un danno alla barriera epiteliale è infatti responsabile dell’insorgenza di malattie infiammatorie croniche in diversi organi, delle vie aeree inferiori e superiori.
"Negli ultimi anni stiamo assistendo a una rivoluzione legata al ruolo chiave dell’epitelio nella patogenesi di alcune patologie respiratorie – spiega Giorgio Walter Canonica, professore & Senior Consultant Centro di Medicina personalizzata Asma e allergie Humanitas University & Istituto Clinico e di Ricerca Irccs Milano – L'epitelio delle vie respiratorie rappresenta difatti una barriera che svolge un’importante funzione immunitaria: quando danneggiato, può essere responsabile dell’insorgenza di patologie infiammatorie croniche quali le malattie delle vie aeree inferiori e quelle delle vie aeree superiori, come l’asma e la rinosinusite cronica con poliposi nasale".
Queste due patologie, "secondo dati epidemiologici e clinici - continua Canonica - sono strettamente collegate tra di loro e spesso coesistono. Si stima che in Italia siano 300 mila i pazienti affetti da asma grave di cui circa 4 pazienti su 10 presentano anche rinosinusite cronica con poliposi nasale. I pazienti in cui coesistono entrambe le patologie tendono a sviluppare sintomi sino-nasali più gravi, un’infiammazione delle vie aeree inferiori più estesa e una funzione polmonare compromessa, rispetto a chi è affetto da rinosinusite cronica con poliposi nasale da sola". In questi pazienti "aumenta il rischio di riacutizzazioni e il consumo di corticosteroidi sistemici". Le malattie, pur avendo "sintomi diversi" hanno "la risposta immunologica sottostante spesso simile. Tezepelumab, che agisce a livello epiteliale sulla Tslp", non solo risponde "a un importante bisogno clinico insoddisfatto dell’asma grave ma apre, come dimostra lo Studio Waypoint, a una nuova prospettiva di trattamento per i pazienti affetti da una patologia dal forte impatto come la rinosinusite cronica con poliposi nasale".
"AstraZeneca è fortemente impegnata nella ricerca scientifica legata a una comprensione sempre più approfondita dei meccanismi biologici alla base delle patologie infiammatorie delle vie aeree e al ruolo centrale, avvalorato da un numero sempre maggiore di evidenze, che l’epitelio riveste nella loro patogenesi – conclude Raffaela Fede, direttore medico AstraZeneca Italia – Siamo pertanto orgogliosi di annunciare i risultati dello Studio Waypoint presentati in occasione del Congresso Aaaai e pubblicati sul Nejm, che contribuiscono ad ampliare il corpo di evidenze che supportano l’efficacia di tezepelumab nel trasformare il trattamento dei pazienti con malattie infiammatorie di tipo epiteliale”. Il farmaco, “primo inibitore Tslp approvato in Italia per l’asma grave, ha già aperto a una nuova prospettiva di trattamento per questa patologia così fortemente impattante sulla vita dei pazienti. Con lo Studio Waypoint, che prevede una nuova futura indicazione per la molecola, puntiamo a introdurre un’opzione terapeutica efficace che offrirà nuove speranze per i pazienti affetti da rinosinusite cronica con poliposi nasale, una malattia complessa che colpisce circa il 40% dei pazienti con asma grave. Questi risultati ribadiscono il nostro impegno nella ricerca in ambito respiratorio con l’obiettivo di modificare l’andamento delle patologie, individuandone i meccanismi alla base nell’ottica di arrestarne la progressione e adottando un approccio di medicina di precisione".
Roma, 11 mar (Adnkronos) - "'La sua bocca puzza di tirannia, bestia schifosa, vergogna della razza umana'. Il propagandista del Cremlino Vladimir Soloviev attacca e insulta Pina Picierno in tv su Rossija 1, dopo che è saltato il suo intervento in Rai. La minaccia putiniana all’Italia, spiegata in un video". A scriverlo sui social è il giornalista e autore Tv Marco Fattorini, in un post rilanciato dalla stessa vice presidente del Parlamento Ue che ieri aveva chiesto spiegazioni alla Rai e alla commissione di Vigilanza sull'ospitata, poi saltata, dello stesso Soloviev a 'Lo stato delle cose' su Raitre.
"Solidarietà piena alla collega Pina Picierno contro gli ennesimi vergognosi attacchi che arrivano dalla Russia. Una sequela di insulti gravi, volgari e inaccettabili che non scalfiranno in tutti noi la determinazione di continuare a dire la verità", ha scritto sui social il capo delegazione Pd al Parlamento Ue Nicola Zingaretti. "Feccia russa. Solidarietà a Pina Picierno", ha fatto eco su Twitter Carlo Calenda.
Al fianco della Picierno, sempre via social, anche il senatore del Pd Filippo Sensi ("sono solo medaglie gli insulti dei putinisti e della loro orrenda propaganda"); il senatore di Iv Ivan Scalfarotto ("la mia solidarietà e gratitudine a Pina Picierno, instancabilmente a presidio della nostra libertà e della nostra democrazia"); la deputata del Pd Lia Quartapelle ("solidarietà a Pina Picierno, che sa come reagire agli striscianti tentativi di influenza del Cremlino") e anche il virologo Roberto Burioni ("Coraggiosa, tenace, una grandissima donna. Meriterebbe maggiore spazio in quello sfortunato partito").
Roma, 11 mar (Adnkronos) - "I casi di disturbi del comportamento alimentare sono drammaticamente in aumento, oltre 3 milioni e mezzo nel nostro Paese, e invece il governo Meloni continua a tagliare le risorse”. Lo ha detto la presidente dei deputati di Italia Viva Maria Elena Boschi intervenendo alla conferenza stampa sui disturbi alimentari alla Camera dei deputati.
