Moniti in gran parte inascoltati” dal Parlamento a intervenire su temi importanti – come la fecondazione assistita e il fine vita – anche perché la Corte costituzionale non può essere sorda o “inerte” a quelli che sono i “nuovi diritti” che sono spesso legati a doppio filo ai diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione. La relazione del presidente della Corte costituzionale, Giancarlo Coraggio successore di Marta Cartabia ora ministra della Giustizia, non è soltanto l’elenco dell’attività della Consulta ma una riflessione anche sulla immobilità delle Camere su questioni fondamentali che poi arrivano fino ai giudici della legge. Ultimo e non unico per tutti il caso di Dj Fabo. A ascoltare le parole del giudice ci sono il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, i presidenti delle Camere Elisabetta Casellati e Roberto Fico, il premier Mario Draghi e la Guardasigilli, che è stata la prima donna presidente della Corte costituzionale. E sul dibattito più infuocato delle ultime settimane ovvero una legge che punisca l’omotransfobia dice: “Non ho studiato il ddl Zan proprio per non essere chiamato a dare un parere concreto sulle norme. Ma sicuramente una qualche normativa è opportuna”.

Unica eccezione nel mancato ascolto da parte di deputati e senatori secondo Coraggio la risposta delle Camere all’invito di garantire l’innalzamento del fondo per gli invalidi civili totali titolari di pensione di inabilità, a decorrere dal diciottesimo anno di età. Dopo la decisione del 24 giugno 2020 ci sono stati gli adeguamenti. Anche questa constatazione ha spinto la Corte a cambiare linea e a intervenire, diversamente dal passato, con sentenze “additive” pure quando la soluzione da adottare a seguito dell’ incostituzionalità ha carattere discrezionale. Un cambiamento gestito con cautela dalla Corte che è intervenuta direttamente solo quando la soluzione si è potuta “ricavare dal sistema“, magari da previsioni “già rinvenibili nell’ordinamento, in modo da assicurarne la coerenza con la logica seguita dal legislatore“. In mancanza invece “di punti di riferimento normativi e in presenza di interventi complessi e articolati, la Corte si è sentita obbligata a privilegiare il naturale intervento del legislatore”. E dunque una volta accertata la contrarietà alla Costituzione della norma al suo esame, non ne ha dichiarato l’incostituzionalità ma ha rinviato la pronuncia dando tempo così al legislatore di disciplinare la materia. È quanto accaduto sull’aiuto al suicidio, e sulle norme che puniscono con il carcere la diffamazione a mezzo stampa. E di recente sull’ergastolo ostativo.

Il presidente Coraggio ricorda che “è compito proprio del legislatore” farsi carico del riconoscimento dei “nuovi diritti”, con una selezione attenta delle situazioni meritevoli di tutela, di fronte al “moltiplicarsi di pretese che chiedono di essere ricondotte a diritti fondamentali“. “Ma in mancanza di un suo intervento, la Corte Costituzionale non può, a sua volta, rimanere inerte, specie quando sono in gioco i diritti di minoranze, la cui tutela è il naturale campo di azione dei giudici, quali garanti di una democrazia veramente inclusiva”.

Un compito che viene definito “doveroso” . Coraggio indica alcune tra le” molte pretese” che sono state riconosciute come diritti dalla Consulta: come le vicende che hanno interessato la procreazione medicalmente assistita o quelle “che, in diversi settori dell’ordinamento, hanno posto in rilievo l’esigenza di tutelare al meglio gli interessi dei minori”. “Non sono mancati, però, casi di diniego – ricorda il presidente- come per il preteso diritto a morire o il preteso diritto delle coppie omosessuali di accedere alle tecniche procreative nel territorio italiano“.

