Crescono le pressioni sui titoli di Stato italiani (e non solo). Questa mattina il Tesoro ha collocato Btp a 30 anni per un valore di 1,75 miliardi di euro. Il rendimento offerto ha superato il 2% (2,06%) per la prima volta dallo scorso agosto. Un mese fa i Btp a trent’anni rendevano l’1,7%. Ieri i Btp a dieci anni, il titolo più rappresentativo e scambiato, hanno superato l’1% di rendimento per la prima volta dallo scorso settembre. Lo spread, ossia la differenza tra i rendimenti di un titoli di stato decennale tedesco e l’equivalente italiano, è tornato in zona 120 punti, lontano dai 90 punti che avevano accompagnato la nascita del governo Draghi.
Il fenomeno non è però italiano ma coinvolge i differenziali di tutta l’area euro. Ad essere in rialzo sono anche gli spread di Francia, Spagna, Portogallo. In generale i mercati dei titoli di Stato, così come quelli azionari, risentono dei segnali di ripresa dell’inflazione, al momento registrati soprattutto negli Stati Uniti ma con avvisaglie che hanno interessato anche il Vecchio Continente. Se i prezzi salgono il rendimento reale offerto da un titolo diminuisce. Quindi un titolo di Stato, che paga interessi fissi in valore assoluto, perde valore sul mercato e, in sede di collocamento, gli investitori chiedono interessi più alti. Se l’aumento dei rendimenti dovesse perdurare inizierebbero a farsi sentire sulle casse pubbliche. Ogni anno l’Italia deve rinnovare titoli di Stato (quindi emetterne di nuove per sostituire quelli che arrivano a scadenza) per circa 300 miliardi di euro.