L'euforia dovuta al fatto che per una ventina di volte la città è rimasta all'asciutto ha fatto dimenticare un elenco complesso di criticità. L'ultima notizia negativa è legata alle dimissioni di due ingegneri: "La corrosione avanza e non si fa nulla. Ce ne andiamo", hanno detto. Solo uno dei tanti problemi di un'opera faraonica, iniziata nel 2003, che ha visto alzarsi le paratoie, per la prima volta, nel luglio scorso. E ora rischia già di essere vecchia
L’autunno-inverno del 2020 ha regalato a Venezia la scoperta che il Mose funziona. Le paratoie alle bocche di porto sono in grado di fermare l’acqua alta. Tuttavia, mentre si avvicina inesorabilmente la scadenza del 31 dicembre 2021, data di fine lavori che non sarà rispettata, il sistema di difesa è ancora lontano dall’essere ultimato. L’euforia dovuta al fatto che per una ventina di volte la città è rimasta all’asciutto ha fatto dimenticare le troppe criticità, un elenco complesso e rivelatore di un iter che sarà tormentato e costoso. Infatti, la fase di avviamento manca ancora di un piano, la manutenzione sarà molto onerosa e gli errori del passato peseranno sul conto da 6 miliardi di euro. Un passato in cui nel 2014 si scoprì, con decine di arresti e una classe politica veneta decapitata, che il Mose era stato per anni una greppia a cui tutti avevano mangiato.
Un mese fa si sono registrate le dimissioni dall’incarico di due ingegneri metallurgici esperti in corrosione e consulenti del ministero delle Infrastrutture. Prima se ne è andata Susanna Ramundo, romana, consulente dell’Unione europea, poi Gian Mario Paolucci, padovano, tra i principali esperti italiani della materia. In una lettera hanno spiegato: “La corrosione avanza e non si fa nulla. Ce ne andiamo”. Intervistata da L’Espresso, Susanna Ramundo ha dichiarato: “Mi sono dimessa perché ho perso, non sono riuscita a tradurre banali concetti tecnici in azioni per chi poteva e doveva decidere”.
Di ruggine e corrosione delle cerniere del Mose si è cominciato a parlare cinque anni fa. Ma è solo uno dei tanti problemi di un’opera faraonica, iniziata nel 2003, che ha visto alzarsi le paratoie, per la prima volta, nel luglio scorso. Ci sono tre documenti che costituiscono la sintesi più recente dei mali del Mose. Innanzitutto il referto della sezione regionale di controllo per il Veneto della Corte dei Conti, che risale a inizio anno. Poi una relazione dell’aprile 2020 che costituisce il “testamento” tecnico degli amministratori straordinari Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola arrivati dopo lo scandalo del 2014 (è rimasto solo Ossola, quale consulente del commissario straordinario Elisabetta Spitz). Infine, un puntiglioso elenco predisposto a novembre dal Provveditore alle Opere pubbliche del Triveneto, Cinzia Zincone. Incrociando i dati, ne viene fuori un quadro impressionante.
PIANI ED ERRORI
Diffide per 226 milioni – Gli errori della fase di realizzazione, secondo una stima del Consorzio, raggiungono i 175 milioni di euro per le sole carenze precedenti l’arrivo dei commissari. Le diffide alle imprese e le contestazioni contrattuali sollevate dal Consorzio ammontano a 226,5 milioni di euro.
Manca l'”avviamento” – Secondo la Corte dei Conti, a causa dello scandalo, “il Consorzio Venezia Nuova ha subito un pregiudizio sempre più negativo – e allo stato degli atti, difficilmente rimediabile – alle capacità progettuali e tecnico-operative indispensabili al completamento e all’elaborazione ed esecuzione del ‘piano di avviamento’. Il “grave inadempimento contrattuale è stato surrogato da una procedura estranea alle clausole contrattuali, predisposta dal Commissario straordinario per la gestione delle operazioni di sollevamento delle paratoie in fase temporanea, con la quale – fino al completamento dell’opera – sarà regolamentato il sollevamento delle barriere”. Ma è una procedura che salva Venezia solo con maree superiori a 130 centimetri, “non essendo ancora il sistema a regime”.
Manutenzione, 100 milioni all’anno – Manca anche il “Piano di Manutenzione Programmata”, cruciale per sapere quanto costerà il Mose nei prossimi decenni. “Tuttora il documento non risulta disponibile, anche se è emerso l’avvio di una fase di predisposizione di un apposito manuale tecnico di manutenzione da produrre entro i primi sei mesi del 2021”, scrivono i giudici contabili. Il costo annuo per il funzionamento e la manutenzione del Mose è stato stimato in 100 milioni di euro.
Senza una visione unitaria – Secondo gli ex amministratori straordinari e il Provveditore, emerge “l’assenza di una visione unitaria degli interventi”, a causa “della realizzazione per numerosissimi stralci”. La conseguenza? “Una frammentazione dell’opera e un progressivo adattamento del cronoprogramma alle disponibilità finanziarie, con slittamento del termine dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2021”. Ma ora si andrà a fine 2022. Il che ha comportato solo collaudi per singoli Op (Operational Project, ossia Progetto operativo). Si dovrà provvedere al collaudo finale (“integrato e prestazionale”) del sistema nel suo complesso che, rapportato al costo dell’opera, prevede parcelle altissime.