“Un settore in cui queste pretese si manifestano con particolare intensità, ma che insieme esige un accurato bilanciamento, è quello dei rapporti sociali“, visto che bisogna “confrontarsi con i limiti finanziari imposti dal principio dell’equilibrio ‘tendenziale’ di bilancio”. È questo il caso delle prestazioni sanitarie. “La Corte – ricorda Coraggio – ha tradizionalmente negato l’esistenza di un diritto illimitato alla salute, proprio in considerazione delle incontrollabili ricadute finanziarie, affermando anche, tuttavia, che il valore di una sana gestione delle risorse non può spingersi sino a comprimere i livelli essenziali delle prestazioni, che in tal modo divengono oggetto di un diritto fondamentale”. Nella Sanità, servizio nazionale ma a gestione regionale, serve “un esercizio forte, da parte dello Stato, del potere di coordinamento e di correzione delle inefficienze regionali: il suo esercizio inadeguato non solo comporta rischi di disomogeneità, ma può ledere gli stessi livelli essenziali delle prestazioni”. Il problema si è riproposto con la pandemia, nonostante la competenza esclusiva dello Stato sulla profilassi internazionale che avrebbe dovuto garantire “unitarietà di azione e di disciplina”. Tra le istituzioni che hanno saputo reagire alla pandemia c’è la scuola, “che, con l’insegnamento a distanza (una soluzione certo emergenziale ma accettata con spirito di sacrificio da docenti e alunni), è stata comunque in grado di assicurare, nei limiti del possibile, la vitale prosecuzione dell’istruzione, anche se si sono purtroppo manifestate gravi diseguaglianze economiche e territoriali”.

La pandemia è stata una prova difficile per il nostro Paese, che tuttavia ha dato grande dimostrazione di sé. I cittadini, sfatando luoghi comuni duri a morire, hanno saputo accettare i pesanti ma inevitabili sacrifici dei loro diritti con un senso civico diffuso e consapevole. E anche le istituzioni, pur con un certo affanno delle strutture sanitarie, hanno trovato la forza e la capacità di far fronte a questo evento drammatico e inusitato” ha detto Coraggio alla riunione straordinaria della Corte Costituzionale parlando della reazione dei cittadini e delle istituzioni all’emergenza Covid e esprimendo “la sentita partecipazione al lutto di quanti hanno sofferto la perdita dei loro cari”. Anche la Corte costituzionale durante la pandemia non si è mai fermata. “L’ampio ed efficace utilizzo dei sistemi informatici ha consentito la ininterrotta prosecuzione delle udienze e delle camere di consiglio, con la partecipazione da remoto sia dei giudici che delle parti. Un salto di qualità imposto dall’emergenza che ci ha sollecitato a portare avanti con determinazione l’introduzione del processo telematico, nonché ad utilizzare in larga misura strumenti di comunicazione vecchi e nuovi”. Proprio grazie alla piena operatività della Corte, non solo il numero di decisioni è stato “sostanzialmente analogo a quello dell’anno precedente, e in linea con quello degli ultimi cinque”, ma si sono “anche ridotti i tempi di conclusione dei giudizi, scesi, per quelli incidentali, da circa un anno ad otto mesi”.

Non è mancato un riferimento a un tema che ha creato grande dibattito ovvero l’arresto in Francia e il rilascio in attesa di estradizione di terroristi condannati: “Non si può istituzionalizzare il diritto alla fuga e di sottrarsi alla pena che è stata irrogata in un processo giusto e corretto condotto da giudici indipendenti. Questi signori devono essere soggetti ai principi della nostra Costituzione che non è ispirata alla vendetta, ma alla rieducazione. ” Credo che i procedimenti e i giudici che abbiamo in Italia hanno sufficiente spirito di senso della Costituzione da permettere un trattamento corretto di costoro”. Sull’ergastolo ostativo, che impedisce la concessione della liberazione condizionale ai mafiosi se non collaborano, “la Corte ha fatto lo sforzo di bilanciare i valori in gioco: garantire la conservazione dell’istituto della collaborazione che è fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata, ma insieme affermare l’improcrastinabile necessità di prevedere un fine pena anche per l’ergastolo. E’ un dovere perché si tratta di rispettare la funzione rieducativa della pena che altrimenti non avrebbe senso”.

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