Quindici milioni di elettori chiamati alle urne per eleggere sindaci e governatori regionali, ma anche i 155 membri dell’Assemblea Costituente che entro nove mesi dovranno scrivere il progetto che sostituirà la vigente Carta, approvata nel 1980 e figlia della dittatura di Augusto Pinochet
Il Cile va alle urne. Un voto storico per il Paese sudamericano, che si appresta ad affrontare il più importante weekend elettorale quanto meno dal ritorno alla democrazia. Sabato 15 e domenica 16 maggio, i quasi 15 milioni di elettori cileni saranno infatti chiamati a eleggere sindaci, amministrazioni comunali e governatori regionali. Ma soprattutto i 155 membri dell’Assemblea Costituente incaricata di redigere una nuova Costituzione, dopo il referendum dello scorso 25 ottobre che ha sancito con l’80% dei consensi la vittoria dei Sì.
Il voto di questo weekend, rinviato di un mese a causa della pandemia (inizialmente era previsto per sabato 10 e domenica 11 aprile), segna uno spartiacque nella storia politica del Cile. La nuova Assemblea avrà nove mesi di tempo – prorogabili di altri tre – per presentare il progetto di Costituzione che sostituirà la vigente Carta, approvata nel 1980 e figlia della dittatura di Augusto Pinochet. Al termine dei lavori di redazione, la nuova Carta dovrà essere approvata definitivamente con un ulteriore referendum, in programma intorno alla metà del 2022. Gli attivisti si sono mobilitati con l’auspicio di ottenere il riconoscimento dell’uguaglianza per le donne, la protezione dell’ambiente e degli indigeni, norme sull’aborto. I conservatori, pero, sperano di mantenere un settore privato dominante e regole che rendano difficile l’approvazione di importanti riforme nella legislatura. Per ottenere le modifiche, è necessario ottenere una maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea dei 155.
Le elezioni amministrative e politiche – Più di 22mila i candidati, che si contenderanno 2.768 seggi: oltre ai 155 membri dell’Assemblea Costituente, i cileni eleggeranno 345 sindaci, 2.252 consiglieri e 16 governatori regionali. Di questi, circa 1.300 i candidati all’Assemblea Costituente, di cui circa il 60% indipendenti (quindi non legati a partiti). Numeri che spiegano la portata della tornata elettorale, a cui si aggiungerà, il prossimo 21 novembre, il voto per le elezioni presidenziali. Una data a cui i partiti guardano con molto interesse, anche perché l’attuale presidente di centrodestra Sebastián Piñera gode soltanto del 9-10% di gradimento, secondo varie rilevazioni.
Il processo costituente e le sue origini – La sinistra si presenta divisa in varie liste, mentre la destra è riuscita a compattarsi sotto il nome Chile Vamos. Le vere novità della partita, però, riguardano la parità di genere garantita e il favore verso i popoli indigeni, che costituiscono il 12,8% della popolazione ma non godono di pieno riconoscimento: dei 155 seggi totali, infatti, 17 saranno attribuiti alle varie etnie originarie (mapuche, aymara, rapa nui, quechua eccetera).
A monte, le proteste iniziate nell’ottobre 2019, quando un modesto aumento dei prezzi per i biglietti della metro ha acceso la miccia. Dai primi episodi di malcontento da parte di alcuni studenti è nata una rivolta che ha investito rapidamente tutto il Paese, stanco delle eccessive disuguaglianze e delle condizioni di estrema precarietà. Mesi di mobilitazioni lungo tutto il Paese, che hanno portato in piazza per mesi milioni persone. Un vero e proprio estallido social – cioè proteste di massa – da parte di un movimento variegato, represso senza troppi complimenti dai carabineros schierati dal governo. Decine di morti, migliaia di feriti (molti dei quali hanno perso gli occhi), abusi denunciati da organizzazioni internazionali che hanno fatto il giro del mondo. Eppure, il fiume in piena non si è arrestato e ha convogliato la rabbia popolare verso un percorso costituente, sancito con il referendum del 25 ottobre. Vinto con una valanga di Apruebo, cioè di sì(il 78%).
Una data simbolica, che ha mandato in soffitta non solo la Costituzione pinochetista ma anche l’impianto neoliberista della stessa, ritoccata formalmente decine di volte dopo il ritorno alla democrazia, nel 1989 (a seguito di un altro storico referendum, quello del 1988 che pose fine al mandato di Pinochet). Ma mai davvero modificata nelle fondamenta: un laboratorio studiato dalla Scuola di Chicago per il dominio del mercato sullo Stato. In Cile, infatti, quasi tutto è privato. Dall’istruzione alla sanità, dalle imprese strategiche al mare. Un esperimento che ha portato il Paese sudamericano a concentrare ricchezze notevoli nelle mani di pochissime persone, a fronte di condizioni di povertà diffusa nel resto della popolazione.
Eppure, che l’affluenza sia massiccia è cosa tutt’altro che scontata. Anche perché il Covid-19 non ha smesso di mordere. Dall’inizio della pandemia, i casi accertati sono stati oltre 1 milione e 270mila, con quasi 28mila morti. Nonostante la massiccia campagna di vaccinazione, inoltre, da marzo i contagi sono tornati a crescere. Tutto ciò insieme a una sempre più deficitaria situazione economica. Si vedrà se i cileni crederanno nel processo costituente. O se a prevalere sarà ancora lo scetticismo.