Il Giro si fa provincia profonda. Anche nei nomi. Già quello di Attila Valter, la maglia rosa magiara, merita attenzione. Per gli italiani è sinonimo di devastatore, flagello, sovvertitore. Deriva dal gotico Attil e vuol dire “ostaggio”. Il suo numero fortunato, leggo da qualche parte, è l’1. Infatti Attila è per ora il numero uno del Giro. Non solo: indossa il pettorale 127, secondo la cabbala 1+2+7=10, cioè 1. Caratteristiche: animo travolgente, grandi capacità organizzative, valori forti, pensieri profondi.
Altro nome da Giro d’antan è quello risorgimentale di Umberto Marengo da Giaveno, in Val Sangone, che vince il traguardo volante sotto il castello di Crecchio, paese tra Chieti ed Ortona, dove sostarono i Savoia in fuga da Roma, la sera del 9 settembre 1943. Guadagna 12 punti, quando sotto un cielo bigio sono già stati percorsi 93,1 chilometri dalla partenza in quel di Notaresco, borgo teramano arroccato su una collina, tanto Medio Evo nella sua torre, nelle chiese romaniche, nelle mura spesse, nelle finestre alte, strette. Qui i fascisti installarono un campo di internamento dove vennero concentrati ebrei ed apolidi, dal 1942 ci finirono partigiani dalmati ed istriani.
Al traguardo mancano 87,9 chilometri, Marengo è in velleitaria fuga col francese Simon Pellaud e l’inglese Christian Mark. Perché la settima tappa adriatica di questo Recovery Giro è un momento interlocutorio della corsa. Un interludio per velocisti. Speriamo non per le ambulanze: ieri l’ennesima caduta ha causato il ritiro di Domenico Pozzovivo.
Dunque, in tragitti del genere, senza o quasi difficoltà salvo un paio di collinette, c’è spazio per i gregari. Oggi, in clima di politically correct, non si dovrebbe più usare quella parola servile (i francesi chiamano i gregari non a caso domèstiques), bensì comprimario. Compagno di squadra. Scudiero. Al diavolo! Mi viene in mente la bella filastrocca di Gianni Rodari: “Filastrocca del gregario/corridore proletario/che ai campioni del mestiere/deve far da cameriere/e sul piatto, senza gloria/ serve loro la vittoria/Al traguardo, quando arriva/ non ha applausi, non evviva/Col salario che si piglia/fa campare la famiglia/e da vecchio poi si acquista/ un negozio da ciclista/o un baretto, anche più spesso/con la macchina per l’espresso”.
L’amara legge delle corse a tappe sancisce che chi scappa nelle frazioni destinate ai padroni delle volate prima o poi verrà ripreso dalle fameliche squadre degli sprinter. E’ la loro vetrina. Talvolta succede che qualcuno gliela spacca. E loro s’incazzano. Ne è consapevole Marengo che non si sderena più di tanto, amministra le forze, d’accordo coi soci di fughetta. Ha 28 anni, vanta una sola vittoria da pro (tardivo), una tappa del Tour of Utah, corre per la Bardiani Csf Falzané, la formazione di Bruno e Roberto Reverberi. Il capitano è Giovanni Visconti, affiancato da Enrico Battaglin. Il velocista di punta è Filippo Fiorelli, il “fugaiolo” è Davide Gabburo. E ancora, Giovanni Carboni, Filippo Zana, Samuele Zoccarato. Bravi figlioli del pedale.
Il loro compito da wild card del Giro che rientra nel circuito World Tour (la Superlega del ciclismo professionistico) è movimentare le tappe, sollecitare le scappate, interpretare il ciclismo dei semplici. Squadra corsara e autarchica. Ogni minuto in tv è oro che cola. La fuga dei tre è tuttavia importante, quanto a chilometri, forse la più importante sinora: dei 181 della tappa che si conclude a Termoli, patria del brodetto e delle scescille, loro ne hanno percorsi oltre 164.
Il gruppo li riacchiappa in provincia di Campobasso, dopo San Salvo Marina. Si rolla a cinquanta all’ora. Una curva malignetta nella parte vecchia di Termoli annuncia uno strappo a 1800 metri dal traguardo. Lo striscione appare solo a duecento metri, dopo un’altra curva a gomito. Due trappole. Lo strappo (200 metri appena) è determinante, bisogna affrontarlo in testa. Col vento in faccia, devi cogliere l’attimo. Ci prova Fernando Gaviria, anticipa la volata. Ma Caleb Ewan è lesto a recuperare, lo salta con irrisoria facilità. Dietro, Sagan cozza con Pasqualon che lo chiude sulle transenne. Gli italiani buscano ancora: stavolta secondo è Davide Cimolai. L’australiano fa il bis di Cattolica. Attila gode la sua rosa. E ha prestato la maglia bianca a Evenepoel.