“Piano Europa” carente – Il “Piano Europa”, di riqualificazione e compensazione ambientale, fu previsto su richiesta dell’Unione Europea a seguito del sistema “a prezzo chiuso” del Mose fissato nel 2005 a 5 miliardi 493 milioni di euro. Il costo fu stimato nel 2011 in 267 milioni di euro. Mancano interventi per 39,5 milioni di euro e non sarà ultimato per fine 2021.
CRITICITÀ TECNICHE
Le 156 cerniere – Sono la parte cruciale del sistema, perché fanno alzare le 78 dighe mobili. A suo tempo venne scelta una cerniera saldata e non fusa, affidata senza gara dal Consorzio di Carlo Mazzacurati all’impresa Fip del gruppo Mantovani (socio del Consorzio, coinvolto nello scandalo delle tangenti). In ambiente marino le saldature andrebbero evitate, perché sono punti di debolezza. I sistemi “femmina” (ancorati ai cassoni sul fondo) si ossidano a causa di una scelta del materiale non idonea (“Acciaio strutturato più economico in luogo di acciaio inossidabile superduplex”). Avrebbero dovuto durare 100 anni (in totale immersione), invece si stima una vita di 15-20 anni. Rimedi con verniciatura esterna e protezione catodica richiedono un monitoraggio costante che non viene fatto. Per anni è stata trascurata la manutenzione. Anche per i “maschi”, che assicurano il tensionamento delle paratoie, è stato scelto materiale non idoneo per l’ambiente marino. La soluzione? È in corso una gara europea da 38 milioni di euro, non ancora conclusa.
Paratoie senza manutenzione – Le paratoie dovrebbero essere smontate ogni 5 o 10 anni, invece non sono mai state sottoposte alla manutenzione programmata, anche se alcune (a Malamocco) sono in acqua dal 2013. Per queste è in corso una gara europea da 20 milioni di euro. Non si sa ancora dove sarà effettuata la manutenzione, un tempo prevista all’Arsenale, poi all’area ex Pagnan di Porto Marghera.
Tubi e batteri – Non esiste uno schema per analizzare lo stato di conservazione delle tubature che fanno alzare e abbassare le paratoie. Nell’acqua che le attraversa è segnalata la presenza di batteri. Per sostituire 936 valvole stimato un costo di 11 milioni di euro. Per i giunti, altri 34 milioni. Per le tubature dell’aria prevista una spesa di 5 milioni di euro per una sola galleria.
Impianti da finire – “Costo non stimabile” è la formula ripetuta dal Provveditore alle Opere Pubbliche e riferita (novembre 2020) alle parti mancanti dei seguenti impianti: elettrico (valore complessivo 84 milioni di euro), di controllo e antintrusione (50 milioni), meccanico (66 milioni), di ventilazione e condizionamento (38 milioni), di rilevazione e spegnimento incendi (valore totale 22 milioni). Servono perizie di variante per il completamento.
Opere civili rovinate – Fessurazioni, infiltrazioni, corrosioni delle strutture in cemento alle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, richiedono interventi per 21,5 milioni di euro.
MALFUNZIONAMENTI
La sabbia – Non ancora risolto il problema dei sedimenti che si depositano sul fondo, impedendo il perfetto rientro negli alloggiamenti delle paratoie (è accaduto anche a luglio, durante la prova-inaugurazione).
La “control room” – I sollevamenti invernali sono stati garantiti da una “control room” provvisoria, gestita dal Genio dell’Esercito perché il vero “cervello” di controllo all’Arsenale non è ancora ultimato.
La Conca di navigazione – Realizzata alla Bocca di Malamocco, è costata più di 300 milioni e avrebbe dovuto servire al passaggio delle navi quando il Mose è in funzione. Ma è piccola per le grandi navi, pericolosa in caso di mare agitato ed è stata danneggiata nel 2015 da una mareggiata. Per ripararla servono 33 milioni di euro.
La “lunata” del Lido – La diga di sassi per proteggere il Mose dalle maree franò poco dopo il collaudo. Sono in ballo risarcimenti per 8 milioni di euro.
La nave “Jack-up” – Ai tempi delle “vacche grasse” costò 55 milioni di euro (si pensava anche a una gemella) e doveva servire per posizionare le dighe mobili. È stata usata solo per 20 paratoie al Lido-San Nicolò, poi si è danneggiata ed è rimasta ferma per anni. Nel frattempo è stata sostituita da una meno costosa “cavalletta” su un pontone.
La cornice di questo quadro problematico è la legge che ad agosto ha istituito l’Autorità per la Laguna di Venezia e avviato la liquidazione del Consorzio Venezia Nuova, costituito nel 1982. Ma è una rivoluzione appena abbozzata. Perché se il Mose è ancora in fase sperimentale, l’Autorità, voluta dal governo Conte, sembra essersi arenata.