In quella “montagna” di armi simile “all’arsenale di una cosca di mafia di altissimo livello” che l’ex magistrato Giuseppe De Benedictis deteneva illegalmente la Dda di Lecce vuole capire se ci fossero anche pistole, fucili, mitragliatori che il magistrato custodiva “per conto di soggetti terzi appartenenti a persone orbitanti nell’ambito della criminalità organizzata locale”. Un sospetto fondato secondo la gip Giulia Proto che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’ex gip del Tribunale di Bari e del caporal maggiore dell’Esercito Antonio Serafino. Perché è lo stesso magistrato, già arrestato ad aprile con l’accusa di aver scarcerato mafiosi in cambio di mazzette, ad ammettere di essere agitato in caso di scoperta dell’arsenale da guerra. “Risalgono a chi non devono”, diceva De Benedictis in una delle conversazioni captate con Serafino nelle quali dimostra “spasmodico interesse” verso pistole, mitragliatori, fucili.

Armi per le quali era disposto a qualsiasi cosa, come si legge nell’ordinanza. Nelle 45 pagine in cui è ricostruito il loro rapporto, De Benedictis e Serafino, l’uomo che le procurava al magistrato, vengono descritti come “autentici trafficanti in armi da guerra”. Lo scorso 30 aprile in un “pozzo” di una masseria nelle campagne di Andria di proprietà di un loro amico incensurato, Antonio Tannoia, gli uomini della Squadra Mobile di Bari guidati da Filippo Portoghese, hanno ritrovato mitragliette Uzi, fucili Kalashnikov, mitragliatori d’assalto come M12 e Ar15, novantanove pistole, mine anticarro, bombe a mano, altri fucili, carabine di precisione e mitragliette. Più circa 3.400 detonatori e 10 silenziatori per bombe a mano. Molto di questo materiale – secondo l’accusa – era di proprietà dell’ex giudice.

Che in passato, stando a quanto ricostruito nel corso dell’inchiesta, non si era fatto problemi a trasportare da un luogo all’altro anche utilizzando le forze dell’ordine, evidentemente ignare. In un intercettazione Serafino, sul quale in passato erano emersi “strani contatti” con “soggetti legati a clan della zona di Bitonto”, chiede come fosse avvenuto il trasporto e la risposta di De Benedictis è eloquente: “Con cinque carabinieri”. Perché le “vedette”, come le chiamava il magistrato, erano necessarie: “Se ti prendono con un carico del genere è meglio che ti spari…”, confidava all’amico e procacciatore di mitragliatori, fucili e pistole, molte delle quali con matricola abrasa.

E nelle giornate di festa, quella “montagna” di armi tornava utile. Come durante l’ultima notte di San Silvestro, quando De Benedictis e Serafino – come accertato dalla Squadra Mobile – sparavano “a raffica”. Utilizzando anche, sottolinea la giudice, un “lanciarazzi” in “dotazione istituzionale alla Marina militare italiana”. Per assemblare l’arsenale da guerra, sospettano infatti gli inquirenti, è possibile anche che siano state “sottratte” armi “in sequestro all’Esercito italiano”. Un’operazione possibile, ad avviso del gip, “con la compiacenza” se non proprio con il “contributo positivo” di” altri pubblici ufficiali infedeli che hanno garantito, anche, copertura”.

Nella richiesta cautelare, riportata per stralci nella misura, la Dda di Lecce guidata da Leonardo Leone De Castris ritiene, infatti, “assai difficile che gli odierni indagati abbiano potuto nel tempo trafficare in armi, di tale portata e offensività per la collettività tutta, senza poter contare sul contributo e supporto di altri pubblici ufficiali, in specie appartenenti ai carabinieri e comunque le forze dell’ordine”. Del resto “entrambi – si legge ancora negli atti – rivestono alte cariche quali pubblici ufficiali, cariche che hanno, in modo subdolo, strumentalizzato per fini illeciti. Una storia in cui si intrecciano mondi che dovrebbero essere agli antipodi e, nella terra di mezzo, De Benedictis e la sua passione per le armi. Spesso di una tipologia che “depone – scrive il giudice – per l’inserimento dei due indagati in circuiti delinquenziali, di criminalità organizzata anche transnazionali”.

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