A un anno e mezzo dagli arresti sette persone sono state rinviate a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare di Roma, Andrea Fanelli, nell’indagine in cui si ipotizzano, a vario titolo, i reati di corruzione e turbata libertà dell’industria e del commercio. A processo, con la prima udienza fissata per il prossimo 22 settembre davanti ai giudici della II sezione collegiale, sono finiti anche funzionari dei Monopoli di Stato e dirigenti di Philip Morris Italia all’epoca dei fatti. L’ipotesi della procura è che “funzionari pubblici” siano stati corrotti da dirigenti di Philip Morris per rinviare l’aumento del costo delle sigarette. In cambio, stando alle indagini, di assunzioni e promozioni di parenti dei colletti bianchi corrotti.

Nel procedimento, oltre al ministero dell’Economia, si è costituita parte civile anche la British American Tobacco (Bat). Secondo l’accusa gli indagati avrebbero “compiuto atti contrari ai doveri di ufficio favorendo Philip Morris Italia Srl e ricevendo utilità – si legge nel capo di imputazione del pm Alberto Pioletti – o promesse di utilità e di essersi adoperati con mezzi fraudolenti per turbare l’esercizio dell’attività di commercio di tabacchi della Bat Italia Spa, società concorrente di Philip Morris”.

Nasce tutto dall’indagine della squadra mobile e della Procura di Roma, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, del dicembre 2019, che avevano scoperto una presunta rete di corruzione che portava fino agli uffici del Monopolio di Stato. A una funzionaria sarebbe stato promesso, dagli emissari della Philip Morris, un alloggio gratuito a Bologna per un conoscente che avrebbe dovuto seguire per un stage di 6 mesi, la promessa di assunzione del nipote e del genero in una società di spedizioni, e quella di assunzione in tabaccheria per un’altra conoscente. Da un altro indagato sarebbero state veicolati anche informazioni su “futuri controlli” disposti da lui stesso nei confronti dei tabaccai” alla ricerca “dei cartelli promozionali” che recavano lo slogan “blocco dei prezzi delle sigarette”, e che avrebbe provocato una conseguente sanziona amministrativa. Inoltre a un consulente esterno della Philip Morris sarebbero stati mostrati “documenti riservati” che contenevano “la richiesta di aumento del prezzo di vendita presentata dalla Japan Tobacco”, fornendo “informazioni sulla data di firma del relativo decreto”. Per queste “informazioni”, un indagato avrebbe ricevuto la promessa della nomina a direttore centrale gestione accise e monopoli, e la possibilità di un lavoro “più remunerativo” per la sua compagna; mentre a un altro sarebbe stato promessa “l’assunzione in banca del figlio”, che secondo l’accusa sarebbe “andata a buon fine”.

“Come ben noto, l’udienza preliminare rappresenta un passaggio iniziale nell’ambito del processo. Philip Morris Italia S.r.l. (“PM Italia”) – si legge in una nota – è fiduciosa che durante il processo verrà scagionata dalle accuse mosse nei suoi confronti, in quanto nessuna azione illecita è stata intrapresa nell’interesse o a vantaggio dell’azienda. Come affiliata di Philip Morris International Inc., PM Italia – prosegue la nota – ha rigide procedure e controlli che disciplinano le interazioni di dipendenti e consulenti con pubblici ufficiali. PM Italia auspica di avere quanto prima l’opportunità di dimostrare che queste procedure sono scrupolosamente fatte rispettare in tutta l’organizzazione e che le accuse mosse nei confronti dell’azienda sono infondate”.

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