"Chiediamo al governo Meloni di mettere le risorse necessarie a far fronte all’aumento dei casi. Il fondo istituito dal governo Draghi è stato azzerato. Il governo Meloni mette sempre meno risorse, a rilento, senza continuità, senza possibilità di progettazione e di presa in carico dei pazienti. Inoltre le strutture idonee per la riabilitazione intensiva -ha aggiunto- non sono presenti in tutte le regioni, creando problemi di mobilità interregionale e impatto sulla continuità scolastica e i legami familiari”.
“Noi di Italia Viva, insieme alle opposizioni, portiamo avanti questa battaglia in Parlamento a fianco delle associazioni e a fianco delle studentesse e degli studenti che si sono mobilitati per chiedere attenzione su un tema che ormai riguarda anche bambini e bambine ed è, purtroppo, la seconda causa di morte nel mondo per i ragazzi tra i 12 e i 17 anni”.
Roma, 11 mar (Adnkronos) - Domani, mercoledì 12 marzo alle 17.30, presso la sala stampa della Camera dei deputati – via della Missione 4 a Roma – si terrà la presentazione del libro 'Antonio Martino, interventi istituzionali'. Lo rende noto Forza Italia.
All’evento interverranno i capigruppo azzurri alla Camera e al Senato, Paolo Barelli e Maurizio Gasparri; Stefano Benigni, vicesegretario nazionale di Forza Italia e segretario nazionale del movimento giovanile azzurro e Marco Reguzzoni, presidente dell’associazione I Repubblicani e curatore della pubblicazione.
"Si tratta di un omaggio a un importante protagonista della storia politica del nostro Paese - spiega Reguzzoni –, un grande pensatore e liberale. Un esempio per i giovani, che proprio nel libro potranno trovare spunti e riflessioni ancora attualissimi in alcuni dei suoi discorsi pronunciati in occasioni istituzionali”. Il volume vanta i contributi di due importanti esponenti di Forza Italia: Letizia Moratti - che di Martino è stata collega di governo - e il vicesegretario e segretario nazionale dei Giovani di Forza Italia Stefano Benigni.
(Adnkronos) - “Il pensiero di Martino – sottolinea Benigni - continua a ispirare chiunque creda in una società libera, dinamica e meritocratica. La sua visione rimane un pilastro per tutti coloro che, come noi, ritengono che il futuro dei giovani dipenda dalla possibilità di costruirlo liberamente, senza imposizioni. Martino – ha aggiunto – è stato uno dei grandi protagonisti della storia del nostro movimento e per questo credo che debba essere parte del nostro “album di famiglia”, quella raccolta di grandi figure, fortemente voluta anche dal nostro Segretario Nazionale, Antonio Tajani, che saranno sempre un modello e un punto di riferimento per noi e per la nostra azione politica”.
(Adnkronos) - E' stato proprio l'uomo a chiamare il 112 per soccorrere la madre. Agli agenti ha raccontato che la donna, con diverse patologie, era caduta ma l'orario indicato e alcuni elementi non hanno convinto del tutto. A insospettire i poliziotti anche alcuni interventi recenti: erano state segnalate un paio di liti dopo che il quarantottenne, consulente, era tornato a vivere a casa della madre, dopo una separazione difficile.
Altro tassello contro il figlio l'aver incassato, il giorno dopo la morte della madre, un bonifico fatto dal conto della donna al suo per una cifra di 30mila euro. Interrogato su questo aspetto ha preferito non rispondere alle domande degli inquirenti. L'autospia, disposta dalla pm Giancarla Serafini, ha infine certificato i sospetti: il medico legale ha certificato la morte per soffocamento. Per l'uomo è scattato l'arresto per omicidio e maltrattamenti.
Palermo, 11 mar. (Adnkronos) - La Polizia di Stato di Trapani ha arrestato uno stalker seriale che violava sistematicamente le prescrizioni di divieto di avvicinamento alla ex compagna. Il personale del Commissariato di P.S. di Alcamo ha dato esecuzione all’ordine di arresto emesso dalla Corte d’Appello di Palermo nei confronti dello stalker di nazionalità rumena, di 46 anni. Nello specifico, l’Autorità Giudiziaria, a seguito delle reiterate violazioni della misura del divieto di avvicinamento alla parte offesa, ha ritenuto di dover disporre l’aggravamento della stessa con la misura cautelare più afflittiva della custodia in carcere. Difatti, nonostante la prescrizione di non avvicinarsi all’ex coniuge con l’obbligo di portare con sé il dispositivo elettronico anti-stalker, il cittadino rumeno girava indisturbato per la città lasciando in più occasioni il dispositivo a casa.
Peraltro, nell’ambito di una ulteriore attività d’indagine, l’arrestato è stato raggiunto da un provvedimento cautelare che disponeva il divieto di avvicinamento alla parte offesa, con applicazione del dispositivo elettronico, poiché lo stesso veniva ritenuto responsabile di analoghe condotte persecutorie poste in essere in pregiudizio di un’altra donna con cui aveva intrattenuto una relazione sentimentale.
L’arrestato è stato quindi fermato e condotto presso gli Uffici del Commissariato di P.S. per poi essere tradotto presso la Casa Circondariale di Trapani. "La Polizia di Stato ribadisce il proprio impegno nella tutela delle vittime di stalking e violenza, invitando chiunque si trovi in situazioni analoghe a rivolgersi tempestivamente alle Forze dell’Ordine", si legge in una nota.