Altri quattro anni alla guida del Coni. E poi ancora a capo dei Giochi di Milano-Cortina. Quasi quindici anni da padrone assoluto dello sport italiano. Il regno di Giovanni Malagò continua: è stato appena rieletto per la terza volta, fino al 2024, alla presidenza del Comitato olimpico italiano. Grazie all’ex ministro Luca Lotti, che con uno degli ultimissimi atti del governo Pd gli regalò un terzo un mandato, in passato proibito dalla norme. Nonostante i tentativi di Giancarlo Giorgetti e Vincenzo Spadafora di mandarlo a casa, o quantomeno costringerlo a rinunciare ad una delle due cariche, tutto inutile. Malagò resta presidente, quasi per sempre.
Le elezioni – eccezionalmente a Milano e non a Roma, quasi per dare uno schiaffo alla Capitale e alla sua politica, che hanno osato negargli le Olimpiadi 2024 e mettere in discussione il suo potere – sono state una formalità: su 74 votanti, ha totalizzato ben 55 preferenze, quasi l’80%. Eppure stavolta c’erano addirittura quattro candidati. Uno, in realtà, era il suo “doppio”: Franco Chimenti, numero uno del golf, suo grande elettore nel 2013 e ancora oggi, che si è presentato solo per ribadire la fiducia al suo amico, e si è ritirato alla vigilia. Antonella Bellutti, prima donna della storia, in rappresentanza del movimento per i diritti delle donne Assist, è stata una candidatura più che altro dimostrativa: ha preso un solo voto.
Il vero candidato di opposizione era Renato Di Rocco, ex presidente del ciclismo, sostenuto dai nemici storici di Malagò, dal tennis al nuoto. Ma era un nome debole: si è fermato a quota 13 preferenze. Troppo poco credibile lui (per anni è stato organico al sistema, prima di riscoprirsi così critico), troppo defilati i veri antagonisti (Angelo Binaghi e Paolo Barelli non si sono spesi personalmente), mal organizzata la squadra, visto che le elezioni non si vincono solo tra i presidenti federali, ma anche sul territorio, fra atleti e tecnici, negli organismi minori, che in tutti questi anni di governo Malagò ha nutrito e coccolato. Ci vuole ben altro per spodestarlo.
Ne sa qualcosa la politica, che negli ultimi anni ha tentato più di una volta a farlo. Ci ha provato il leghista Giorgetti, che aveva scritto una riforma per togliere soldi e potere al Coni, a ridimensionare l’impero di Malagò: con pazienza, è stata smontata pezzo per pezzo dal Coni, che a distanza di tre anni ha riacquisito tutto il suo prestigio e quasi tutte le sue competenze. Ci ha provato anche l’ex ministro Spadafora, che pur contribuendo a questa contro-riforma aveva proposto di riportare a due il limite di mandati, per rinnovare i vertici dello sport. Respinto con perdite: Pd, renziani, ma un po’ tutta la schiera di amici che è trasversale al Parlamento ha alzato un muro impenetrabile a difesa di Malagò.
Malagò avrà il terzo mandato che voleva alla guida del Coni, che ha talmente rappresentato, occupato, da ormai quasi impersonarlo. Dovrà affrontare diversi temi irrisolti: il rapporto con Sport e salute e ciò che resta della riforma dello sport, che fin qui ha creato solo equivoci. La terribile crisi che si è abbattuta sul movimento a causa del Covid. Sul lungo periodo, le Olimpiadi, per cui al momento prosegue senza sosta la spartizione di opere, fondi e poltrone (con la Lega che fa da padrona), ma ancora non si è fatto quasi nulla di concreto. “Ringrazio tutti”, dice lui. “Mi troverete sempre dalla stessa parte, dalla parte dello sport”. Che poi è quasi sempre la sua parte.
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