I dati ufficiali sul virus dimostrano che la curva delle infezioni e dei decessi ha cominciato la sua discesa. Sulla base di questo dato l’opinione pubblica italiana, fortemente influenzata da quella europea, viene indirizzata dai mass media sulla richiesta di immediate riaperture in tutti i campi, evitando di considerare la drammatica situazione di ingiustizia economica e sociale nella quale sembra condannato per sempre il nostro Paese.

Una lezione magistrale viene dai programmi economici annunciati da Joe Biden, il quale afferma che l’economia statunitense, per essere al passo con i tempi, deve cambiare rotta, eliminando le inique e dannosissime idee neoliberiste per affidarsi con fiducia a un nuovo sistema economico improntato sulle teorie di Keynes.

In sostanza Biden afferma due principi fondamentali: occorre distribuire la ricchezza, e in particolare le fonti di produzione della ricchezza, alla base della piramide sociale e lo Stato deve intervenire da imprenditore nell’economia.

I dettagli del piano di Biden sono molto numerosi, e mi limito a ricordare che egli ha il coraggio di eliminare i paradisi fiscali, che persistono da anni in Europa, di imporre imposte sui ricchi per un importo di 2300 miliardi di dollari, di eliminare l’esenzione tributaria a tutte quelle imprese, come Amazon, che finora hanno pagato zero tasse.

Con il denaro così riacquistato al bilancio dello Stato, Biden traccia le linee di una forte ripresa economica, fondata sull’intervento dello Stato nell’economia, per la costruzione di infrastrutture chiave, l’occupazione, la mobilità, le telecomunicazioni, le fonti di energia, l’ambiente e le piccole imprese, stabilendo al riguardo la prevista spesa dei 2300 miliardi sopra richiamati.

Sembra proprio che Biden stia attuando, per gli Stati Uniti, la Costituzione della repubblica italiana, da me fortemente invocata, e inascoltata da oltre 20 anni.

Infatti in Italia, solo per fare un esempio, il gravissimo problema del trasporto aereo è stato affrontato in modo tragicamente sbagliato, ed è sottoposto alle strangolanti misure imposte dalla commissaria Margrethe Vestager, fino al punto da mettere in dubbio la convenienza della nostra stessa appartenenza all’Unione europea.

È da dire, peraltro, che assistiamo a una politica dell’Unione completamente contraddittoria, la quale per un verso supera il principio, detto incontrovertibile, della concorrenza offrendo a tutti gli Stati membri (sia forti che deboli) la sospensione del patto di stabilità, ma resta ferrea nell’affermare il divieto degli aiuti di Stato – che va a maggior detrimento degli Stati economicamente più deboli, come l’Italia – sottraendo a questi, noi compresi, le fonti di produzione di ricchezza indispensabili per la ripresa economica, come sono per l’appunto le rotte aeree.

La meticolosità perseguita dalla Vestager, in questa sua intromissione nelle vicende italiane, sta nell’insistere nella discontinuità da perseguire tra Alitalia, che dovrebbe divenire una bad company, assumendosi tutti i suoi debiti e destinata al fallimento, e la nascente Ita, alla quale si vieta persino il marchio di Alitalia, imponendole, e questo è grave, una posizione estremamente ridotta rispetto alle capacità del nostro personale aereo, che ha consentito di collocare la nostra compagnia aerea fra quelle che brillano per la loro puntualità.

Il personale verrebbe ridotto di circa il 60%, molti slot dovrebbero essere venduti, il personale a terra dovrebbe passare ad altra compagnia, il progetto Mille Miglia dovrebbe essere ceduto e così via dicendo.

Insomma un complesso di limiti che toglie all’Italia l’utilizzo delle rotte aeree che le spettano, mantenendo la sua compagnia aerea in posizione di netta inferiorità rispetto alla tedesca Lufthansa e alla francese Air France, le quali si stanno molto battendo anche per impadronirsi degli slot di Alitalia.

È da aggiungere che la capacità lavorativa degli italiani si sta affermando in ogni campo, oltre quello aereo. Molto significativo è il fatto che Arcelor Mittal, che chiede denari allo Stato italiano, per l’importo di un miliardo di euro, negli ultimi tempi ha incassato profitti per 2,3 miliardi di euro, profitti che ovviamente non sono tornati allo Stato italiano, ma sono finiti nelle mani dei soci della multinazionale franco-indiana.

È sufficiente quanto ho detto per dimostrare che l’Italia ha tutte le possibilità per una sua forte ripresa economica, e che per realizzarla ha solo bisogno di far valere la proprietà pubblica demaniale sulle proprie fonti di produzione di ricchezza e di non essere sottomessa ai voleri, incostituzionali, di certi operatori dell’Unione europea.

Come sempre ho ripetuto, e come pare che la storia stia dimostrando, la nostra salvezza è nell’attuazione degli articoli 1, 3, 11, 41, 42 e 43 della nostra Costituzione repubblicana e democratica.

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