Se si digitano su Google le parole “reddito di cittadinanza” si viene sommersi da un’enorme quantità di articoli pubblicati sul tema. Leggendoli si può giungere facilmente alla conclusione che la nota misura sociale sia finora servita a dare vita esclusivamente a due distinte specie antropologiche: i “furbetti del reddito” e i “giovani da divano”. Non cambia l’esito facendo zapping in Tv. Stando ai giornali e ai talk show, infatti, i membri di queste due specie voraci – che, incredibilmente, sono indicate come le uniche ad avere accesso al Reddito di cittadinanza – si starebbero moltiplicando ogni giorno, in ogni angolo del paese, trasformandolo progressivamente in uno spaventoso “Sussidistan”. Brivido di paura lungo la schiena, ginocchia che tremano: chi sono i “giovani da divano”? Hanno fattezze umane? I “furbetti del reddito” sono diversi dai “furbetti degli appalti”? Come riconoscerli?
“Dalla puzza”, risponde qualcuno in rete, “i primi sono poveri”. Ma si tratta di una voce minoritaria, perché, anche quando non si menzionano i pericoli derivanti dalle nuove varietà antropologiche, il reddito di cittadinanza o è descritto come ostaggio di una specie di uccelli mal addestrati, detti “navigator”, o è l’inquietante parto di alieni dalle braccia troppo lunghe che siedono illegittimamente in Parlamento.
Queste sono, pressappoco, le narrazioni giornalistiche dominanti, le quali ignorano i dati e si mostrano allergiche all’analisi dei fatti sociali. Per farsi un’idea concreta sul funzionamento reale del Reddito di cittadinanza non resta che scandagliare la letteratura scientifica.
Questa è ormai ampia, ma spesso si caratterizza per un approccio strettamente disciplinare, oltre a risultare costosa. L’ultimo libro curato da Guido Cavalca, Reddito di cittadinanza: verso un welfare più universalistico? (Franco Angeli, 2021), ha il merito di superare i due ostacoli menzionati: adotta un metodo interdisciplinare ed è pubblicato in open access, cioè scaricabile gratuitamente online. Il testo si compone di otto densi saggi, scritti da economisti (Marianna Chirivi, Roberto Iorio), sociologi (Davide Bubbico, Guido Cavalca, Grazia Moffa, Francesco Pirone), giuristi (Giuseppe Allegri, Giuseppe Bronzini) ed esperti di progettazione e valutazione delle politiche sociali (Sabato Aliberti).
Il primo dato da cui partire è che, nel libro, si afferma la sostanziale originalità del Reddito di cittadinanza nel sistema di welfare italiano, “perché introduce per la prima volta in modo strutturale un intervento di carattere universalistico su base nazionale contro la povertà” (p. 7). Contrariamente a quanti vedono nel Reddito di cittadinanza (adottato dal primo Governo Conte, con il quasi esclusivo sostegno del M5s) la continuazione del Reddito di Inclusione (sostenuto dai governi Renzi e Gentiloni), gli studiosi coinvolti nel volume affermano l’autonomia del primo dal secondo, dato che il Reddito di inclusione, per quanto universalistico, era una misura assai poco generosa (187 euro mensili in media al soggetto povero che vive da solo) e, di conseguenza, del tutto inefficace per combattere la povertà.
Il secondo dato scientifico che emerge in tutti i saggi è l’assoluta necessità per l’Italia di dotarsi di un adeguato sostegno al reddito, “a causa delle nuove disuguaglianze sociali che si sono intrecciate a quelle tradizionali, che non hanno trovato nei decenni della fase post-fordista un’adeguata risposta nelle politiche sociali” (p. 9).
Il terzo dato da rilevare è il fatto che il Reddito di cittadinanza, in quanto misura di welfare universalistico di carattere nazionale, supera un problema tradizionale e conclamato del sistema italiano delle politiche pubbliche, ossia la frammentazione: “frammentazione territoriale del welfare, dovuta al fenomeno di rescaling che redistribuisce verso la dimensione locale, regionale e comunale, le competenze delle politiche sociali” (p. 10). Tale frammentazione si traduce in disuguaglianza, trasformando il welfare nazionale in un sistema a macchia di leopardo.
In tutti i saggi emerge, inoltre, una comune consapevolezza circa l’utilità del Reddito di cittadinanza durante l’emergenza pandemica, senza il quale – si sostiene – l’attuale scenario di povertà diffusa sarebbe stato decisamente peggiore.
Altri dati interessanti – che mettono in crisi la narrazione tossica dei media – emergono dalle statistiche riportate nel volume. Così, si scopre che nel 2020 erano oltre 1,6 milioni le famiglie che usufruivano del Reddito di cittadinanza, per un totale di circa 3,7 milioni di persone coinvolte, mentre fino al mese di marzo dell’anno in corso i nuclei percettori sono stati 1,5 milioni, per un totale di 3,4 milioni di persone coinvolte. L’importo medio percepito dalle famiglie è di circa 493 euro al mese, vale a dire più del doppio del Reddito di inclusione.
Il libro mette in evidenza anche numerose criticità della misura sociale, a partire dalla “prospettiva selettiva e triplicemente condizionata” (p. 40) adottata dal legislatore. In altre parole, l’ostacolo maggiore – sia sotto il profilo ideologico che quello pratico – al funzionamento efficace del Reddito di cittadinanza sarebbe da rintracciare nella sua “anima lavoristica”. La costruzione di un vincolo troppo forte tra politiche attive del lavoro (ovvero la disponibilità dei soggetti fruitori ad accettare i lavori proposti dai “navigator”) e sostegno al reddito – affermano gli studiosi – condizionerebbe l’erogazione della misura e la sua concreta efficacia.
Ciò accade anche perché nell’attuale sistema economico-industriale italiano appare alquanto complicato l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, sia per carenza della domanda (sopratutto in alcune aree geografiche) sia per la reale struttura e concreto funzionamento dei Centri e dei Servizi per l’Impiego. Questi ultimi, inoltre, sono da decenni reduci di un progressivo smantellamento: l’obiettivo inconfessato di molti governi è stato quello di delegare alle sole agenzie interinali (private) la mediazione tra domanda e offerta nel mercato del lavoro.
Altra criticità denunciata nel volume è lo sbandierato carattere universalistico del Reddito di cittadinanza, dato che risulta sostanzialmente inaccessibile per gli immigrati residenti in Italia. I dati a disposizione parlano chiaro: il 90% dei fruitori del Rdc è composto di italiani, il 3% di comunitari e il 6% di non-comunitari. Escludere dal sostegno alla povertà proprio quella fascia di popolazione che tutte le statistiche indicano come la più povera appare un bel paradosso, difficilmente superabile con una retorica prêt à porter, da salotto televisivo. L’universale non coincide con il nazionale.
Di tutti questi aspetti del Reddito di cittadinanza, gli autori coinvolti nel volume discuteranno pubblicamente con la senatrice Nunzia Catalfo e i professori Enrica Morlicchio e Andrea Ciarini in un incontro online (piattaforma Teams), aperto a tutti, organizzato dal Dipartimento di Studi Politici e Sociali dell’Università di Salerno, il 19 maggio 2021, alle ore 18.00.